Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26760 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 25/06/2019, dep. 25/11/2020), n.26760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14871/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rapp.ta e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

IL NA. S.R.L., C.F. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Veneto, Sez.14 N. 55/14/2011 depositata il 11 maggio 2011, non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno

2019 dal Consigliere Luigi Nocella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La s.r.l. Il Na., esercente in (OMISSIS) attività immobiliare, impugnava innanzi alla CTP di Treviso gli avvisi di accertamento N. (OMISSIS) e (OMISSIS), notificatile dall’Agenzia delle Entrate di Treviso, con il quale questa, sulla scorta di una serie di elementi ritenuti significativi, aveva contestato gravi incongruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli dei valori commerciali normali degli immobili venduti o comunque a quelli ricavabili dai mutui accesi per l’acquisto, ed aveva accertato, per gli esercizi 2003 e 2004, maggiori ricavi rispettivamente per Euro 502.492,00 ed Euro 410.424,00, richiedendo maggiori IRES, IVA ed IRAP, ed irrogando le connesse sanzioni.

Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, riuniti i distinti ricorsi, l’adita CTP con sentenza N. 45/07/2009 accoglieva il ricorso.

Su appello dell’Agenzia, detta decisione, è stata confermata dalla CTR del Veneto Sez. Distacc. di Venezia Mestre, con la sentenza oggi impugnata. Il Giudice d’appello, sulla scorta delle argomentazioni difensive della Società contribuente, ha ritenuto non idonei gli elementi indiziari posti dall’Agenzia a sostegno dei maggiori ricavi ritratti dalle vendite oggetto di accertamento; in particolare ritenendo che: la pratica di prezzi di vendita al di sotto dei valori commerciali e la presunzione di antieconomicità per i bassi margini di profitto siano “solo un’opinione dell’Agenzia delle Entrate”; la mancata distribuzione di utili potrebbe rispondere a una “politica autonoma sui dividendi”; che il D.L. n. 223 del 2006 sarebbe applicabile anche ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore e, comunque, che i valori OMI sarebbero inutilizzabili alle operazioni precedenti la medesima entrata in vigore.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 12.06.2012 e depositato l’11.11.2013, articolando due motivi di censura.

La Società intimata non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

L’Agenzia denuncia, con il primo motivo di ricorso, violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, del D.L. n. 41 del 2004, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 nonchè degli artt. 2727-2729 e 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto che il valore OMI di un immobile non potesse essere assunto quale elemento presuntivo ai fini della determinazione del prezzo di cessione nel caso che questa fosse avvenuta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 35 laddove tali valori sono rilevati dall’OMI fin dal 2003 tanto da essere definiti nel D.L. n. 41 del 2004 parametri di mercato.

Il motivo è infondato.

Invero, a seguito della riformulazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3 ad opera della L. n. 88 del 2009 che ha espunto da tali norme il riferimento all’adottabilità dei valori medi elaborati dall’OMI quali elementi presuntivi privilegiati idonei, per se soli, a fondare la motivazione degli accertamenti e ad invertire, nell’ambito delle rispettive discipline d’imposta, a carico del contribuente l’onere della prova circa il reale valore commerciale degli immobili oggetto di compravendite immobiliari, le quotazioni di tali beni come elaborate dall’OMI costituiscono meri valori di riferimento di massima, che possono, solo nel concorso con altri significativi elementi indiziari, condurre all’acquisizione, anche in sede giurisdizionale, di una prova presuntiva circa il valore dei cespiti oggetto dell’accertamento; ed in tal senso soltanto resta valida la definizione dei predetti valori medi inserita nel D.L. n. 41 del 2004, art. 1 (cfr. Cass. sez.V 12.04.2017 n. 9474; Cass. sez.V 7.09.2018 n. 21813; Cass. sez.V ord. 25.01.2019 n. 2155, la quale ultima ha esplicitamente escluso che la quotazione media OMI possa costituire da se solo elemento presuntivo di gravità tale da fondare l’accertamento circa il valore del bene oggetto di valutazione). Nè tale modifica normativa può essere ritenuta non applicabile agli accertamenti relativi a trasferimenti antecedenti all’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 35 in ragione della dichiarata applicabilità retroattiva di tale ultima norma, sia per l’evidente natura non procedimentale della stessa, sia per la finalità della norma abrogatrice di adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario.

