Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26754 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. II, 23/10/2018, (ud. 15/05/2018, dep. 23/10/2018), n.26754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7508-2017 proposto da:

B.R., A.A., nella loro qualità di ex

esponenti della Banca Romagna Cooperativa Credito Cooperativo

Romagna Centro e Macerone ora in L.C.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 297, presso lo studio dell’avvocato

BRUNO TASSONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso la propria sede in VIA

NAZIONALE 91, rappresentata e difesa dagli avvocati dell’Avvocatura

della Banca stessa MONICA MARCUCCI e PAOLA BATTISTINI;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

13/09/2016, R.G.n. 53059/2014 V.G., Cron.n. 7339/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BRUNO TASSONE, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLA BATTISTINI, difensore della controricorrente,

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.R. ed A.A., attinti da provvedimento sanzionatorio emesso nei loro riguardi dalla Banca d’Italia in relazione alla loro attività, quali componenti il Consiglio di Amministrazione della Banca Romagna Credito Cooperativo in liquidazione coatta amministrativa,ebbero a proporre opposizione avanti la Corte capitolina.

La Corte territoriale adita rigettò l’opposizione con il decreto impugnato osservando:

come in relazione al termine di conclusione del procedimento amministrativo sanzionatorio trovava applicazione la normativa posta dalla L. n. 689 del 1981 e, non già, la disciplina portata nella L. n. 241 del 1990, siccome costantemente insegna questo Supremo Collegio;

come il termine regolamentare interno,fissato per l’emissione del provvedimento sanzionatorio,risulta rispettato poichè era da considerare a tale fine la data di emissione del provvedimento stesso e,non già,la sua notificazione agli interessati;

come non concorre violazione dei principi del giusto processo,siccome insegna con costante giurisprudenza questa Suprema Corte;

come concorre la condotta illecita contestata agli opponenti poichè la banca era giunta alla decozione senza che fosse adottato alcuno dei provvedimenti sollecitati dalla Vigilanza ed un tanto con il concorso della condotta inerte tenuta anche dagli opponenti;

come l’ammontare della sanzione inflitta appare adeguata rispetto ai parametri indicati dalla legge a disciplina di detta valutazione.

Avverso il decreto della Corte d’Appello romana i consorti B.- A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la Banca d’Italia,che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

All’odierna udienza pubblica, sentite le parti presenti ed il P.G. – rigetto del ricorso – siccome precisato in rubrica, la Corte assumeva decisione come illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da B.R. ed A.A. s’appalesa privo di fondamento giuridico e va rigettato.

Con il primo articolato mezzo d’impugnazione proposto i ricorrenti denunziano sia vizi afferenti la violazione di norme giuridiche che motivazionali – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 -, ed un tanto in linea con l’insegnamento al riguardo di questa Suprema Corte a sezioni unite poichè specificatamente dettagliati i singoli profili denunziati.

Anzitutto i consorti B.- A. deducono violazione delle norme ex art. 6 CEDU, artt. 24 e 111 Cost. in quanto la Corte capitolina ha ritenuto ininfluente la circostanza fattuale che l’Organo, che ebbe ad irrogare la sanzione, non sia terzo ed autonomo rispetto all’Ente designato all’accertamento della condotta sanzionata, in quanto sua mera articolazione interna.

In particolare i ricorrenti rilevano come la Corte di merito si sia limitata a richiamare arresto di legittimità sul punto, così non esponendo compiuta motivazione al riguardo, specie avendo riguardo all’elaborazione giurisprudenziale della Corte Europea in materia.

In effetti il richiamo al puntuale arresto di questo stessa sezione della Corte di Cassazione, che si intende qui ribadire, operato dalla Corte capitolina ha palesato pienamente la ragione giuridica sottesa alla decisione sul punto.

