Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26753 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. II, 23/10/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 23/10/2018), n.26753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13738/2014 proposto da:

LA CASSINETTA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE

GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO TATEO;

– ricorrente –

contro

M.K., EREDE DI MI.HA., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE DEL TINTORETTO 88, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE MIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO CONTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1689/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/05/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO:

che la società La Cassinetta ha chiesto la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Milano, riformando la sentenza del tribunale di Vigevano, la ha condannata a corrispondere a M.K., quale erede del defunto professionista My.Ha., l’importo di Euro 108.134,81 a titolo di corrispettivo di prestazioni professionali (progettazione di un parco tematico-ricreativo in territorio (OMISSIS)), oltre alle spese e agli accessori per i giudizi di primo e secondo grado;

che in particolare la corte di appello rilevava che era pacifico e dimostrato il conferimento dell’incarico professionale, e che, al contrario, non era stata provata la natura gratuita del rapporto (salvo il rimborso delle spese), dedotta dalla società La Cassinetta sull’argomento che, conoscendo le parti l’impossibilità di realizzare il parco sulla base del vigente piano regolatore, l’architetto aveva accettato di realizzare l’opera di progettazione al fine di tentare di ottenere la rimozione dei vincoli urbanistici, con l’intesa che la stessa sarebbe stata compensata (e all’incarico di progettazione sarebbero stati aggiunti quelli di progettazione esecutiva e direzione lavori) solo in caso di effettiva autorizzazione alla realizzazione del parco da parte del Comune;

che il ricorso della società La Cassinetta S.p.a. si articola in tre motivi;

che la signora M.K. ha depositato controricorso;

che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 9 maggio 2018 per la quale la controricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697;

che la dedotta violazione viene prospettata sotto due profili;

che, sotto un primo profilo, nel mezzo di gravame si censura la sentenza impugnata per avere invertito l’onere della prova, in quanto la corte milanese – ritenendo dimostrato il contratto d’opera professionale dedotto in giudizio e presumendo la pattuizione di un compenso – ha addossato al convenuto l’onere di dimostrare la relativa gratuità;

che, sotto un secondo profilo, corollario del primo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere considerato che, poichè l’incarico di progettazione costituiva obbligazione di risultato, il giudice avrebbe dovuto accertare anche i termini dell’accordo e le pattuizioni relative all’eventuale compenso del professionista;

che il primo profilo di censura va rigettato perchè la sentenza ha governato il riparto dell’onere della prova in conformità al principio che, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro autonomo, l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicchè, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento dello stesso, e non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione (così Cass. 8878/94 e, di recente, Cass. 23893/16, alla quale il Collegio intende dare conferma e seguito e che opera un’accurata ricostruzione della materia e chiarisce e ridimensiona la portata delle affermazioni, apparentemente difformi, di Cass. 2769/14 e 5472/99);

che, il secondo profilo di censura va, del pari, rigettato, perchè il richiamo alla natura della prestazione come di “risultato” è privo di concludenza; la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, infatti, non incide sul riparto dell’onere della prova dell’affidamento dell’incarico professionale e della relativa gratuità;

che con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per carenza e omissione della motivazione, alla stregua dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., lamentando che la corte di appello abbia ritenuto provato il conferimento dell’incarico, senza spiegare come sia pervenuta a tale conclusione;

che il motivo va rigettato perchè la corte ha congruamente motivato in punto di conferimento dell’incarico, dando atto della incontestata esecuzione dell’opera progettuale, dell’avvenuta illustrazione di tale opera, della redazione di più versioni del Master Plan (cfr. pag. 5 della sentenza);

che con il terzo motivo il ricorrente propone due doglianze, rispettivamente riferite alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) e dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5);

che nella prima doglianza si deduce che il giudice avrebbe trascurato la violazione dell’obbligo di diligenza in cui era incorso il professionista, il quale, si argomenta nel ricorso, avrebbe dovuto rilevare che il progetto richiestogli concerneva opere non realizzabili per limiti amministrativi ed avrebbe quindi dovuto rifiutarsi di svolgere prestazioni destinate all’inutilizzabilità;

che nella seconda doglianza si deduce che la corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione di violazione del dovere di diligenza da parte dell’architetto e avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo della irrealizzabilità dell’opera;

che il motivo va disatteso, giacchè la stessa ricorrente nell’affermare che l’attività di progettazione per cui è causa era stata “fornita allo scopo di ottenere la rimozione dei vincoli” (pag. 3, ultimo cpv, del ricorso) – implicitamente deduce che l’incompatibilità dell’opera progettata col piano regolatore vigente non solo era nota al committente, ma costituiva il presupposto stesso dell’incarico di progettazione affidato all’arch. M. e tale circostanza, lungi dall’essere ignorata dalla corte ambrosiana, è stata da quest’ultima espressamene valutata, laddove nella sentenza si fa riferimento ad un “progetto di massima in veste preliminare”(cfr. pag. 5, terzultimo cpv) la quale ben poteva formare oggetto di un incarico autonomo, “l’aleatorietà del cui risultato riguardava il committente, non certo il professionista” (pag. 6);

che, quindi, la corte territoriale non è incorsa nè nel vizio di omessa pronuncia, perchè si è pronunciata implicitamente, rigettandola, sull’eccezione relativa alla violazione del dovere di diligenza da parte del professionista; nè nel vizio di omesso esame di fatto decisivo, perchè ha considerato espressamente l’aleatorietà del risultato dell’opera progettuale; nè nel vizio di violazione del disposto dell’art. 1176 c.c., perchè l’accertamento della negligenza del professionista costituisce giudizio di fatto e non giudizio di diritto;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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