Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26766 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 23/10/2018), n.26766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20853/2017 proposto da:

R.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLA PIRAMIDE

CESTIA 1/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA

GIOVANELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE CUSCINA’;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 259,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO FATONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIORGIO BONFIGLIO;

– controricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 617/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 7/6/2017, la Corte d’appello di Messina, in accoglimento dell’appello proposto da G.C. e in riforma per quanto di ragione della sentenza di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato R.N. al risarcimento, in favore del G., dei danni da quest’ultimo subiti a seguito dell’allagamento di un proprio immobile causato da acque provenienti dalla sovrastante unità immobiliare di proprietà dello stesso G., ma condotto in locazione dal R.;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come gli elementi di prova complessivamente acquisiti nel corso del giudizio avessero confermato l’effettiva riconducibilità dell’allagamento denunciato dal G. allo sversamento di acque provenienti dall’immobile custodito dal R., quale conduttore, con la conseguente esclusione di alcuna responsabilità del condominio “(OMISSIS)” chiamato in causa da quest’ultimo;

che, avverso la sentenza d’appello, R.N. propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione;

che G.C. resiste con controricorso;

che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis, il G. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con i primi quattro motivi, il R. censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale trascurato l’esame di fatti e circostanze decisivi ai fini del giudizio, comprovati dagli elementi di prova testimoniale e dagli elaborati tecnici complessivamente acquisiti (ed analiticamente riportati in ricorso), pervenendo erroneamente alla ricostruzione dei fatti di causa e all’affermazione della responsabilità del R. nella causazione dei danni denunciati dal G.;

che tutti e quattro i motivi – congiuntamente esaminabili, in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono inammissibili;

che, sul punto, osserva il Collegio come – di là dalla rilevabile violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in relazione al radicale inadempimento dell’onere di localizzazione concernente i riferimenti alle emergenze probatorie e istruttorie richiamate in ricorso – al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di Cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già le omissioni rilevanti ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, con il quinto e il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 40 e 41 c.p., nonchè degli artt. 1226,2056 e 2697 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente ricostruito il nesso di causalità tra i fatti ascritti alla responsabilità del R. e i danni denunciati dal G., e per aver proceduto in modo giuridicamente errato alla valutazione equitativa dei danni sofferti dalla controparte, in assenza dei presupposti al riguardo previsti dalla legge;

che entrambi i motivi sono inammissibili;

che, infatti, con i motivi in esame, il ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, delle fattispecie concrete a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di fatti in sè incontroversi, insistendo propriamente il R. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del nesso di causalità tra fatto dannoso e conseguenze pregiudizievoli e dei presupposti per la determinazione in via equitativa del valore monetario di queste ultime;

che, peraltro, l’articolata motivazione dettata dal giudice a quo in relazione alla liquidazione del danno non risulta neppure censurata in modi e forme tali da contemplarne tutti i relativi passaggi, mentre l’evocazione della pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., non rispetta le modalità espressamente indicate nella consolidata giurisprudenza di legittimità (v., in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016);

che si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, pertanto, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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