L’arresto di legittimità richiamato ha escluso ogni violazione dei principi del giusto processo in dipendenza della irrogazione della sanziona da parte di un Organo interno all’Istituto di Vigilanza bancaria, proprio richiamando l’insegnamento della CEDU e mettendo in evidenza come la garanzia, prescritta dalla Convenzione internazionale e dalle norme costituzionali richiamate, sia assicurata al soggetto sanzionato proprio dalla possibilità del ricorso al Giudice, che opera con pienezza di cognizione e sull’esistenza della condotta – in tesi – illecita e sulla congruità della sanzione.

Inoltre è costante insegnamento di questa Supremo Collegio – Cass. sez. 2 n 3656/16 – che le sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia non hanno natura penale, bensì squisitamente amministrativa.

Quindi la ventilata violazione di norme di diritto ovvero assenza di motivazione non sussiste, compendiandosi il ragionamento critico svolto dagli impugnanti in mera contrapposizione della propria tesi difensiva rispetto alle statuizioni del Collegio capitolino senza,in effetti, cogliere la ratio effettiva della decisione.

Con il secondo profilo evidenziato nella prima doglianza i ricorrenti lamentano la violazione del principio del contraddittorio in ogni segmento del procedimento posto che la Corte capitolina ha ritenuto non rilevante la carenza al riguardo del procedimento in sede amministrativa, sempre sulla mera scorta dell’insegnamento tratto da arresto di legittimità, senza tener conto che il procedimento amministrativo risulta, medio tempore, modificato in senso maggiormente conforme al rispetto del contraddittorio dalla stessa Banca d’Italia.

Anche con riguardo a detta censura i ricorrenti si limitano a contrapporre la propria tesi difensiva alla statuizione adottata dalla Corte di merito, fondata su puntuale arresto di queste Supremo Collegio perspicuo al riguardo – Cass. 27038/13 -.

Difatti la Corte di merito,mediante lo specifico richiamo all’arresto di legittimità, ha posto in evidenza come le garanzie della difesa erano già adeguatamente tutelate nell’ambito del procedimento amministrativo di irrogazione della sanzione dal rispetto delle regole generali dettate dalla L. n. 689 del 1981 in tema di sanzioni amministrative, anche perchè – come dianzi ricordato – comunque era garantito il pieno contradditorio in sede giudiziale.

Quindi nemmeno il cenno alla modifica, – sua sponte – portata dalla Banca d’Italia al proprio Regolamento per il procedimento amministrativo a seguito delle sentenze rese dal Consiglio di Stato al riguardo, assume rilievo nella specie. Con la terza censura i consorti B.- A. rilevano come erroneamente la Corte capitolina abbia ritenuto ammissibile la motivazione per relationem con il rinvio ad altro atto conosciuto dalla parte con riguardo al provvedimento sanzionatorio emesso a loro carico, poichè un tanto non ammesso dalla L. n. 241 del 1990 e dai principi generali in tema di motivazione specifica dei provvedimenti sanzionatori.

La censura s’appalesa patentemente infondata poichè – Cass. sez. 2 n 18469/14 – è insegnamento consolidato di questo Supremo Collegio, come rettamente ricordato dai Giudici romani, che la motivazione per relationem sia ammissibile anche nei provvedimento con cui vengano irrogate sanzioni amministrative, purchè il richiamo sia specifico ad atto conosciuto dalla parte.

Quindi la critica astratta mossa dalle parti impugnanti, che non hanno anche affermato che il rinvio risulta fatto ad atto a loro sconosciuto, si scontra con il principio costantemente affermato da questa Suprema Corte.

Con la quarta censura articolata nell’ambito del primo motivo di ricorso, i consorti B.- A. lamentano violazione delle regole e principi predisposti dalla stessa Banca d’Italia a disciplina del suo procedimento amministrativo per irrogare la sanzione poichè i Giudici romani non hanno tenuto conto della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la tassatività del termine, previsto dal regolamento interno predisposto dalla Banca d’Italia.

