Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26771 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 25/11/2020), n.26771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28516/2014 R.G. proposto da:

Nuris s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Cuffaro, giusta procura

apposta in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma,

presso il suo studio, in Via Caio Mario n. 27;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Molise, n. 105/3/2014, depositata il 14 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.L’Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di constatazione, emetteva un avviso di accertamento nei confronti della Nu. s.p.a., per l’anno 2006, rilevando un maggiore reddito di impresa di Euro 98.895,00, una maggiore Irap per Euro 43.349,00, l’indeducibilità ai fini Iva della somma di Euro 1.986,00, un debito da mancato adeguamento agli studi di settore per Euro 4.065,00, presumendo l’avvenuta distribuzione ai soci, con la conseguente omessa ritenuta per Euro 1.751,00, oltre all’irrogazione delle sanzioni. Si riteneva l’indeducibilità della somma di Euro 4.967,00, in quanto la Nu. s.r.l. aveva avuto in locazione un locale dalla Inarcassa per Euro 7.033,00 ed aveva concesso in sublocazione lo stesso locale alla Nu. s.p.a. per la somma di Euro 12.000,00. Le due società avevano, peraltro, lo stesso amministratore. Inoltre, i prestiti erogati alla Nu. s.r.l. ed alla Cnr s.r.l., rispettivamente di Euro 1.062.376,20 e di 188.163,04, per un totale complessivo di Euro 1.250.539,24, non prevedevano la corresponsione di interessi, in assenza di delibere riferite alle operazioni di finanziamento. La contribuente, peraltro, aveva un rilevante debito verso la Cooperativa Conad con addebito di interessi passivi per i quali aveva ottenuto una dilazione di pagamento. Gli interessi vantati nei confronti della altre società, cui aveva erogato prestito, dovevano essere nella misura del 4,4%, con interessi attivi per Euro 55.024,00.

2.La contribuente deduceva in primo grado che l’operazione di locazione aveva una sua logica imprenditoriale, mentre l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto solo una parte del canone di locazione. La pattuizione in ordine alla gratuità degli interessi sui finanziamenti alla Nuca risultava da una lettera del 4-11-2003, dovendosi, peraltro, applicare il saggio legale. L’attività della società era stata sempre in crescita, fino a quando la Conad, di cui la Nu. gestiva un esercizio commerciale, aveva aperto un negozio in un grande centro commerciale. Non vi era stata alcuna distribuzione di utili ai soci.

3.La Commissione tributaria provinciale di Isernia rigettava il ricorso evidenziando l’antieconomicità del canone di locazione. Inoltre, rilevava che non vi era alcuna documentazione in ordine alla gratuità del mutuo concesso dalla Nu. alla Cnr, che il saggio degli interessi era stato desunto dall’indice Euribor a 12 mesi relativo all’anno 2006 incrementato dello spread dell’1%. Lo scostamento dagli studi di settore non era giustificabile, in quanto per anni vi erano state perdite di esercizio, con ampia divaricazione tra costi e ricavi, sì da determinare una condotta commerciale anomala, sufficiente a giustificare la rettifica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1. La distribuzione degli utili extracontabili ai soci derivava dalla circostanza che trattavasi di ristretta cerchia familiare.

4.Con l’appello la contribuente evidenziava che il canone di locazione elevato si giustificava con la necessità della contribuente di ottenere i locali adibiti a garage perchè erano sottostanti il proprio esercizio commerciale. In relazione agli interessi da finanziamento si rilevava che la gratuità era dimostrata dalla lettera del 4-11-2003, che l’amministratore aveva rinvenuto presso la Nu. soltanto in epoca successiva all’accesso. L’intesa del 2003 aveva successivamente ricevuto attuazione, attraverso la cessione di un ramo di azienda. Vi era stata violazione dell’art. 1284 c.c., in ordine alla determinazione del tasso degli interessi. Il giudice di prime cure non aveva motivato in relazione alle “gravi incongruenze” contestate alla contribuente. Mancavano elementi per attribuire gli utili ai familiari, titolari del capitale societario.

