Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26760 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. I, 13/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 13/12/2011), n.26760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 8704 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2006 proposto da:

A.G.E.A. Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del

legale rappresentante p.t., ex lege domiciliato in Roma alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato e da

questa rappresentata e difesa;

– ricorrente –

contro

C.M., già elettivamente domiciliata in Bovalino (RC),

alla Via XXIV Maggio n. 47, presso l’avv. FRANCESCO GIAMPAOLO suo

difensore domiciliatario nel giudizio di merito;

– intimata –

avverso la sentenza del giudice di pace di Bianco (RC) n. 866/05 del

21 – 39 novembre 2005.

Udita la relazione del Cons. Dr. Fabrizio Forte e sentito il P.M.,

Dr. DEL CORE Sergio, che conclude per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M., con atto di citazione notificato il 7 ottobre 2 004, conveniva in giudizio, dinanzi al giudice di pace di Bianco (RC), l’A.G.E.A. (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), dichiarandosi titolare di un’azienda per l’allevamento di ovini in comune di Benestare e di avere invano fatto domanda degli aiuti comunitari di cui al Regolamento CE n. 805/68, per avere allevato 57 capre per l’anno 2001.

L’A.G.E.A., nel costituirsi, eccepiva il difetto di giurisdizione e competenza dell’adito giudice e domandava, in subordine, il rigetto della domanda perchè infondata, essendo l’allevatrice decaduta dal diritto, per non avere presentato tempestiva domanda degli aiuti Il giudice di pace cui erano stati chiesti, per il titolo che precede, Euro 758,67 a titolo di aiuti CE, respinte le due eccezioni di difetto di competenza e di giurisdizione, riteneva la domanda tempestiva, per essere stata inoltrata il 17 marzo 2000, cioè entro il termine di tolleranza di 25 giorni dalla scadenza del 23 febbraio 2000, ritardo consentito dalle circolari esplicative dell’A.I.M.A. cui era succeduta l’A.G.E.A..

Con sentenza del 3 0 novembre 2005, il giudice adito ha accolto la domanda ed ha condannato l’Azienda convenuta a pagare a C. M. la somma di Euro 758,67, a titolo di premio dovuto ai produttori di carne ovina per l’anno 2001, oltre interessi dalla domanda e spese di causa.

Per la cassazione della sentenza che precede, l’A.G.E.A. ha proposto ricorso notificato l’11 – 17 marzo 2006 di un unico motivo e la intimata C. non si è difesa in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso dell’A.G.E.A. denuncia violazione dell’art. 8, par. 1, del Regolamento Ce n. 3887/92, come modificato dall’art. 1, comma 5, del Regolamento Ce n. 1648 del 1995, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, anche a non considerare che il giudice adito ha omesso di chiedere la prova del diritto di controparte all’aiuto comunitario, è errata la statuizione sulla tempestività della domanda di aiuto per non avere superato il termine di tolleranza di giorni 25 oltre la scadenza fissata al 23 febbraio 2000 dalla circolare AIMA 242/c del 25 gennaio 2000, a modifica della precedente n. 7012/c del 1999.

Afferma l’Agenzia ricorrente che l’art. 8, par. 1, comma 1, del Regolamento CE n. 3887/92, come modificato dall’art. 1, comma 5, del regolamento CE n. 1648 del 1995, che la domanda deve essere “ricevuta” dall’amministrazione entro 25 giorni dalla scadenza del termine, dandosi così un ulteriore tempo di tolleranza del ritardo, ferma restando la decurtazione dell’1% al giorno di ritardo dell’aiuto, per sanzionare anche il ritardo tollerabile.

Il giudice di pace ha confuso l’invio con la ricezione della domanda e, per tale errore, ha ritenuto ammissibile la stessa, omettendo peraltro di applicare la decurtazione nella percentuale che precede.

La ricorrente, ritenendo che la norma comunitaria di cui si deduce la violazione vincola in diritto anche la decisione secondo equità, chiede di accogliere il ricorso, cassando la sentenza, con ogni conseguenza di legge.

2.1. Il giudice di pace di Bianco ha deciso incontestatamente “secondo equità” la presente causa, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, nella versione vigente alla data della domanda, per la quale il valore della controversia, ai sensi degli artt. 10 e 14 c.p.c., era per il giudice di pace espressamente indicato in meno di L. 2.000.000, somma nella quale rientrava l’aiuto di cui era chiesto il pagamento, anche con interessi e accessori (Cass. 29 novembre 2010 n. 24153 e 26 aprile 2010 n. 9923).

