Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26777 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 21/10/2019), n.26777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23278/2015 proposto da:

D.M.M.A.G., elettivamente domiciliata in

Roma, Via Toscana 10, presso lo studio dell’avvocato Rizzo Antonio,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bernardini De

Pace Annamaria, Devercelli Teresa, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

G.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Capranica 78,

presso lo studio dell’avvocato Mazzetti Federico, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Bongiorno Gallegra Antonino,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2889/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2019 da Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 7439 depositata il 5 giugno 2009 il Tribunale di Milano, sulle domande con cui D.M.M.A.G. aveva chiesto, in principalità, ai sensi degli art. 1298 e 1299 c.c., la condanna di G.F. al pagamento della somma di Euro 150.000,00, pari all’importo dalla stessa versato alla Banca Popolare Commercio & Industria a parziale copertura dello scoperto del conto corrente n. 2429 (cointestato con il G. e su cui precedentemente insisteva un’apertura di credito per Euro 1.500.00,00) determinato esclusivamente da prelievi del marito destinati a sue spese personali, e in subordine, al pagamento della minor somma di Euro 60.000,00 (pari alla metà di quanto dalla stessa versato alla banca il 12.12.2007), nonchè sulla domanda riconvenzionale con cui G.F. ha chiesto la condanna della D.M. al pagamento della somma di Euro 565.000,00, pari alla metà di quanto da quest’ultimo versato sullo stesso conto per ripianare il debito con la banca (opponendo, altresì, contestualmente in compensazione la somma di Euro 86.784,8, pari all’importo asseritamente prelevato nel dicembre 2005 dalla sig.ra D.M. da altri conti cointestati), ha rigettato tutte le domande proposte, compensando tra le parti le spese di lite.

Ha ritenuto il giudice di primo grado che sia la somma di Euro 1.130.000,00 versata dal G., sia il successivo versamento da parte della D.M., costituivano spese eseguite per contribuire ai bisogni della famiglia, come tali irripetibili, essendo i rapporti patrimoniali dei coniugi fino all’udienza presidenziale (in cui i coniugi erano stati autorizzati a vivere separati) regolati non dalla disciplina di diritto comune, ma dalle norme sul coniugio (art. 143 e 160 c.c.).

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ritenendo preliminarmente, che i rapporti tra i coniugi fossero, invece, regolati dagli art. 1299 e 1298 c.c., ha, in primo luogo, osservato che era stato dimostrato che il G. aveva effettuato con proprie risorse finanziarie il versamento della somma di Euro 1.130.000,00 sul conto cointestato n. 2429, che i prelievi della moglie da altri conti cointestati ammontavano ad Euro 80.000 e che i prelievi del G. dallo stesso c/c n. (OMISSIS) per Euro 438.824,00 erano relativi a spese personali.

Inoltre, dopo aver accertato, da un lato, il diritto del G. al rimborso da parte della moglie degli importi di Euro 565.000,00 e di Euro 40.000,00, e dall’altro, il diritto della D.M. al rimborso degli importi di Euro 219.412,00 e di Euro 60.000,00 da parte del marito, compensati i rispettivi crediti, ha condannato D.M.M. al pagamento in favore del G. della somma di Euro 325.588,00 oltre interessi legali.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.M.M.A.G., affidandolo a cinque motivi.

G.F. si è costituito in giudizio con controricorso e contestuale ricorso incidentale affidandolo a sei motivi.

Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente principale D.M. ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione agli artt. 1298,1299,143 e 160 c.c. con riguardo alle richieste di rimborso del G..

Lamenta la D.M. che la richiesta di regresso del G. deve essere regolata dalle disposizioni codicistiche speciali dettate per il coniugio di cui agli art. 143 e 160 c.c.., con la conseguenza che le spese sostenute dal marito in costanza di matrimonio non sono suscettibili di ripetizione, in quanto effettuate in adempimento di obbligo di legge (art. 143 c.c.).

