Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26769 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 21/10/2019), n.26769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24619/2015 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma

rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Proietto giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente -0

contro

CASEIFICIO S.N. DI S.F. E C. SNC, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma rappresentato e difeso dall’avvocato Giampiero

di Lorenzo, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 79/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO

depositata il 31/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza 79/2015 del 31.3.2015 la Corte d’Appello di Campobasso ha confermato l’impugnata decisione di primo grado rideterminando tuttavia l’ammontare del dovuto – con cui il locale Tribunale, accogliendo la domanda del Caseificio S.N. di S.F. e C. s.n.c. nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena, aveva dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori risultante dal contratto di apertura di credito già in essere tra le parti ed aveva condannato la banca a ripetere in favore della società attrice le somme indebitate introitate al detto titolo.

1.2. Era nell’occasione opinione del decidente che la banca non potesse invocare a proprio vantaggio la norma transitoria contenuta nell’art. 7 della Delib. CICR 9 febbraio 2000 con cui si era data attuazione alle prescrizioni introdotte, aggiungendo all’art. 120 TUB il comma 2, dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 2, giusta la quale l’adeguamento dei rapporti in essere alle disposizioni recate dalla delibera in punto di interessi anatocistici poteva aver luogo anche a mezzo di pubblicazione delle nuove condizioni nella Gazzetta Ufficiale – dato che nella specie non era stato assolto nel termine pure previsto dall’art. 7 l’obbligo di fornire al cliente opportuna notizia dell’avvenuta variazione; così come d’altro canto nessun seguito poteva darsi al dispiegato appello in ordine al rigetto in primo grado dell’eccezione di prescrizione opposta dalla banca, dato che, essendo esso motivato sulla base di una duplice ratione (la prescrizione decorre dalla chiusura del conto e, al momento della citazione, il termine decennale non era ancora decorso; la prescrizione, allorchè abbia ad oggetto l’adempimento di un obbligo viziato da nullità, decorre dalla sentenza che accerta in via definitiva la nullità) ed essendo contestata solo la prima di esse, il corrispondente motivo doveva reputarsi inammissibile per difetto di specificità; e questo non senza ad ogni buon conto considerare, ai fini comunque dell’infondatezza nel merito della doglianza, che rettamente si era ritenuto che la prescrizione avesse decorrenza dalla chiusura del conto.

1.3. Per la cassazione di detta sentenza la banca si affida a tre motivi di ricorso, cui resiste la società con controricorso.

Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bisl c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Sostiene la ricorrente che l’impugnata decisione sarebbe, insieme, viziata da un errore di diritto e da un errore motivazionale. Sotto la prima angolazione essa violerebbe gli artt. 1283 e 1284 c.c. e l’art. 7 Delib. CICR 9 febbraio 2000, avendo la corte territoriale divisato l’illegittimità della pattuizione in punto di anatocismo, quantunque, non comportando essa un peggioramento delle condizioni contrattuali antevigenti, si fosse provveduto ad adeguare il rapporto alle condizioni imposte dalla citata delibera mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e fermo, in ogni caso, che se ne sarebbe dovuta riconoscere l’efficacia a partire dal primo estratto conto in cui ne era stata data notizia alla correntista, piuttosto che escluderla con riferimento all’intero rapporto. Sotto la seconda angolazione non avrebbe considerato sia il dettato della norma di secondo livello che gli effetti seguiti all’inoltro del primo estratto conto utile.

3. Il ragionamento così dispiegato è frutto, tuttavia, di un evidente errore di impostazione. Si omette infatti di considerare che a seguito del declassamento da uso normativo ad uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo operato dalle SS.UU. è venuta meno ogni legittima deroga in quell’ambito all’art. 1283 c.c. e le relative clausole, in guisa delle quali gli interessi debitori venivano periodicamente capitalizzati, sono state travolte dalla nullità per contrasto con la norma codicistica. La conseguenza di questa premessa è che “in tema di controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione” (Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24156; Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24153; Cass., Sez. I, 17/08/2016, n. 17150). E’ questo è quanto ha rettamente sancito sul punto la decisione impugnata.

