Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2675 del 05/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/02/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 05/02/2010), n.2675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8620-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 170/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/03/2005 r.g.n. 448/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI MASSIMO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con pronunzia del Tribunale di Verona veniva dichiarata la nullità dell’apposizione del termine all’assunzione di D.G.M., dipendente della Poste Italiane s.p.a., con declaratoria del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Venezia con sentenza 11.1-10.3.05 rigettava l’impugnazione. Considerato che il lavoratore era stato assunto con due contratti, il primo dei quali riferito al periodo 21.10.98-31.1.99, stipulati in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.07, la Corte di merito rilevava che il datore di lavoro – a tanto onerato dalla L. n. 230 del 1962, art. 3 – non aveva dato prova delle esigenze legittimanti l’apposizione del termine e che, in ogni caso, le assunzioni motivate da esigenze eccezionali conseguenti alla fase dì ristrutturazione aziendale erano da ritenere ammesse fino alla data del 30.4.98. Riteneva, pertanto, che il lavoratore avesse diritto alla riammissione in servizio ed alle retribuzioni maturate successivamente alla cessazione del contratto a termine, con decorrenza dalla data di costituzione in mora, fissata al momento della comparizione dinanzi alla Commissione provinciale per il tentativo obbligatorio di conciliazione.

Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione illustrato con memoria. Non svolgeva attività difensiva il D.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato.

I motivi dedotti dalla soc. Poste Italiane possono essere così sintetizzati:

1.- carenza di motivazione, sostenendosi che la sentenza avrebbe contraddittoriamente dapprima affermato la pacifica sussistenza di un piano di ristrutturazione aziendale costituente legittima causale dei contratti a termine, nel contempo ritenendo che ogni assunzione a termine avrebbe dovuto essere giustificata in concreto dalla situazione particolare dell’ufficio di assegnazione (primo motivo);

2.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nonchè carenza di motivazione, sostenendosi che la sentenza si fonderebbe sull’erronea convinzione che detto art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti le assunzioni a termine collegate a situazioni tipicamente aziendali, non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro (secondo motivo);

3.- violazione degli artt. 1362 e segg. c.c. in relazione all’art. 8 del cnnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, e carenza di motivazione, essendo stati gli accordi successivi a quello del 25.9.97 considerati idonei a fissare un limite temporale di efficacia alla fattispecie ivi prevista, mentre invece gli stessi avrebbero avuto funzione meramente ricognitiva dell’esistenza delle condizioni di fatto legittimanti il contratto a termine (terzo motivo);

4.- violazione degli artt. 2099 e 2697 c.c. e della L. n. 230 del 1962, art. 1, nonchè carenza di motivazione in quanto la Corte d’appello, avendo acriticamente confermato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell’obbligo di corrispondere la retribuzione, ha omesso di accertare se il lavoratore avesse mai offerto la prestazione al datore e se questo fosse in condizione di mora credendi.

Procedendo all’esame dei primi tre motivi in unico contesto e premesso in fatto che il contratto a termine di cui si discute risulta stipulato per il periodo 21.10.98-31.1.99 ex art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, le censure denunziate debbono essere ritenuto infondate seppure per motivazione parzialmente diversa da quella adottata dal giudice di merito.

La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 56, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie già previste dall’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94, anche nella evenienza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc …. Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati per il soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Il giudice di merito, pur premettendo l’affermazione – qui irrilevante – che Poste Italiane era onerata della prova delle condizioni che legittimavano l’apposizione del termine, ha fatto applicazione dei suddetti principi e, considerato che il contratto in considerazione era motivato dal soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. ed era riferito a periodo successivo al 30.4.98, ha ritenuto nullo il termine ad esso apposto ed ha dichiarato che dalla scadenza dello stesso decorre il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Essendo tale pronunzia conforme alla giurisprudenza di questa Corte, i primi tre motivi del ricorso debbono essere rigettati.

E’ infondato anche il quarto motivo, formulato quanto ai profili economici conseguenti all’illegittimità del termine. Al riguardo la Corte d’appello ha affermato che il lavoratore ha diritto alla retribuzione solo per i periodi per i quali ha provato di essersi tenuto a disposizione della società ed ha condannato quest’ultima a corrispondere la retribuzione dalla data della costituzione in mora.

Tale pronunzia è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr.

Cass. S.u. 8.10.02 n. 14381 nonchè, da ultimo, Cass. 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all’ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962 ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla deve statuirsi per le spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso nulla statuendo sulle spese.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2010

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