L’argomento critico non supera la corretta ricostruzione giuridica della questione siccome operata dalla Corte capitolina,la quale anzitutto ha evidenziato come gli unici termini rilevanti di decadenza e prescrizione, operanti in materia di sanzioni amministrative irrogate anche dalla Banca d’Italia, sono esclusivamente quelli previsti dalla L. n. 689 del 1981 e non anche dalla L. n. 241 del 1990, siccome insegna specifico arresto delle Sezioni Unite di questa Corte.

Dunque alcun rilievo assume la modifica della giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la perentorietà del termine fissato dal Regolamento interno della Banca d’Italia a sensi della L. n. 241 del 1990, come visto non rilevante nella specie.

Inoltre la Corte romana ha messo in risalto anche che il termine regolamentare di 240 giorni risulta rispettato, poichè l’Istituto sanzionatore ha emesso il provvedimento nel termine, anche se lo stesso venne notificato agli interessati in momento successivo, e tale ratio decidendi non risulta attinta da specifica contestazione.

Con l’ultima censura in cui s’articola il primo mezzo d’impugnazione i ricorrenti lamentano vizio di motivazione – nelle figure sintomatiche dell’illogicità e contraddittorietà – nonchè omesso esame di fatto decisivo in relazione alla valutazione,siccome effettuata dalla Corte capitolina, circa le varie critiche di merito proposte avverso le contestazioni mosse loro.

La censura s’appalesa siccome inammissibile.

Difatti con la nuova formulazione del disposto ex art. 360 c.p.c., n. 5 non è più deducibile il vizio di motivazione sub specie dell’illogicità e contraddittorietà, bensì esclusivamente il vizio di nullità conseguente all’omessa motivazione ovvero apparente o perplessa.

Nella specie gli impugnanti deducono mero vizio motivazionale, posto che, all’evidenza, la Corte romana ha esaminato la questione fattuale sottoposta al suo esame ed esposta motivazione che parte impugnante ritiene insoddisfacente. E’ ben vero che nell’epigrafe del profilo di doglianza i ricorrenti operano cenno anche all’omesso esame di fatto decisivo, ma nel corpo dell’argomento critico sviluppato non risulta indicato specifico fatto non esaminato.

Quindi, posto che il vizio dedotto, ex art. 360 c.p.c., n. 5 attuale formulazione, non può riguardare l’apprezzamento degli elementi probatori, bensì fatto costitutivo ovvero secondario del diritto azionato, all’evidenza non concorre il vizio siccome denunziato.

Con il secondo mezzo d’impugnazione i consorti B.- A. lamentano violazione del disposto in art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 5 in relazione alla quantificazione della sanzione ed alle spese di lite.

Ambedue i profili di vizio appaiono siccome inammissibili.

Difatti con relazione alla tassazione delle spese di lite del giudizio avanti la Corte territoriale, i ricorrenti si limitano a generica – eppertanto inammissibile – critica circa la quantificazione ritenuta esagerata.

Con relazione all’apprezzamento della congruità della tassazione della sanzione inflitta, la Corte romana ha operato puntuale valutazione della questione, richiamando in modo specifico la condotta colpevole tenuta, gli effetti della stessa e la sua incidenza causale con relazione alla decozione dell’Istituto di credito amministrato.

A fronte di un tanto i ricorrenti si limitano a portare il loro apprezzamento della questione, enfatizzando il loro ruolo marginale rispetto alle scelte e condotta che portarono la banca amministrata alla decozione,come visto puntualmente fatto apprezzato in modo diametralmente opposto dal Collegio romano.

Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna solidale del B. e dell’ A. al ristoro delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della Banca d’Italia, tassate in globali Euro 7.500,00,di cui Euro 200,00 per esborsi,oltre accessori di legge e rimborso forfetario nella misura del 15%.

Concorrono i presupposti acchè i ricorrenti versino l’ulteriore importo di contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti,in solido fra loro, alla rifusione verso la Banca d’Italia resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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