5.La Commissione tributaria regionale del Molise rigettava l’appello proposto dalla contribuente, rilevando che legittimamente l’Agenzia aveva utilizzato il metodo induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 in presenza delle gravi incongruenze tra i redditi dichiarati e le risultanze degli studi di settore. Inoltre, sussisteva l’irragionevolezza e l’antieconomicità nella gestione imprenditoriale, confermata dalle risultanze degli studi di settore, e costituente sintomo di evasione. L’onere della prova contraria in ordine agli studi di settore era a carico della contribuente.

6Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

7.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce “sulla ritenuta parziale indeducibilità della sublocazione stipulata dalla Nu. con la Nu. (odierna ricorrente); si deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4 e artt. 112,132 e 156 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 poichè il Giudice di appello ha totalmente omesso di statuire sulla legittimità della sentenza di primo grado, impugnata ritualmente sul punto (pag. 4 provvedimento qui impugnato)”. Per la ricorrente la “motivazione” della decisione impugnata “non prova neppure ad esaminare la legittimità dell’accertamento impugnato”, in relazione alla “ritenuta parziale indeducibilità della sublocazione”.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “sulla pretesa gratuità del finanziamento erogato alle società Nu. e Cnr dalla Nu.; si deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, nonchè artt. 112,132 e 156 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, poichè il giudice di appello ha totalmente omesso di statuire sulla legittimità della sentenza di primo grado, impugnata ritualmente sul punto (pag. 4 provvedimento qui impugnato). Si denuncia altresì la violazione e falsa applicazione degli artt. 1284 e 1815 c.c., anche in relazione al D.M. Tesoro datato 1 dicembre 2003 (in Gazzetta ufficiale 10 dicembre 2003, n. 286), ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3 (pag. 4 provvedimento gravato)”. Per la ricorrente la sentenza di appello ha “totalmente omesso di pronunciarsi” sul motivo di impugnazione dell’avviso di accertamento e sul relativo capo della sentenza di primo grado, “laddove l’Ufficio ha presunto oneroso il mutuo stipulato tra la Nu. e la Cnr e tra la Nu. e la Nu.. Inoltre, quanto ai finanziamenti il saggio legale nel 2006 era pari al 2,5%, mentre nell’avviso di accertamento è stato determinato nella misura del 4,4%, in assenza di qualsiasi pattuizione scritta.

La sentenza di prime cure, che aveva stabilito la legittimità del tasso di interesse “rettamente desunto dall’indice Euribor incrementato dello spread dell’1%”, è stata “implicitamente confermata” sul punto dal giudice di appello.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “sulla presunta distribuzione ai soci del maggior utile accertato in capo alla società Nuris; si deduce ancora la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, nonchè artt. 112,132 e 156 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, pichè il giudice di appello ha totalmente omesso di statuire sulla legittimità della sentenza di primo grado, impugnata ritualmente sul punto (pag. 4 provvedimento impugnato). Si denuncia altresì la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 anche in relazione all’art. 2729 c.c., ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3 (pag. 4 provvedimento impugnato)”. Il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sul motivo di impugnazione dell’avviso di accertamento, laddove l’Ufficio “ha presunto oneroso il mutuo stipulato tra la Nu. e la Cnr e tra la Nu. e la Nu.”. Tale statuizione risulta “confermata” dalla Commissione regionale “ab implicito”. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 poi, consente di imputare ai soci i redditi della società, per il principio di trasparenza, solo per le società di persone. L’Agenzia delle entrate non ha considerato sei, i soci della s.r.l. erano o meno persone fisiche. Inoltre, la stessa “assume quale unico indizio del fatto imponibile solamente l’appartenenza delle quote sociali a soggetti rientranti nella cerchia familiare”, senza verificare l’effettiva percezione da parte dei soci di utili extracontabii.