Ne consegue che, pur dando atto che il versamento di Euro 1.130.000,00 eseguito nel maggio 2004 dal G. sul c/c n. (OMISSIS) per rientrare dal finanziamento contratto nel luglio 2002 per l’acquisto della casa coniugale sia avvenuto utilizzando risorse finanziarie esclusive del marito, lo stesso versamento trova comunque la propria giustificazione nel rapporto matrimoniale e nella necessità di contribuito al menage familiare, e, come tale, non è ripetibile.

Peraltro, la casa familiare era confluita in un fondo patrimoniale nell’interesse della famiglia e dei figli.

2. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che nel contenzioso postconiugale i coniugi separati o separandi non possono rimettere in discussione tutte le voci di spesa di cui ciascuno si è fatto carico nel periodo di convivenza matrimoniale, rientrando tali spese tra quelle effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà familiare in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. (Cass. 10927/2018; vedi anche n. 10942/2015).

In tale prospettiva, la sentenza n. 10927/2018 sopra citata ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato la compensazione tra quanto versato dal marito per la Tarsu relativa all’immobile assegnato alla moglie in sede di separazione con il credito vantato da quest’ultima a titolo di rimborso delle spese per le utenze domestiche sostenute durante il matrimonio.

Con la stessa logica, la Suprema Corte, nella sentenza sopra citata n. 10942/2015, ha ritenuto irripetibili, e come tale non suscettibili di rimborso, le spese sostenute da un coniuge per realizzare opere sull’immobile di proprietà esclusiva dell’altro coniuge finalizzate a rendere più confacente alle esigenze della famiglia l’abitazione adibita a casa coniugale per oltre un trentennio, essendo state ritenute eseguite per il soddisfacimento di bisogni familiari.

Ciò premesso, caratteristica comune delle spese sostenute dai coniugi per contribuire ai bisogni della famiglia, a norma dell’art. 143 c.p.c., non è la mera collocazione temporale nel periodo di convivenza matrimoniale – come il versamento controverso in oggetto – ma il rilievo che le medesime trovano la loro giustificazione ed esauriscono la loro funzione nell’esigenza solidaristica di concorso al mantenimento della famiglia, ciascun coniuge in proporzione alle proprie sostanze.

E’ pur vero che la nozione di mantenimento deve essere intesa latu sensu, avendo questa Corte fatto rientrare nella fattispecie dell’art. 143 c.c. anche situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi (vedi Cass. n. 18749/2004). Tuttavia, la logica che sta alla base di ricondurre alla disciplina dei bisogni familiari di cui all’art. 143 c.c. anche spese sostenute nell’ambito di un nucleo familiare caratterizzato da un elevato tenore di vita – quali quelle affrontate da un coniuge per opere sull’immobile di proprietà esclusiva dell’altro adibito a casa di vacanza (vedi sempre Cass. n. 18749/2004) – è sempre quella della loro connotazione come forma di contribuzione al sostentamento del menage familiare nell’ambito di un progetto comune in cui ciascun coniuge mette a disposizione del nucleo familiare quello che possiede, sia esso denaro o beni di proprietà esclusiva aventi un valore economico.

In questa prospettiva, il coniuge titolare esclusivo della casa coniugale o dell’immobile adibito a vacanza della famiglia, contribuisce, a sua volta, alle esigenze di quest’ultima mettendo a disposizione della stessa un immobile, avente un valore economico, da cui, per tutto il periodo di convivenza matrimoniale, non ricaverà propri frutti esclusivi.