Poichè la CTR (ma sostanzialmente già l’Agenzia delle Entrate nella motivazione del provvedimento impugnato) si è di fatto uniformata a tali principi, dovendo intendersi l’inapplicabilità dei valori OMI limitatamente alla loro utilizzabilità quali presunzioni legali relative e non già quali presunzioni semplici, ed ha proceduto ad una valutazione unitaria di tutti gli elementi indiziari prospettati dall’Ente impositore, il motivo deve essere respinto.

Con il secondo motivo l’Agenzia deduce insufficiente motivazione della sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 circa la decisiva circostanza dell’occultamento dei maggiori ricavi oggetto d’accertamento, in ordine al quale l’Ufficio aveva fornito un articolato quadro indiziario, adeguato a costituire prova: dopo avere dettagliatamente descritto gli esiti degli elementi comparativi offerti negli avvisi di accertamento impugnati e gli elementi logici della loro valenza sintomatica, ed aver analizzato criticamente la motivazione, ha evidenziato che, oltre ad aver del tutto pretermesso di valutare lo scostamento dei ricavi dichiarati dai valori medi OMI e la notevole entità dello stesso in relazione ad un elevato numero di vendite, la CTR aveva frettolosamente ed immotivatamente svalutato sia la valenza dei modesti margini di profitto ottenuti nei due esercizi, sia l’argomento circa l’avvenuta esecuzione dei lavori a mezzo di terzi appaltatori, ritenendoli frutto di opinioni soggettive dell’Agenzia; aveva poi ritenuto priva di valenza presuntiva la mancata distribuzione di utili frutto di scelte di “politica dei dividendi”, senza affrontare l’altro elemento della mancata erogazione di compensi agli amministratori; aveva totalmente omesso di considerare l’elemento presuntivo rappresentato dal raffronto tra prezzi dichiarati ed ammontare dei mutui erogati per l’acquisto che in ben cinque vendite (una nel 2003 e 4 nel 2004) vedevano i secondi superare di gran lunga i primi sforando i tetti concessi dalla normativa bancaria.

Il motivo è inammissibile.

In effetti le molteplici doglianze sviluppate nel complesso motivo afferiscono non già all’esistenza e/o alla completezza e coerenza logico-giuridica della motivazione sulle singole circostanze fattuali esaminate dalla CTR, bensì alla valenza indiziaria da questa attribuita alle fonti di prova delle stesse, trasformandosi così la censura in una proposta di diversa valutazione, sia singolarmente che complessivamente, delle fonti di prova indiziaria, inammissibile anche alla stregua della previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ratione temporis al ricorso in esame. Il motivo, peraltro, trascende ancor più i limiti di ammissibilità imposti dall’indicato parametro, se si considera che per un verso non sono state evidenziate specificamente le circostanze di fatto controverse e decisive circa le quali, alla luce della nuova formulazione della norma introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 la motivazione sarebbe carente, nè le ragioni di tale inadeguatezza (Cass. sez.I 8.09.2016 n. 17761; Cass. sez.V ord. 5.02.2011 n. 2805; Cass. sez.5 26.02.2009 n. 4589; Cass. SU 12.05.2008 n. 11652); per altro verso le singole censure contengono la pretesa ad un diverso apprezzamento delle singole fonti indiziarie nell’ambito di una visione parcellizzata dell’intero contesto indiziario, privo dell’illustrazione dei motivi per i quali la valutazione complessiva dello stesso sarebbe inadeguatamente o incoerentemente motivata (cfr. Cass. sez.V 4.02.2004 n. 2090; Cass. sez.L 3.07.2014 n. 15205; Cass. sez.L 27.07.2017 n. 18665). Il tutto in presenza di una motivazione resa dalla CTR su ciascuno degli elementi indiziari prospettati dalle parti, certamente sintetica, ma tale da consentirne un’ampia, ancorchè inammissibile, confutazione nel merito.

L’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo comportano il rigetto del ricorso; non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese del giudizio non essendosi costituita la Società intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

 

 

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