Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26767 del 22/12/2016

Cassazione civile, sez. I, 22/12/2016, (ud. 26/05/2016, dep.22/12/2016),  n. 26767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.G. elettivamente domiciliato in Roma, via G.

Pezzana, n. 109, nello studio dell’avv. Maria Rosaria Bello;

rappresentato e difeso dall’avv. Cinzia Molinaro, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AVV. G.D. QUALE TUTORE DEL MINORE B.L.S.

elettivamente domiciliato in Roma, largo Messico, n. 3, nello studio

dell’avv. Matteo Ghisalberti; rappresentata e difesa dall’avv.

Franco Argenati, giusta procura speciale on calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

O.I.;

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APEPLLO DI ANCONA;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di ancona n. 305,

depositata in data 29 aprile 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 maggio 2016 dal Consigliere relatore Dott. Pietro Campanile;

sentito per il ricorrente l’avv. A. Bonelli, munito di delega;

Viste le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.

Gen. dott.ssa CERONI Francesca, la quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 7 agosto 2009 il Tribunale di Ancona rigettava la domanda di disconoscimento della paternità proposta nei confronti di B.G. da parte del curatore speciale del minore B.L.S..

Con la sentenza indicata in epigrafe La Corte di appello di Ancona, in accoglimento del gravame proposto dal curatore speciale del minore, ha dichiarato che lo stesso non è figlio di B.G.. In particolare, la Corte distrettuale, dopo aver rilevato che non vi era contrasto fra il favor minoris e il favor veritatis, in quanto l’accertamento del veridico rapporto di filiazione è inteso a garantire al minore il diritto alla propria identità, ha affermato che le deduzioni dell’appellato circa i rischi per il minore derivanti dal disconoscimento (effetti traumatici con senso di “sradicamento”, desumibili da una consulenza esperita in altro giudizio svoltosi davanti al Tribunale per i Minorenni) non potevano essere prese in considerazione, in quanto “il contesto affettivo e psicologico non attesta la carenza d’interesse al disconoscimento e risulta avulso dal quadro del “favor legitimitatis”.

E’ stato posto quindi in evidenza che le risultanza probatorie, fra le quali il trasferimento in Nigeria della madre del minore sin dal novembre del 2005, nonchè la sottoposizione dell’appellato a cure contro la sterilità, deponevano nel senso dell’insussistenza del rapporto biologico di filiazione, come inequivocabilmente emerso dalle indagini di natura genetica all’uopo esperite.

Per la cassazione di tale decisione il B. propone ricorso, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il curatore del minore.

Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 235 e 244 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che non sussiste nell’ordinamento, anche sulla base della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, quell’assoluta prevalenza del favor legitimitatis, posta a fondamento della decisione impugnata.

Con la seconda censura si prospetta la violazione dell’art. 100 c.p.c., e art. 244 c.c., nel senso che la corte territoriale avrebbe sostanzialmente privilegiato l’interesse all’azione, rapportandolo alla curatela del minore, e non quello di quest’ultimo al disconoscimento. Sotto tale profilo si è evidenziato che, considerate anche le condizioni di infermità psichica della madre, all’esito del disconoscimento il minore B.L.S., nato il (OMISSIS), sarebbe privato di quell’unica assistenza prestatagli dal padre e si troverebbe esposto a una dichiarazione di adottabilità, il cui procedimento sarebbe per altro già pendente.

Gli esposti motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in considerazione della loro intima correlazione, sono fondati.

Dalla scarna motivazione della decisione impugnata sembra emergere l’affermazione di una sostanziale divaricazione fra il “favor veritatis” e il “favor minoris”, a tal punto che l’interesse del minore, soprattutto come nella specie, infrasedicenne (anzi, in base alla modifica dell’art. 244 c.c., per effetto del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 18, infraquattordicenne), apparterrebbe a un contesto diverso dalle valutazioni richieste nel giudizio di disconoscimento della paternità instaurato ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c.. Il corollario di tale impostazione è il giudizio di irrilevanza in merito al pregiudizio che il minore avrebbe subito a seguito del disconoscimento, emergente da un accertamento peritale esperito nell’ambito di un parallelo giudizio svoltosi davanti al Tribunale per i Minorenni.

Tale impostazione non può essere affatto condivisa. Giova premettere, in linea generale, che, come già affermato da questa Corte (Cass., 10 aprile 2012, n. 5653; Cass., 30 maggio 2013, n. 13638), sebbene debba ritenersi che il succedersi degli interventi della Corte costituzionale e di questa stessa Corte segnali una progressiva e lenta affermazione, anche alla luce dei progressi registrati sul piano tecnico e scientifico, nonchè dei mutamenti intervenuti nel quadro normativo e nella stessa sensibilità sociale in tema di rapporti fra filiazione legittima e naturale (nel senso della tendenziale abolizione di ogni pregiudizievole disfavore nei confronti della seconda), del “favor veritatis”, rimane coessenziale all’ordinamento l’esigenza di un bilanciamento, in quanto il superamento della finalità, che permeava l’originaria impostazione legislativa, di preservare lo status di figlio legittimo non elide la necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status.