Nel caso di specie, il progetto dei coniugi per attuare l’acquisto dell’immobile, poi adibito a casa coniugale, è stato quello di contrarre un debito e non quello di impiegare per la causa comune le risorse finanziarie personali, pur avendo entrambi cospicue disponibilità reddituali ed una capacità economico-finanziaria idonee a sostenere il pagamento, almeno, parziale, del prezzo: ciò emerge dal rilievo che G. ha smobilizzato propri titoli del ragguardevole importo di Euro 1.130.00,00, mentre la D.M., oltre ad essere titolare di titoli gestiti in un fondo deposito cointestato, era, per sua stessa affermazione, quantomeno proprietaria esclusiva di un immobile sito in (OMISSIS). In altri termini, la scelta condivisa dei coniugi di trarre la provvista per l’acquisto contraendo un finanziamento dalla banca comporta che nei rapporti interni sono entrambi debitori in egual misura, secondo le regole generali proprie del tipo di contratto assunto.

Ne consegue che il versamento da parte del G. può essere oggetto di richiesta di rimborso a norma degli artt. 1298 e 1299 c.c., atteso, peraltro, che l’obbligazione in solido di restituzione del finanziamento erogato dalla banca era stata contratta nell’interesse comune di entrambi i coniugi e non nell’interesse esclusivo di uno solo dei condebitori (vedi Cass. 24389/2010).

Infine, non corretto è il richiamo effettuato dalla ricorrente principale alle fattispecie di donazioni indirette, a suo dire, ricorrenti nelle ipotesi di conto corrente cointestato a firma disgiunta alimentato da uno solo dei coniugi.

In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell'”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (vedi recentemente Cass. n. 4682 del 28/02/2018), nel caso di specie, neppure oggetto di allegazione.

3. Con il secondo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ovvero che le somme richieste in restituzione sono state utilizzate dai coniugi per l’acquisto e la ristrutturazione della casa familiare, e quindi si trattava di spese sostenute nell’interesse della famiglia.

Lamenta, altresì, la D.M. che è stato omesso di valutare un ulteriore fatto dirimente e decisivo, ovvero che il conto corrente n. (OMISSIS) era uno dei conti familiari su cui era confluito denaro anche di provenienza della stessa d.M., come quello ricavato dalla vendita di un immobile di proprietà esclusiva della ricorrente principale sito in (OMISSIS), che era confluito in gran parte proprio sul conto corrente n. (OMISSIS).

4. Il motivo è assorbito sulla base di quanto illustrato nel primo motivo.

5. E’, altresì, assorbito, appartenendo al comune filone della ripetibilità o meno delle somme versate dal G. per ripianare l’esposizione debitoria nei confronti della banca, il quarto motivo del ricorso incidentale, con il quale è stata dedotta dal G. la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 345 c.p.c. sul rilievo che la ex moglie, solo costituendosi nel giudizio d’appello, aveva proposto per la prima volta l’eccezione di irripetibilità, a norma dell’art. 143 e 160 c.c., delle somme dallo stesso pretese in via riconvenzionale, con la conseguenza che si trattava di eccezione nuova, non rilevabile d’ufficio e quindi inammissibile ex art. 345 c.p.c..

6. A questo punto, deve provvedersi all’esame della tematica della pretesa della D.M. di vedersi rimborsate per l’intero le somme dalla medesima corrisposte alla banca per il ripianare il debito creato in via esclusiva dalle spese personali del G..

A questo filone, si riconnettono i motivi 3 e 4 del ricorso principale ed i motivi 1, 2, e 3 del ricorso incidentale – dei quali si procederà di seguito all’illustrazione in ordine cronologico – con la precisazione che, contestando il G., da una parte, nel terzo motivo del ricorso incidentale, che il debito per l’importo di Euro 438.824,69 sia effettivamente maturato per effetto di spese riconducibili in via esclusiva al medesimo, ed affermando, invece, la D.M., dall’altra, nel quarto motivo del ricorso principale, che il debito imputabile a spese personali era addirittura superiore, ammontando alla maggiore somma di Euro 543.862,67 oltre interessi (pari all’intero debito di cui la banca aveva chiesto il rientro con raccomandata del 16 agosto 2006), appare opportuna la trattazione del terzo motivo del ricorso incidentale e del quarto motivo del ricorso principale con precedenza rispetto all’esame degli altri appartenenti alla esposta tematica, allo scopo di verificare l’an ed il quantum del debito del conto cointestato riconducibile alle spese personali del G..

