Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26755 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. I, 13/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 13/12/2011), n.26755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

U.A. (C.F. (OMISSIS)), U.O. (C.F.

(OMISSIS)), U.G. (C.F. (OMISSIS)),

nella loro qualità di eredi di P.M., e UR.

A. (C.F. (OMISSIS)), U.L. (C.F.

(OMISSIS)), U.R. (C.F. (OMISSIS)), nella

qualità di eredi di P.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RODI 32, presso l’avvocato CHIOCCI MARTINO UMBERTO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERI PIERO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 231/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 24/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato AIELLO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato PIERO PIERI che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Perugia con sentenza del 24 giugno 2005 ha determinato in Euro 15.310,00 l’indennità dovuta dal Ministero dei Beni Culturali a M. e P.R. per l’avvenuta espropriazione con decreto prefettizio 4 febbraio 2002, di un terreno di loro proprietà ubicato nel comune di (OMISSIS) in zona Pt del P.R.G., come modificato dalla variante appr. con D.P.R.G. Umbria 13 giugno 1980, n. 543 con destinazione a verde pubblico attrezzato di interesse urbano e generale: ciò perchè trattatavasi di un vincolo preordinato all’espropriazione, del quale non doveva tenersi conto secondo il disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis con la conseguenza che andava apprezzata l’originaria destinazione residenziale del terreno (ad edilizia popolare e sovvenzionata) da parte dello strumento urbanistico generale del 1960, che gli aveva attribuito natura edificatoria.

Per la cassazione della sentenza il Ministero dei Beni culturali ha proposto ricorso per due motivi; cui resistono le P. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il Ministero, deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis censura la sentenza impugnata per non aver considerato che la variante del 1980 aveva proceduto ad una nuova zonizzazione dell’intero comparto attribuendogli destinazione pubblicistica senza localizzare alcuna opera pubblica: perciò assumendo natura conformativa che non poteva essere disattesa nè dalla dimensione del terreno, nè tanto meno dalla sua collocazione nell’ambito di una zona urbanizzata. Il motivo è fondato.

E’ ben vero, infatti che tanto la Corte di Cassazione, quanto la Corte Costituzionale hanno ripetutamente affermato con riguardo alla determinazione dell’indennità di esproprio, che la ricognizione della qualità edificatoria o meno dell’area va operata con riferimento alla data del decreto di esproprio. Sennonchè, proprio questa regola, ora recepita dal D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 T.U. delle espropriazioni con comportava l’impossibilità di compiere la ricognizione legale dell’immobile espropriato in base alla zonizzazione eseguita dal P.R.G. del comune di (OMISSIS) app. con D.P.R. 13 agosto 1964 che l’aveva inclusa in zona destinata ad edilizia popolare e sovvenzionata, essendo stata tale destinazione modificata dalla variante del 3 febbraio 1979 appr. con D.P. Reg.

Umbria 13 giugno 1980, n. 543; la quale ha istituito la nuova zona Pt destinata a verde pubblico attrezzato di interesse urbano e territoriale comprendendovi tutti i terreni del relativo comparto tra cui quello dello S., peraltro già vincolati dal 1972 allo scopo di eseguire lavori di scavo archeologico ai sensi della L. n. 1089 del 1939 (pag. 4 sent.). Ora, la stessa Corte territoriale ha ricordato e recepito la distinzione del tutto consolidata nella giurisprudenza di legittimità, resa anche a sezioni unite, tra vincoli conformativi della proprietà di cui si deve tener conto nella valutazione delle aree espropriande per la stima dell’indennità di espropriazione e vincoli preordinati all’esproprio, invece irrilevanti ai fini della stima del bene (L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 poi confluito negli artt. 32 e 37 del T.U. avanti cit.): enunciando il principio che in caso di variante il suo carattere conformativo (che soltanto consente di tener conto della nuova classificazione) non discende dalla sua collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, che presentano i vincoli in essa contenuti; ed è dunque configurabile ove gli stessi mirino ad una (nuova) zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione della intera zona in cui questi ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche;

o del rapporto (per lo più spaziale) con un’opera pubblica.

Laddove, se la variante non abbia una tal natura generale, ma imponga un vincolo particolare incidente su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di una specifica opera pubblica, con indicazione empiricamente, per ciò detta lenticolare, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, il vincolo che essa contiene deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione; e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area pur quando la variante ne abbia mutato la classificazione urbanistica, con la conseguenza che esclusivamente in tal caso per la determinazione dell’indennizzo deve farsi riferimento alla previgente destinazione del P.R.G..

