Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26766 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 25/11/2020), n.26766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6019/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Bixio 15 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio legale

tributario dell’Avv. Giampiero Tasco e dell’Avv. Giorgio Pozzi, che

la rappresentano e la assistono giusta procura apposta in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 77/3/2012, depositata il 12 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.L’Agenzia delle entrate emetteva due avvisi di accertamento nei confronti della Bi. 15 s.r.l., per gli anni 2004 e 2005, con i quali, sulla scorta di elementi che deponevano per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis (disposizioni antielusive), disconosceva la variazione in diminuzione pari ad Euro 6.046.000,00, non sussistendo i presupposti per il regime di PEX (partecipation exemption) ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87. In particolare, si riteneva che la cessione delle quote della Monte Rosa s.r.l. (partecipata al 100% dalla Bi. 15 s.r.l.) alle società Myland e Platinum Re s.r.l., in data 31-5-2004, per Euro 6.150.000,00, con successiva cessione delle quote da parte delle due società ad una società olandese il 31-12-2005, per soli Euro 400.000,00, con una minusvalenza di Euro 5.762.000, non potesse godere del regime fiscale della Pex. Per l’Ufficio le società appartenevano ad uno stesso gruppo societario, con la stipula di una vendita solo fittizia e con applicazione, quindi, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis tanto che il bonifico da parte della Myland e della Platinum Re s.r.l. in favore della Bi. 15 s.r.l., per l’acquisto delle quote della Monte Rosa s.r.l., era stato effettuato da S.G., rappresentante della Holding del gruppo ” S.”, del quale la Bi. 15 s.r.l. era una sub-holding.

2.La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso della contribuente, mentre la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando che l’appello era carente della specificità dei motivi di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 che l’avviso di accertamento non era specificamente motivato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 che la società Bi. 15 s.r.l. non apparteneva al Gruppo ” S.”, che non vi erano elementi indiziari per dimostrare che le operazioni fossero state effettuate per consentire la distribuzione dell’utile senza che la Monte Rosa s.r.l. pagasse le imposte. Non era stata contestata la congruità del valore delle quote e la Bi. 15 s.r.l. si era limitata ad applicare il regime fiscale agevolativo della Pex sussistendone tutti i presupposti.

3.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

4.Resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. Vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto il giudice di appello ha reso solo una motivazione apparente, meramente ripetitiva di quanto affermato dai giudici di prime cure, senza affrontare in alcun modo le specifiche censure sollevata dalla Agenzia delle entrate con l’atto di appello. La motivazione della Commissione regionale è del tutto insufficiente, in quanto “l’accertamento da parte del giudice tributario dei fatti dedotti e la loro valutazione devono essere sorretti in sentenza da una motivazione immune da vizi ed, in particolare, da una motivazione sufficiente”. Nel motivo si evidenzia che “nel caso di specie non vengono indicati i motivi per cui le argomentazioni svolte dall’Ufficio non vengono condivise e l’appello sia stato considerato infondato”. Il giudice di appello ha omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento “senza una approfondita disamina logico-giuridica”. La Commissione regionale afferma di condividere l’orientamento della Commissione provinciale, senza prendere posizione sui singoli motivi di appello.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto erroneamente che l’Agenzia delle entrate, nell’atto di appello, non ha articolato motivi specifici, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53. In realtà, nell’appello sono presenti motivi di impugnazioni specifici, su cui il giudice del gravame non ha pronunciato, incorrendo nel vizio di apparente motivazione.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare che l’avviso di accertamento non era specificamente motivato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1942, art. 42 mentre nell’avviso di accertamento, trascritto nel ricorso per cassazione, si evidenzia una articolata motivazione.

3.1 tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

3.2. Invero, la ricorrente ha riportato e trascritto l’atto di appello, che contiene critiche specifiche alla sentenza della Commissione provinciale impugnata, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

L’atto di appello ricostruisce i termini della controversia, che sorge per la contestazione da parte della Agenzia delle entrate, per gli anni 2004 e 2005, in ordine a due negozi stipulati, il primo, dalla Bixio 15 s.r.l., il 31-5-2004, con la vendita delle quote della Monte Rosa s.r.l. (interamente partecipata dalla Bixio 15 s.r.l.), alle due società di nuova costituzione Myland e Platinum Re s.r.l., per la cifra di Euro 6.150.000,00, ed il secondo, stipulato dalle due ultime società in favore di una compagine olandese, delle stesse quote della Monte Rosa s.r.l, al prezzo di Euro 400.000,00, con una minusvalenza di Euro 5.762.000, portata in compensazione del maggiore utile della Monte Rosa pari ad Euro 7.355.885, e per il principio di trasparenza ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 115 delle due socie Myland e Platinum Re s.r.l., con l’artificio di avere chiuso il bilancio della Monte Rosa, anzichè al 31-12-2004, al 31-5-2005 (periodo fiscale dall’1-6-2004 al 31-5-2005).