7. Con il terzo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione all’art. 1298 c.c..

Lamenta la D.M. che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto che l’intero debito sussistente nel conto cointestato n. (OMISSIS) fosse riconducibile al solo G. per le sue spese personali, non ha fatto corretta applicazione dell’art. 1298 c.c., avendo riconosciuto il diritto della ricorrente principale al rimborso della sola metà del debito, e non dell’intero, nonostante si trattasse di obbligazione contratta nell’esclusivo interesse di uno solo dei debitori ( G.).

La Corte d’Appello avrebbe dovuto condannare il G. a rimborsare alla D.M. l’importo richiesto dalla Banca Popolare Commercio & Industria di Euro 543.862,67, dedotta la somma già versata dal G. di Euro 30.000,00, oltre interessi maturati sino al saldo, e non solo il 50%.

8. Con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del decidere ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Espone la ricorrente principale che il G. ha utilizzato l’apertura di credito regolata sul conto cointestato n. (OMISSIS) per spese strettamente personali, il tutto provocando uno scoperto di conto corrente di Euro 543.862,67.

La stessa ricorrente ha saldato il debito con la banca agendo nell’odierna vertenza in regresso nei confronti del marito, il quale non ha contestato di essere debitore dell’importo di Euro 543.862,67, rispetto al quale, l’istituto di credito, con raccomandata del 16 agosto 2006, ha chiesto “il rientro”.

Il fatto rilevante che la Corte ha omesso di valutare è che la mancata contestazione del G. era riferita all’intero importo a debito di Euro 543.862,67.

Ove la Corte d’Appello avesse esaminato questo fatto, avrebbe condannato il G. a rimborsare tutto l’importo di Euro 543.862, 67 (dedotti Euro 30.000), e non solo la parte di Euro 438.824,00, peraltro, in violazione di legge, della metà.

9. Con il primo motivo del ricorso incidentale G.F. ha dedotto la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c..

Lamenta il G. che nonostante la D.M. avesse esercitato l’azione di regresso limitatamente alla somma dalla stessa versata dalla banca di Euro 150.000,00, o, in subordine, di Euro 60.000,00, la Corte d’Appello lo aveva inopinatamente condannato al pagamento in favore delta ricorrente principale della somma di Euro 219.412,00, pari alla metà del debito asseritamente creato dallo stesso nei confronti della banca, senza quindi che fosse stata proposta la relativa domanda.

10. Con il secondo motivo di ricorso incidentale è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1299 c.c..

Lamenta il G. che la Corte d’Appello, condannandolo al pagamento della somma di Euro 219.412,00, ha applicato erroneamente l’art. 1299 c.c., comma 1. Infatti, la ricorrente principale, non avendo pagato alla banca la somma di Euro 438.824,69 (corrispondente all’importo delle spese asseritamente personali), non poteva esercitare l’azione di regresso.

11. Con il terzo motivo del ricorso incidentale è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione all’art. 115 c.p.c..

Lamenta il ricorrente di non avere mai ammesso di aver utilizzato le somme del conto cointestato per spese personali, pur non avendo contestato l’elencazione delle spese effettuata dalla moglie.

Non può, infatti, trarsi dalla mancata contestazione dei fatti indicati dalla ex moglie la conseguenza che si trattava di spese personali, avendo tale qualificazione una valenza squisitamente giuridica e come tale deve essere operata solo dal giudice.

Espone, altresì, di non aver contestato che le spese erano state sostenute per la ristrutturazione della casa in (OMISSIS) (di sua esclusiva proprietà), ma si trattava di casa di vacanza della famiglia, con la conseguenza che tali spese erano state sostenute per contribuire ai bisogni della famiglia, ed erano come tali irripetibili, a norma dell’art. 143 c.c..