Ma siffatta distinzione non è stata correttamente applicata alla fattispecie posto che la decisione impugnata, da un lato, non ha saputo individuare se e quali opere dovessero essere eseguite e da quale ente (il Ministero o il comune di Gubbio) nella istituita zona Pt, neppure al lume delle diposizioni contenute nelle sopravvenute Norme tecniche di attuazione; e conseguentemente non ne ha localizzato alcuna, e non ha potuto indicare infine nè il provvedimento contenente la localizzazione, nè l’epoca della sua adozione. E ciò malgrado ha concluso tautologicamente che la variante aveva imposto un vincolo preordinato all’espropriazione, peraltro confondendo la relativa nozione con la destinazione di una zona ad usi meramente pubblicistici (verde pubblico, attrezzature pubbliche, impianti pubblici ecc.), che perciò necessariamente richiedono la (futura) acquisizione volontaria o coatta delle relative aree dai precedenti proprietari.

Ha accertato, per converso, e le parti confermato, che il nuovo comparto costituente la zona suddetta era stato individuato dalla variante esclusivamente per estensione – mq. 14.210, comprendente dunque la generalità dei terreni che ne facevano parte – e per collocazione spaziale “a ridosso delle mura delimitanti il centro storico della città di (OMISSIS)” (pag. 7 sent.); non era correlato ad alcun progetto espropriativo per la realizzazione di ben specificati impianti ovvero di opere, nonchè delle prescrizioni ad essi finalizzate (che infatti non risultano mai progettati nè eseguiti), ma rappresentava un indiscutibile segno di un sopraggiunto mutamento della programmazione urbanistica generale del 1960 per l’intendimento del comune di (OMISSIS) di modificarne la previgente destinazione edificatoria onde introdurre in quella porzione del territorio comunale una destinazione pubblicistica idonea a consentire gli scavi e le ricerche archeologici previsti dalla menzionata L. n. 1039 del 1989 e significativamente regolati dall’art. 18 delle menzionate norme di attuazione (pag. 4 sent.), senza recare pregiudizio alla conservazione ed integrità delle mura in questione e dei relativi reperti archeologici: perciò conclusivamente configurando esercizio del potere di azzonamento del proprio territorio nell’ambito di una nuova riconsiderazione del suo assetto per la identificazione di un’intera zona a tale finalità pubblicistica destinata, e perciò resa non edificatoria. E non ha considerato che bastava il suddetto vincolo archeologico “imposto sul terreno espropriato e su altri circostanti, tutti inclusi nel comparto” fin dall’anno 1972, in epoca addirittura antecedente alla variante (pag. 4), per rendere, da un lato, palese la differenza tra quest’ultima funzione esercitata dal comune e quella di localizzazione di un’opera pubblica all’interno di una zona qualificata edificatoria dallo strumento urbanistico generale (cui si riferiscono le decisioni di questa Corte invocate dalla sentenza impugnata); ed a ribadire, dall’altro, la classificazione non edificabile del terreno espropriato senza necessità di altra indagine, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte e della Corte Costituzionale, per cui: a) l’imposizione, su un immobile, di prescrizioni dirette a tutelare interessi (storici, artistici od) archeologici, a norma della L. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 11 e 18 rientra tra le limitazioni legali della proprietà fissate in via generale su immobili individuati “a priori” per categoria derivante dalla loro posizione o ubicazione al fine di garantire l’aderenza della proprietà stessa alla sua funzione sociale (art. 42 Cost., comma 2); onde ha natura conformativa, non già ablativa, del diritto sul bene; b) detti vincoli legali sono, infatti, connaturati al diritto dominicale e corrispondendo alle caratteristiche interiori nonchè al regime di godimento del bene non aggiungono qualità di pubblico interesse che non siano già indicate dalla sua indole e che vengono, in definitiva, soltanto confermate dal provvedimento amministrativo che le dichiara senza sacrificare, come invece avviene nel caso dell’ablazione, alcuna situazione patrimoniale per un interesse pubblico che vi sta al di fuori e che vi si contrappone:

perciò risultando del tutto estranei al settore della espropriazione per p.u., alla quale preesistono logicamente e cronologicamente precludendo comunque, ed a prescindere da essa, lo sfruttamento edificabile dell’area (Corte Costit. 245/1976; 202/1974; 9/1973;

56/1968); c) la relativa imposizione, concorrendo alla configurazione giuridica della proprietà e non comportando perciò obbligo di indennizzo, incide negativamente sul valore di mercato dei beni coinvolti divenuti legalmente inedificabili (Cass. 3187/2010;

10102/2008; 18681/2005): e, quindi, sul calcolo dell’indennità di espropriazione del terreno. La quale dopo la declaratoria di incostituzionalità ad opera della decisione 181 del 2011 della Corte Costituzionale, della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4 che rinviava alle disposizioni della L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 dovrà essere determinata nell’ambito della sua destinazione non edificatoria con il criterio generale della L. n. 2359 del 1865, art. 39; e consentendo al proprietario di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia possibili e consentite utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), e nel contempo gli eventuali particolari pregi paesaggistici, naturali e storico-archeologici (Cass. sez. un. 2419/2011).

Assorbito, pertanto il secondo motivo del ricorso, la sentenza impugnata incorsa nelle numerose violazioni avanti evidenziate, va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Perugia che in diversa composizione provvederà ad una nuova rideterminazione dell’indennità di espropriazione, attenendosi ai principi esposti, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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