3.1.I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

3.2.La sentenza del giudice di appello è del tutto priva di motivazione, in quanto si utilizza una formula, priva di agganci e di riferimenti alla concreta fattispecie esaminata, completamente avulsa dagli elementi di fatto da esaminare, che può essere utilizzata per ogni tipologia di controversia.

Infatti, il giudice di appello si limita ad evidenziare che “in sede di accertamento affinchè lo stesso sia legittimo, non deve essere fornita la prova della pretesa fiscale, ma semplicemente la sua motivazione, e del resto la stessa Cassazione ha chiarito con la sentenza n. 24436/2008 che l’Amministrazione Finanziaria può ricorrere alla determinazione induttiva del reddito, anche fuori dai casi previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 laddove sia riscontrabile una grave e ingiustificabile incongruenza fra i componenti positivi dichiarati e quelli desumibili dall’attività svolta o dagli studi di settore”.

Come si vede la Commissione regionale non si occupa in alcun modo della valutazione degli elementi di fatto posti a base dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate nè delle difese della contribuente; in tal modo si tralasciano del tutto le questioni della sublocazione dell’immobile da parte della Nu. alla Mu. s.r.l., ad un prezzo di molto superiore rispetto a quello pagato dalla Nu., per il medesimo immobile, alla Inarcassa, con la connessa questione della inerenza dei costi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103. Nè si fa alcun rifermento alla questione dei mutui erogati in favore delle società Nu. e Cnr, senza la previsione di alcun interesse, in violazione dell’art. 1815 c.c., che prevede il mutuo come oneroso. Nè si tratta dell’entità del tasso di interesse considerato applicabile dalla Agenzia delle entrate. Nulla si espone sulla esistenza di una società a ristretta base partecipativa e sulla imputazione ai soci degli utili extracontabili.

La motivazione del giudice di appello prosegue affermando che “l’irragionevolezza e antieconomicità nella gestione imprenditoriale, confermata dalle risultanza dello studio di settore sorretta da elementi di fatto non contestabili, è comunque idonea a consentire la ripresa a tassazione di maggiori ricavi, e non si tratta solo di disappunto in merito alle scelte imprenditoriali, poichè all’Amministrazione Finanziaria, non importa criticare le capacità imprenditoriali degli amministratori della società, ma solo evidenziare come nella maggior parte dei casi tale antieconomicità e irragionevolezza imprenditoriale possa essere sintomo di evasione”.

Si nota che anche in questa pseudo motivazione, non vi è alcun riferimento concreto ai fatti di causa, ma solo una astratta argomentazione utilizzabile in ogni controversia.

Conclude, poi, la motivazione nel senso che “in ordine al valore probatorio presuntivo degli studi di settore, in questi casi, l’onere della prova in ordine al perchè di scelte che non sono in linea con i criteri di gestione economica dell’attività è senz’altro a carico del contribuente, ma non con mere affermazioni come nel caso di specie”.

Si fa riferimento al riparto dell’onere della prova in caso di applicazione degli studi di settore, ma, in realtà, l’accertamento è avvenuto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 in quanto gli studi di settore sono soltanto uno degli elementi valutati dall’Agenzia delle entrate per l’emissione dell’avviso di accertamento.

La sentenza del giudice di appello è stata depositata il 14-4-2014 e l’appello risulta depositato il 30-10-2012, sicchè non solo la censura per vizio di motivazione deve essere proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012, ma trova applicazione anche l’art. 348 ter c.p.c., in quanto in caso di “doppia conforme” che poggia sugli stessi elementi di fatto, è precluso il motivo di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente, però, non ha proposto il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’art. 348 ter c.p.c. si applica agli appelli in cui la citazione è stata notificata o il ricorso è stato depositato a decorrere dall’11-9-2012.

E’ stata, invece, censurata la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4 ed all’art. 132 c.p.c., quindi come vizio di omessa motivazione della sentenza, pur se la ricorrente ha anche prospettato il vizio di omessa pronuncia della decisione su alcune questioni, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., oltre alla violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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