12. Il quarto motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale che, come detto, appare opportuno esaminare prima degli altri – atteso che la D.M. ha agito in regresso nei confronti del marito per la restituzione dell’importo di Euro 150.000,00 proprio sul presupposto che le somme dalla stessa versate fossero state corrisposte alla banca per il ripianare il debito creato in via esclusiva dalle spese personali del G. – sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

Va osservato che, quanto alle doglianze del G., è pur vero che la locuzione “spese personali” ha una valenza giuridica, ma una tale qualificazione è stata effettuata dalla Corte d’Appello dopo aver accertato che quest’ultimo non aveva contestato i documenti attestanti i pagamenti di artigiani e società (prodotti in giudizio dalla D.M.), dallo stesso eseguiti con la provvista derivante dal conto cointestato per cui è causa, per la costruzione della Casa in (OMISSIS) di esclusiva proprietà del G..

E’ proprio dalla valutazione di tali fatti storici (spese inerenti alla casa di proprietà esclusiva del G.), non contestati, che il giudice di secondo grado ha tratto il convincimento che si trattava di spese personali.

Va, inoltre, osservato che non risultando traccia dall’esame della sentenza impugnata che fosse stata oggetto di discussione tra le parti la circostanza che l’immobile in (OMISSIS) fosse utilizzato come casa di famiglia, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente, per non incorrere in una statuizione di inammissibilità per novità della questione, avrebbe dovuto quantomeno dimostrare di aver già sottoposto la medesima questione ai giudici di merito.

Il ricorrente incidentale, invece, non ha neppure allegato nel ricorso di aver già prospettato negli atti processuali dei precedenti gradi del giudizio l’uso familiare della casa in (OMISSIS), con conseguente inammissibilità della odierna deduzione.

Quanto alle censure della D.M. in ordine all’ammontare del debito riconducibile alle spese personali del marito, la ricorrente principale deduce che la Corte d’Appello avrebbe omesso di rilevare che la mancata contestazione del G., in ordine alle spese allo stesso addebitabili, era riferita all’intero importo di Euro 543.862,67 (pari allo scoperto del conto cointestato) oltre interessi, e non alla minor somma di Euro 438.824,00.

Tuttavia, l’odierna allegazione della D.M., secondo cui il debito del G. non fosse circoscritto alla sola somma di Euro 438.824,00, ma si estendesse all’ulteriore importo di Euro 111.367,37, pari alla differenza tra l’esposizione debitoria di cui la banca aveva chiesto il rientro in data 31.12.2006 e l’importo citato di Euro 438.824,00, si pone in netto contrasto con quanto evidenziato dalla sentenza impugnata a pagg. 8 e 9 nelle quali è stato dato espressamente atto che “nell’atto di citazione introduttivo del primo grado del giudizio, d.M.M. ha affermato che nel periodo tra il giugno 2004 e il settembre 2006 il G. aveva utilizzato per spese personali la somma complessiva di Euro 438.824,00”.

Orbene, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate come nel caso di specie – questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

La D.M. non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non solo non indicando dove, come e quando aveva sollevato ai giudici di merito la questione del diverso e maggiore importo interamente addebitabile al marito, ma non precisando neppure sulla base di quali elementi (se non limitandosi ad affermare che era stato pacificamente ammesso dal G.) poteva ritenersi che il ricorrente incidentale non avesse contestato che anche l’ulteriore somma di Euro 111.367,37, esposta a debito nel conto cointestato n. (OMISSIS), fosse riconducibile a spese personali esclusive.

13. Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato.

