Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26768 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 25/11/2020), n.26768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 450/2014 R.G. proposto da:

L.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Ferri, giusta

procura apposta a margine del ricorso, elettivamente domiciliato in

Roma, presso il suo studio, in via Ipponio, 8;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione distaccata di Latina, n. 571/40/2012, depositata il 5

novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da L.A., esercente attività di parrucchiere, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Frosinone che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno 2006, ai fini Irpef ed Iva, anche tenendo conto delle indagini bancarie svolte ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 pure in relazione a conti correnti della società Nova s.n.c. e della Giovani Eventi s.r.l.. Il giudice di appello evidenziava che il contribuente appellante si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni rappresentate con il ricorso di primo grado, non avendo fornito in sede di gravame documentazione idonea a contrastare tale decisione. 2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’effetto devolutivo dell’appello ed all’omesso esame dei motivi di impugnazione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53) da parte della CTR di Latina”, non avendo il giudice di appello fornito risposta a tutte le censure sollevate dal contribuente con l’atto di appello, rendendo una pronuncia “che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata ma…con una motivazione così astratta da essere valida per qualsiasi contesto”. Inoltre, nell’atto di appello non è necessario aggiungere altri elementi rispetto al ricorso di primo grado, ma è sufficiente chiedere una rivisitazione della “valutazione dei motivi che si intende impugnare”.

1.1.Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale ha rigettato in toto l’appello proposto dal contribuente, sicchè sui motivi di impugnazione v’è stato un rigetto implicito. Peraltro, il giudice di appello ha ritenuto espressamente destituita di fondamento l’eccezione riproposta dal contribuente con il gravame in ordine alla pretesa violazione dei principi dello statuto del contribuente.

2.Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’omessa pronuncia dei giudici della CTR di Latina sul motivo di impugnazione, concernente il difetto di motivazione della sentenza della CTP di Frosinone, in ordine alla documentazione prodotta in allegato al ricorso in primo grado”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto neppure della circostanza che lo stesso Ufficio aveva riconosciuto che almeno in parte era stata prodotta documentazione tale da giustificare le movimentazioni riscontrate. Nessuna valutazione “viene resa dalla CTR di Latina, in ordine alla documentazione allegata al ricorso di I grado e riprodotta in grado di appello. Nè il collegio “risponde alla censura del contribuente, in ordine al vizio di motivazione della sentenza di primo grado”.

2.1.Tale motivo è infondato.

Invero, il giudice di appello ha espressamente affermato che la sentenza di primo grado aveva affrontato i motivi di ricorso del contribuente.

Infatti, la Commissione regionale ha rilevato, in ordine al motivo di appello per cui il giudice di prime cure aveva omesso di pronunciare “sulle eccezioni prospettate e concernenti la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2 e art. 7, comma 1”, che “l’eccezione riproposta dall’appellante è destituita di fondamento. Nessuna violazione dello statuto del contribuente è ravvisabile nella fattispecie…”.

Inoltre, si evidenzia che, in considerazione dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, con la conseguenza che il giudice di secondo grado investito delle relative censure non può limitarsi a dichiarare la nullità ma deve decidere nel merito, non può essere denunciato in cassazione un vizio della sentenza di primo grado ritenuto insussistente dal giudice d’appello (Cass. Civ., 19 gennaio 2018, n. 1323).

Si è anche affermato che il vizio di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione non rientra fra quelli, tassativamente indicati, che ai sensi dell’art. 354 cod. proc. Civ. (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59 per il processo tributario), comportano la rimessione della causa al primo giudice, dovendo il giudice del gravame, ove ritenga la sussistenza del vizio, porvi rimedio pronunciando nel merito della domanda, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale (Cass., 17 giugno 2014, n. 13733). Il giudice di appello, quindi, anche ove avesse ritenuto sussistente il vizio di nullità della sentenza di primo grado, per omessa motivazione della stessa, avrebbe dovuto, comunque, esaminare il merito della controversia, come ha effettivamente fatto.

3.Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “omessa motivazione circa il punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione alla idoneità della documentazione allegata al ricorso di primo grado, quale prova contraria sui movimenti dei conti correnti bancari”, in quanto il giudice di appello ha reso una motivazione solo apparente avendo omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il suo convincimento.

3.1.Tale motivo è inammissibile.

Infatti, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente sino al D.L. n. 83 del 2012, applicabile alla sentenze depositate sino al 10-9-2012, mentre, nella specie, la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 5-11-2012, sicchè la doglianza avrebbe dovuto avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.

4.Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto il giudice di appello ha omesso di esaminare la circostanza che il contribuente ha fornito la prova contraria in ordine a tutte o parte delle movimentazioni bancarie riscontrate dalla Guardia di finanza.

4.1.Tale motivo è inammissibile, in quanto la censura sulla motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alla sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012, deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, primario o secondario, ma non l’omesso esame di elementi istruttori.

5.Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51”, non avendo il giudice riscontrato la riferibilità dei conti correnti della società Nova snc e della Giovani Eventi s.r.l. al contribuente.

6.Con il sesto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 2729 c.c.”, in quanto il ricorrente ha ricostruito analiticamente le movimentazioni in uscita riscontrate dalla Guardia di finanza, individuando singolarmente i soggetti beneficiari dei prelevamenti per ciascun conto corrente.

7.Con il settimo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omessa motivazione circa il punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione alla indicazione dei beneficiari dei prelevamenti”, in quanto il giudice di appello non ha effettuato la comparazione tra le movimentazioni riscontate dalla Guarda di finanza ed i nominativi dei beneficiari dei prelevamenti indicati dal contribuente con le operazioni effettuate sui conti correnti.