Nell’atto di appello si ritiene che la prima vendita sia, in realtà, fittizia, perchè le società acquirenti, pur con un modesto capitale sociale, ottengono dalla Meliorbanca un finanziamento di Euro 3.075.000,0 per ciascuna (totale Euro 6.150.000,00), della durata di soli sei giorni, quindi dal 30-11-2004 sino al 612-2004.

La garanzia, seppure “informale” per l’erogazione di tale prestito sarebbe giunta dalla stessa Monte Rosa s.r.l., la quale, il 19-11-2004, quindi pochi giorni prima dell’erogazione del prestito, effettuava un giroconto sul suo conto corrente presso la Meliorbanca per Euro 6,2 milioni. Nella stessa data (19-112004), la Bixio 15 s.r.l. versava sul conto corrente, intestato alla M.A. s.r.l., la somma di Euro 5,9 milioni. Il pagamento da parte delle acquirenti alla Bixio 15 srl viene effettuato l’1-12-2004.

Per l’Agenzia delle entrate, dunque, vanno valorizzati tre elementi: 1) il fido concesso dalla Meliorbanca a società con modesto capitale sociale, oltre che non operative (rimaste in vita per soli tre anni), è antieconomico; 2) la Monte Rosa ha prestato una “garanzia informale” in favore delle future acquirenti delle proprie partecipazioni; 3) vi è stata violazione del disposto dell’art. 2474 c.c. (operazioni sulle proprie partecipazioni: “In nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisti o la loro sottoscrizione”).

Nella ricostruzione delle Agenzia delle entrate, dunque, come effettuata anche con i motivi di appello, la Bixio 15 s.r.l. ha acquisito una plusvalenza di circa Euro 6.000.000 dalla vendita delle quote di Monte Rosa, con esenzione da tassazione della cessione della partecipazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87 (Pex), per il 95% del valore, con indicazione in bilancio di una variazione in diminuzione per Euro 6.046.000,00.

Si tratterebbe di una complessa operazione fittizia, all’interno del gruppo ” S.”, tanto che è proprio S.G. ad effettuare il bonifico per il pagamento delle quote della Monte Rosa.

La seconda operazione, poi, è preparata da una modifica della durata dell’esercizio della Monte Rosa, portata dal 21-12-2004 al 31-5-2005, sicchè l’esercizio ha la durata dall’1-6-2004 al 31-5-2005. In tal modo, quando le due società Myland e Platinum Re vendono in data 28-12-2005 le stesse quote della Monte Rosa ad una compagine olandese per Euro 400.000,00, si realizza una minusvalenza di Euro 5.762.000,00, in quanto gli utili della Monte Rosa pari ad Euro 7.355.885,00, vengono decurtati della minusvalenza di Euro 5.762.000,00. La Monte Rosa ha poi optato per il regime di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 115 sicchè alle due socie Myland e Platinum Re passano sia gli utili che la minusvalenza.

Il tutto avverrebbe, quindi, all’interno di una operazione infragruppo. Indici in tal senso giungerebbero, secondo l’atto di appello, sia dalla circostanza che il pagamento delle spese contrattuali è stato accollato al gruppo ” S.” e non alle società acquirenti, sia dal fatto che F.D., amministratrice di Bixio 15 s.r.l., partecipa alle Delibere della Monte Rosa s.r.l., anche dopo la cessione delle quote in data 31-5-2004, tanto che il 7-6-2004 è ancora presente in assemblea della Monte Rosa. Il cambio della durata dell’esercizio sociale avviene con Delib. 31 maggio 2004, con durata dall’1-6-2004 sino al 31-52005, unico modo questo per far imputare, ancora nel 2005, l’utile conseguito dalla socia controllata Monte Rosa, sebbene al 31-12-2005 la Myland e la Platinum s.r.l., non fossero più socie della Monte Rosa, avendo venduto le quote il 28-12-2005.

Inoltre, la Platinum Re era partecipata dalla Melior Trust, il cui Presidente del consiglio di amministratore era R.R., ora membro del comitato esecutivo della Meliorbanca.

3.3. Pertanto, si rileva che l’Agenzia delle entrate ha articolato un atto di appello che va a contestare tutti i passaggi argomentativi della sentenza di prime cure. E’ sufficiente scorrere l’atto di appello, trascritto nel corpo del ricorso per cassazione, per verificare che la ricorrente ha impugnato tutti i passaggi argomentativi della sentenza di primo grado (pagina 21 ricorso per cassazione “Questo, risponde ampiamente ai 6 punti indicati dalla CTP a pagina n. 16 della sentenza, punti che devono essere considerati piuttosto che singolarmente in maniera sistematica, perchè è l’intero disegno ad essere elusivo. Il pagamento avvenuto dal Sig. S. dimostra che l’intera vicenda è stata organizzata dal Gruppo S. e che vi è una connessione tra le varie società che va oltre l’apparente cessione delle quote. La Commissione, sembra non voler andare oltre”).