Va osservato che, nonostante la D.M. abbia agito in regresso per la restituzione della minor somma di Euro 150.000,00 – sostenendo, peraltro, di aver agito in separato giudizio per ottenere la differenza la Corte d’Appello di Milano, nel riconoscere il diritto della stessa al rimborso, da parte del G., della somma superiore di Euro 219.412,00 è indubbiamente incorsa in un’ultra petita, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ne consegue che dovendo comunque la sentenza impugnata essere cassata in relazione al profilo evidenziato, ciò determina l’assorbimento del terzo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale.

14. Un’altra tematica del presente procedimento concerne la determinazione dell’ammontare di un altro credito che il G. ha fatto valere in via riconvenzionale nei confronti della D.M., relativo alle somme che la moglie ha prelevato da altri conti cointestati ai coniugi.

Sul punto, nel quinto motivo del ricorso principale, la D.M. ha contestato che la somma di Euro 80.000, di cui la Corte d’Appello ha accertato il prelievo ad opera della stessa da altri conti correnti cointestati, fosse stata effettivamente utilizzata per spese personali e non nell’interesse comune dei coniugi, come la stessa sostiene. Tale questione è strettamente connessa a quella sollevata dal G. nel quinto motivo del ricorso incidentale nel, quale, a sua volta, ha contestato che le somme prelevate dalla moglie dagli altri conti cointestati fossero circoscritte solo alla minor somma accertata dalla Corte d’Appello (Euro 80.000,00), essendo, in realtà, a suo dire, ben superiori.

Si procede quindi all’illustrazione dei predetti motivi.

15. Con il quinto motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione agli artt. 115 c.p.c. e all’art. 3 Cost. con riguardo al regime delle presunzioni ed alla quantificazione del presunto debito di D.M.M..

Lamenta la ricorrente principale che la Corte di merito ha applicato differentemente il regime di presunzioni (e quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.) nell’esaminare le posizioni delle due parti in causa.

Infatti, da un lato, il giudice d’appello, sulla base di presunzioni, ha condannato la D.M. a rimborsare al G. la somma di Euro 40.000,00, pari alla metà di quanto la stessa avrebbe prelevato da conti cointestati. Al contrario, nell’accertare l’ammontare della somma che il G. doveva rimborsare alla D.M., la Corte di merito ha presunto che la differenza di Euro 111.367,37 tra lo scoperto del conto cointestato (pari ad Euro 543.862 oltre interessi) e la somma di Euro 438.824,00 (riconducibile a spese personali del G.) fosse imputabile a spese sostenute nell’interesse della famiglia.

In sostanza, il giudice d’appello ha applicato il regime delle presunzioni giungendo a risultati opposti.

16. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

La Corte d’Appello non è incorsa affatto nelle violazioni di legge invocate, e, in particolare, in una disparità di trattamento nell’esaminare le posizioni delle parti.

Quanto al debito di Euro 111.367,37, ulteriore rispetto alla somma di Euro 438.824 riconducibile alle spese personali del G., la Corte di merito, avendo ritenuto che non vi fosse prova che tale debito (a differenza di quello di Euro 438.824,00) fosse parimenti riconducibile a spese personali del G., ha ripartito in parti eguali lo stesso a norma dell’art. 1298 c.c., comma 2. E’ stata quindi applicata una presunzione prevista dalla legge.

Quanto all’importo di Euro 80.000,00, prelevato dalla D.M. da conti cointestati, il giudice di secondo grado ha ritenuto che tale somma fosse stata utilizzata dalla ricorrente solo per sè sulla base dell’esame di documenti (fotocopia dell’assegno di Euro 50.000,00 tratto sul conto Fideuram) e sulla base di presunzioni logiche (quale quella che le operazioni di prelievo erano state effettuate dalla donna a ridosso della richiesta di separazione). Non è stata dunque applicata dalla Corte di merito una presunzione prevista dalla legge, ma una presunzione logica, con conseguente non comparabilità di situazioni completamente diverse.

In ogni caso, la Corte d’Appello ha effettuato una valutazione in fatto che è di esclusiva competenza del giudice di merito, come tale non censurabile in sede di legittimità.