La sentenza, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 2, nella versione vigente alla data della pubblicazione, non è appellabile ma solo ricorribile per cassazione, ove ecceda i limiti che la legge pone alla “equità”, per la quale il giudice, non vincolato a decidere in base alle “norme del diritto” (art. 113 c.p.c., comma 1), è però tenuto, per il principio di legalità, a rispettare le linee essenziali e qualificanti della disciplina del rapporto controverso, cioè i c.d. “principi informatori della materia”, oltre che le norme costituzionali e comunitarie.

Gli indicati principi non corrispondono alle singole norme rilevanti nella materia nè alle regole, accessorie e contingenti, che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva, il cui mancato rispetto, comportando una decisione ingiusta e da cassare, sono denunciabili nel caso di ricorso per violazione di detti principi in sede di legittimità.

Pertanto le sentenze secondo equità del giudice di pace sono ricorribili per cassazione, non solo quando violano norme inderogabili processuali o regole costituzionali e comunitarie, ma anche se siano in contrasto con i principi informatori della materia oggetto di causa, che qualificano la stessa fisionomia giuridica del rapporto controverso, per cui la loro violazione comporta nullità della sentenza (C. Cost. 6 luglio 2004 n. 206), da ritenere erroneamente decisa nel caso concreto, perchè non consente di configurare in diritto la causa petendi, su cui si fonda l’atto introduttivo e i fatti a base di essi.

Nel caso concreto, i principi informatori della materia dell’aiuto comunitario alle coltivazioni degli olivicoltori o all’allevamento degli ovini, sono certamente compatibili con la istruttoria che le norme comunitarie e quelle interne impongono per ottenere il contributo.

Ai sensi dell’art. 5 del Regolamento CE n. 3887 del 1992, come modificato dall’art. 1 del Regolamento CE n. 1648/95, “se una domanda viene ricevuta in ritardo, si procede ad una riduzione dell’1% per ogni giorno feriale di ritardo dell’ importo dell’aiuto assegnato, al quale il beneficiario avrebbe diritto, se avesse inoltrato la domanda in tempo utile. In caso di ritardo superiore a 25 giorni, la domanda è irricevibile e non può più dar luogo alla concessione di alcun aiuto”.

Afferma la ricorrente la censurabiltà per cassazione delle sentenze di equità, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 1, non solo per la violazione delle leggi processuali ma anche per quella dei principi informatori della materia (sui quali, cfr. Cass. 13 maggio 2010 n. 11638, S.U. 14 gennaio 2009 n. 564, Cass. 18 giugno 2008 n. 16545).

3. Il ricorso come proposto è ammissibile, perchè relativo a sentenza emessa prima del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e deducente violazione di norme procedimentali di ordine pubblico, effetto della normativa comunitaria nella materia, per avere controparte superato i termini perentori di decadenza per l’esercizio del diritto all’aiuto comunitario, in quanto la domanda che doveva “pervenire” all’AIMA il 23 febbraio 2000 è giunta invece il 21 marzo di quell’anno, pur essendo stata spedita il 17 dello stesso mese. Effettivamente la norma comunitaria impone che la domanda sia ricevuta nei venticinque giorni dalla data di scadenza, per non essere “irricevibile”, dovendo altrimenti rispondersi del ritardo tollerabile e inferiore quindi ai giorni indicati, perdendo comunque l’1% dell’aiuto per ogni giorno di ritardo. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata per violazione di norme comunitarie; non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda di pagamento degli aiuti comunitari proposta dalla C., perchè irricevibile dall’amministrazione.

Per la soccombenza, la C. dovrà corrispondere all’A.G.E.A. le spese di causa sia per il grado di merito che per il presente giudizio di cassazione, nella misura che si liquida in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata: decidendo nel merito la causa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta la domanda della C., che condanna a pagare all’A.G.E.A. le spese dell’intero processo, che liquida, per la fase di merito, in Euro 1.026,00, di cui Euro 800,00 per onorari, Euro 226,00 per diritti e, per il presente giudizio di cassazione, in Euro 600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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