Nell’appello si chiarisce ancora che “infine la CTP ha ritenuto che, se vi fosse un disegno elusivo, questo andrebbe ascritto alla società che ha prodotto l’utile sottratto alla tassazione, ovvero la Monte Rosa s.r.l.. A tal proposito la CTP non ha tenuto in buon conto che l’operazione è stata un’operazione di gruppo, concertata per un vantaggio comune ed, in primis, per un vantaggio della Bixio 15 s.r.l.. Infatti, secondo l’Agenzia delle entrate la cessione delle quote dalla Bixio 15 srl alle società neo-costituite ha generato una plusvalenza di Euro 6.046.708,00, che non ha subito alcuna tassazione in quanto in regime di Pex D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 87. Si è realizzata una cessione della partecipazione “utili compresi”, senza che poi tale utile prodotto dalla società partecipata sia sottoposto successivamente a tassazione.

I motivi, quindi, sono specifici e dettagliati a vanno a confutare tutte le argomentazioni della sentenza di prime cure che aveva accolto il ricorso della contribuente. In particolare, si fa riferimento anche alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis all’epoca vigente, con il conseguente disconoscimento della variazione in diminuzione per Euro 6.046.000,00 derivante dalla applicazione del regime fiscale della Pec di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87.

Per questa Corte, peraltro, nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. (Cass., n. 24641/2018).

3.4.Dinanzi ad un atto di appello redatto con l’articolazione di specifici motivi di impugnazione, atti a contrastare le argomentazioni della sentenza di prime cure, con una accurata e dettagliata descrizione di tutte le operazioni effettuate tra le parti e con la individuazione del ruolo del Gruppo S. all’interno di tale complessa vicenda, il giudice di appello si è limitato ad osservare che “nell’appello mancano i motivi specifici”, che “l’avviso di accertamento non risulta specificamente motivato” e che “inoltre le presunzioni dell’Ufficio non contengono elementi gravi, precisi e concordanti…”.

In motivazione, poi, si evidenzia soltanto che “la società Bixio 15 ha fatto una operazione di compravendita, assoggettata a tassazione ed ha versato l’imposta e non si deduce l’appartenenza al Gruppo, come sostiene l’Ufficio”. Pertanto, il giudice di appello non indica in alcun modo tutte le operazioni che ruotano intorno alla cessione delle quote della Monte Rosa, neppure l’ultima relativa alla cessione delle stesse quote alla società olandese ad un prezzo modesto, oltre che alla variazione dell’anno sociale, che viene prolungato dal 31-12-2004 sino al 31-5-2005, in modo da consentire la compensazione degli utili della Monte Rosa (Euro 7.355.885,00) con la minusvalenza di Euro 5.762.000,00, causata dalla vendite delle quote ad un prezzo di molto inferiore a quello originario. Nè si tiene conto della tassazione per trasparenza ai sensi del D.P.R. n. 017 del 1986, art. 115. Neppure si indicano le modalità di ottenimento del finanziamento bancario, il giroconto della Monte Rosa (19-11-2004), il versamento della Bixio alla M.A. s.r.l. (19-11-2004), il pagamento delle spese contrattuali a carico del Gruppo S., il bonifico di Euro 6.150.000,00 effettuato da S.G..

Successivamente, il giudice di appello si sofferma sul ruolo, nella vicenda in esame della Monte Rosa, limitandosi ad affermare che “il Collegio ritiene fondata la censura relativa all’assenza di un utile criterio presuntivo in virtù del quale desumere la natura di operazione evasiva delle cessioni di quote poste in essere e ritenute finalizzate alla sola distribuzione dell’utile conseguito dalla Monte Rosa, senza scontare alcun tipo di imposta”, senza però indicare le ragioni di tal convincimento.

Successivamente il giudice di appello si limita ad evidenziare che la cessione delle quote è avvenuta ad un prezzo congruo e che la Pex non è un beneficio, ma una modalità di tassazione, per la quale sussistevano i presupposti.

La motivazione, dunque, è solo apparente, in quanto, pur se esistente graficamente, tuttavia in alcun modo mostra le ragioni del proprio convincimento, limitandosi ad indicare alcuni elementi, ma senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 27 gennaio 2006, n. 1756; Cass., 6 giugno 2012, n. 9113).

4.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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