17. Con il quinto motivo del ricorso incidentale è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 115,116 e 342 c.p.c..

Lamenta il sig. G. che, a fronte dell’accertamento da parte del giudice di primo grado che la D.M. aveva prelevato da altri conti cointestati la somma di Euro 86.784,81, aveva dedotto nell’atto di appello che dai documenti n. 6,7, 8a, 8b e 9 risultava che la somma complessiva prelevata dalla ex moglie era, in realtà, assai superiore, e, segnatamente, di Euro 173.569,62.

La Corte d’Appello aveva erroneamente dichiarato inammissibile per genericità tale motivo d’appello sul rilievo che il G. non aveva illustrato la rilevanza probatoria dei documenti prodotti.

Il ricorrente incidentale contesta l’affermazione del giudice di secondo grado del difetto di specificità dei motivi d’appello sul rilievo che la rilevanza probatoria dei documenti prodotti emerge dal loro inequivocabile contenuto che lo stesso ha provveduto a trascrivere nel ricorso.

18. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Il ricorrente si è limitato a trascrivere nel ricorso per cassazione il contenuto dei documenti che proverebbero i maggiori prelievi della ex moglie, ma non ha neppure allegato nello stesso ricorso di aver già descritto nell’atto di appello il contenuto di tali documenti, nè, a maggior ragione, la sede processuale in cui tale deduzione sarebbe stata effettuata. Correttamente, dunque, la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile il motivo d’appello per difetto di specificità.

19. Infine, l’ultima tematica del presente procedimento riguarda un altro credito che il G. ha fatto valere in via riconvenzionale (a titolo di spese legali in un procedimento ex art. 708 c.p.c.) e che invece la Corte d’Appello ritenuto non certo in quanto non ancora passato in giudicato.

Forma oggetto del sesto motivo del ricorso incidentale, con il quale G. ha dedotto la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1241 e 1242 c.c..

Lamenta il ricorrente incidentale che la Corte d’Appello aveva erroneamente escluso la compensabilità delle spese di lite dalla stessa liquidate a carico della D.M. con ordinanza del 24.11.2006, all’esito di un procedimento ex art. 708 c.p.c., argomentando che non risultava il passaggio in giudicato del provvedimento summenzionato.

Ad avviso del ricorrente incidentale, il giudice di secondo grado non ha tenuto conto che il provvedimento emesso dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 708 c.p.c., u.c. non è ulteriormente soggetto ad impugnazione e, come tale, è cosa giudicata.

20. Il motivo è fondato.

Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che avverso l’ordinanza di inammissibilità emessa dalla corte d’appello sul reclamo – proposto ai sensi dell’art. 708 c.p.c., – contro il provvedimento adottato dal giudice istruttore nel procedimento di separazione giudiziale dei coniugi, non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., data la natura ed efficacia meramente incidentale di tali ordinanze le quali sono prive della forma e della sostanza della sentenza, e sono, altresì, destinate ad essere assorbite nella decisione finale. (Cass. n. 12177/2011; conf. n. 14141/2014615).

Ne consegue che l’ordinanza del 24.11.2006 con cui la D.M. era stata condannata alla rifusione delle spese di lite all’esito del procedimento ex art. 708 c.p.c. era passata in giudicato.

In conclusione, deve cassarsi la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti (primo e sesto motivo incidentale), e deve rinviarsi alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, e per l’effetto, dichiara assorbiti il terzo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale;

accoglie il sesto motivo del ricorso incidentale;

rigetta il primo motivo del ricorso principale e, per l’effetto, dichiara assorbiti il secondo motivo del ricorso principale ed il quarto del ricorso incidentale;

rigetta il quarto motivo del ricorso principale ed il terzo del ricorso incidentale;

rigetta il quinto motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il quinto motivo del ricorso incidentale;

Cassa la sentenza impugnata per i motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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