8.Con l’ottavo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto della specifica indicazione dei beneficiari dei prelevamenti fornita dal contribuente anche con la produzione in giudizio dei documenti rappresentativi delle operazioni transitate sui conti correnti.

8.1.I motivi quarto e quinto, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

8.2.Va considerato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 29 luglio 2016, n. 15857). Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., 30 dicembre 2015, n. 26111).

8.3.Va, poi, osservato che, in tema di accertamenti bancari, ove il contribuente fornisca prova analitica della natura delle movimentazioni sui propri conti in modo da superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 il giudice è tenuto ad una valutazione altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato, non essendo a tal fine sufficiente una valutazione delle suddette movimentazioni per categorie o per gruppi (Cass., 28 novembre 2018, n. 30786).

9.1.Inoltre, con riferimento alla acquisizione di dati contabili da conti correnti nella disponibilità di terzi soggetti, si rileva che, secondo parte della giurisprudenza di legittimità, in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 riguardo all’IVA, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass. Civ., 30 luglio 2018, n. 20118; Cass. Civ., 10 febbraio 2017, n. 3628; Cass. Civ., 1 febbraio 2016, n. 1898; Cass. Civ., 1 ottobre 2014, n. 20668; Cass. Civ., 4 agosto 2010, n. 18083, dove si dà atto che la più recente giurisprudenza, pur non rinnegando il principio per cui l’ufficio deve provare l’intestazione fittizia a terzi dei conti correnti, valorizza a fini probatori il solo dato presuntivo della relazione di parentela; Cass. Civ., 20449/2011 ove si afferma il medesimo principio in tema di società di persone). In particolare, proprio in questa ultima pronuncia (Cass. Civ., 20449/2011) l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, poi accolto, in quanto il giudice di appello non aveva considerato che la società di persone (in accomandita semplice) non operava con conti correnti propri, ma con quelli intestati a soci e parenti.

9.2.Altra parte della giurisprudenza, invece, non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti personali (Cass. Civ., 12817/2018, in tema di s.r.l., per cui la Commissione regionale non ha tenuto conto del fondamentale elemento della sostanziale assenza di autonome fonti di reddito in capo a tre dei quattro soci; Cass. Civ., 14 novembre 2003, n. 17423 anche valorizzando la circolare ministeriale 22.4.1980 e la risoluzione ministeriale 4.6.1992, che indicano gli elementi presuntivi in lettere commerciali e ordinativi di commissione).

9.3.In relazione alle società a responsabilità limitata, si è affermato (Cass., 12 gennaio 2009, n. 374) che, in tema di infedeltà della dichiarazione IVA, derivante dall’omessa annotazione di operazioni imponibili ed omessa fatturazione, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, consente di procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse, quindi, le indagini bancarie, previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale. In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come tnammissibileì presunzione di doppio grado, poichè è il D.P.R. n. 633 cit., art. 51, comma 2, n. 2), a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Analogamente, si è ritenuto che sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7 autorizzano l’Ufficio a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, quando sussista ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti (Cass., 5849/2012; anche Cass., 27032/2007).

Le medesime considerazioni valgono per la persona fisica, con riferimento ai conti correnti intestati, invece, a società.

9.4.Solo se vi è la dimostrazione della concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie trova applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, che, attribuendo all’ufficio delle imposte il potere di procedere a accertamenti bancari, prevede espressamente una presunzione legale a carico del contribuente, ciò che comporta una vera e propria inversione dell’onere della prova in forza della quale egli è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e dimostrare che gli stessi sono estranei al reddito non essendo a lui di fatto riferibili, senza che rilevi, in senso contrario, la regolarità formale della documentazione aziendale (Cass.Civ., 7 febbraio 2008, n. 2843). 9.5.11 giudice di appello, dunque, consentendo l’utilizzazione a fini probatori delle movimentazioni dei conti correnti di società terze, per accertare maggiori redditi societari, senza valutare la sussistenza di elementi indiziari che facessero emergere la riferibilità alla società dei conti delle diverse società, è incorsa in violazione di legge ed ha omesso di esaminare tale fatto decisivo.

10.Costituisce, peraltro, ius receptum (Cass., 3 maggio 2018, n. 10480) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, omologo art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. 3 U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata).

In tale grave vizio incorre la sentenza in esame che afferma in maniera apodittica il mancato superamento da parte della società contribuente della presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, senza considerare in alcun modo gli elementi probatori specificamente elencati (segnatamente: operazioni effettuate sui conti correnti (OMISSIS) della Banca di Carige; (OMISSIS) presso la Banca di Roma; (OMISSIS) presso la Banca di Credito Cooperativo Alto Casertano e Basso Frusinate, prelevamenti per esigenze familiari, specifici beneficiari, giroconti), e senza che la CTR fornisca alcuna spiegazione con specifico riferimento alle singole poste accertate come ricavi non dichiarati.

Infatti, come detto, in materia di accertamenti bancari, all’onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell’Erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici -, di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, v. Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014), corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie – in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) -, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica.

Al riguardo si rileva che per questa Corte, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 11102 del 2017).

11.Il settimo motivo è inammissibile.

Infatti, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione, utilizzando però la formulazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012, mentre la sentenza di appello è stata resa il 5-12-2012.

12. L’ottavo motivo è inammissibile.

Infatti, la nuova formulazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dopo le modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, consente la censura sulla motivazione solo per l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ma non per l’omessa valutazione di elementi istruttori.

13.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

 

 

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