4. Oppone, tuttavia, la banca, svolgendo la prima obiezione in diritto, di aver proceduto ad adeguare le condizioni contrattuali applicate al rapporto con la S., secondo le disposizioni recate dalla ricordata Delib. del CICR, mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

L’obiezione si rivela però di poco momento alla luce della premessa di cui si è fatto cenno. Intanto occorre dire che l’art. 7 della citata Delib. CICR, cui si riporta la ricorrente, è una norma transitoria che, ancorchè inserita nel contesto di un atto deliberativo assunto dal CICR a mente dell’art. 120, comma 2 TUB, come aggiunto dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 2, si correla, per comunanza di fini, al D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, introduttivo nel medesimo art. 120 TUB del comma 3, sicchè essendosi di questo dichiarata l’illegittimità costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, la detta norma è stata privata di efficacia e la nullità dell’anatocismo bancario per come praticata, che con il D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, si era tentato di comprimere, ha ripreso tutto il suo innato vigore. E questo non è senza riflessi circa il merito dell’obiezione, giacchè, a parte il rilievo ostativo oppostovi dal decidente – che non è perciò incorso nell’omesso esame del fatto, ma ne ha solo emendata la lettura compiutane dalla banca -, se la clausola di capitalizzazione degli interessi a debito è affetta da nullità, sembra difficile negare che l’adeguamento alle disposizione della Delib. CICR delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell’anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali. Ed allora la norma applicabile non sarà quella dell’art. 7, comma 2 Delib. CICR – già di per sè, qui caducata di ogni efficacia per quanto osservato in precedenza – ma quella del medesimo art. 7, comma 3 (“Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela”), con la conseguenza – che perime anche la seconda obiezione in diritto che, non essendo stata approvata dalla S., l’operata variazione contrattuale, pur se in linea con le altre disposizioni della delibera, è inefficace nei suoi confronti e non impedisce alla nullità di dispiegare ogni suo più ampio effetto con riguardo all’intera durata del rapporto.

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile e la sua inammissibilità rendendo definitiva la sentenza in punto di prescrizione esime dall’esame del terzo motivo di ricorso.

6. Argomenta la banca con il detto secondo motivo di ricorso l’erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. poichè, contrariamente al pensiero del decidente, il motivo con cui si era contestata la decisione di primo grado, nella parte in cui questa aveva respinto la formulata eccezione di prescrizione della domanda di indebito per decorso del termine decennale dall’esecuzione delle singole rimesse operate sul conto, era stato declinato in adesione al comando normativo contenendo una critica sufficientemente specifica all’operato del primo giudice.

7. Così compendiato il motivo non intercetta tuttavia la ratio primaria del pronunciamento impugnato in punto di prescrizione. La Corte d’Appello ha invero ravvisato il rilevato difetto di specificità sul presupposto che l’impugnata decisione di primo grado era assistita da una duplice ratio decidendi, annotando, di seguito alla constatazione che la prima di esse si concretava nell’affermazione secondo cui la prescrizione in materia decorre dalla chiusura del conto, che “il Tribunale ha affidato la decisione reiettiva dell’eccezione di prescrizione anche ad altra ragione autonoma e diversa da quella della ritenuta coincidenza della decorrenza del termine di prescrizione con la data di chiusura del conto”, consistente nel richiamarsi all’insegnamento secondo cui, trattandosi di azione diretta a ripetere la prestazione divenuta indebita per effetto della nullità che affligge l’obbligazione che la impone, la prescrizione comincerebbe a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità. E poichè nel proporre il gravame la banca aveva omesso di censurare anche questa seconda ragione, la Corte d’Appello si è ritenuta in dovere, richiamandosi all’orientamento che rende incontestabile la decisione se non ne siano impugnate tutte le autonome ragioni che la sorreggono, di dichiarare l’appello inammissibile appunto per difetto di specificità.

8. Altrettanto si impone di fare del gravame proposto in questa sede, atteso che il motivo si limita a confutare il rilievo ostativo operato dalla Corte di merito, rivendicando la specificità del motivo portato al suo vaglio, ma si astiene dall’interloquire con le ragioni che hanno indotto il decidente a dichiarare previamente l’inammissibilità del gravame avanti a sè, nuovamente incorrendo perciò in un difetto di specificità che rende il motivo inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

9. Il ricorso va dunque respinto.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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