Come questa Corte ha già affermato, pur a fronte di un accentuato favore per una conformità dello status alla realtà della procreazione – chiaramente espresso nel progressivo ampliamento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della verità biologica – il “favor veritatis” non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost., non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale, ma, nel disporre al comma 4 che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica, nonchè di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio.

Con riferimento, poi, all’ipotesi in cui l’azione venga promossa, come nella specie, da un curatore speciale ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c., vale bene ricordare che la Corte costituzionale in una non recente, ma sempre attuale, pronuncia (Corte cost. n. 429 del 1991), ha affermato che, “se si tratta di un minore di età inferiore ai sedici anni, la ricerca della paternità, pur quando concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata ai sensi dell’art. 235 c.c. o art. 274 c.c., comma 1, non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente, all’assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui contro il quale si intende promuovere l’azione: interesse che dovrà essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell’esigenza di evitare che l’eventuale mutamento dello status familiare del minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l’educazione”.

Vale bene, a questo punto, sgombrare il campo dalla suggestione che il giudice investito della domanda proposta dal curatore speciale sia esonerato dalla valutazione della rispondenza o meno degli effetti del disconoscimento all’interesse del minore, perchè già effettuata in relazione all’istanza del pubblico ministero in relazione alla nomina del curatore speciale stesso. Tale orientamento, pur desumibile da un risalente arresto di questa Corte (Cass., 5 gennaio 1994, n. 71), deve ritenersi superato al lume delle successive pronunce che hanno affermato la carenza di definitività e decisorietà del provvedimento di nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c., (Cass., 25 novembre 1998, n. 11947), peraltro all’esito di un procedimento in cui soltanto il pubblico ministero assume la qualità di parte (Cass., 11 settembre 2003, n. 13892). Appare di intuitiva evidenza come il giudizio circa la valutazione dell’interesse del minore, ove si consideri anche la rilevanza del principio del contraddittorio e la delicatezza della materia, non possa non conseguire all’esito di un giudizio di cognizione piena, e non possa essere affidato alle valutazioni, all’esito di “sommarie informazioni”, inerenti all’opportunità o meno di procedere alla nomina del curatore speciale, vale a dire al promovimento dell’azione di disconoscimento in nome e per conto del minore. Il rilievo attribuito alla volontà di quest’ultimo, assolutamente inesplorata nella decisione impugnata, emerge dalla novellata disciplina in materia di ascolto quale emerge dall’art. 336 bis c.c. (su tali aspetti cfr. Cass., 6 marzo 2015, n. 6129; Cass., 5 marzo 2014, n. 5237; Cass., 2 agosto 2013, n. 18538).

La centralità dell’interesse del minore nelle azioni di stato è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale, che di recente ha ribadito che “la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi prima di giungere a qualunque decisione, stabilendo (tra l’altro) che l’autorità stessa deve acquisire informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”, aggiungendo che “la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell’art. 24, comma 2, prescrive che In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente; e il comma terzo del medesimo articolo aggiunge che Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.

A tale principio ormai acquisito in ambito internazionale corrisponde analogo indirizzo dell’ordinamento interno, nel quale “l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità, specialmente dopo la riforma attuata con L. 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore” (Corte costituzionale, n. 31 del 2012).

Contrariamente a quanto affermato nell’impugnata decisione, il quadro normativo attuale, come interpretato dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti, impone un bilanciamento fra l’esigenza di affermare la verità biologica, anche in considerazione delle “avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini” (così Corte cost. 12 gennaio 2012, n. 7) con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia.

Tale bilanciamento, traguardato nell’ottica dell’interesse superiore del minore, non può costituire il risultato di una valutazione astratta: in proposito deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte in merito alla necessità di un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di una sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 8 novembre 2013, n. 25213; Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651; Cass., 27 giugno 2006, n. 14840; Cass., 30 maggio 1997, n. 4834; Cass. 24 settembre 1996, n. 8413).

La Corte di appello di Ancona ha consapevolmente omesso tale doveroso accertamento, affermandone la totale irrilevanza ai fini del disconoscimento.

L’impugnata decisione deve, pertanto, essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Ancona, che, in diversa composizione, applicherà i principi sopra indicati, provvedendo, altresì, in merito al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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