Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26748 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 22/12/2016, (ud. 05/12/2016, dep.22/12/2016),  n. 26748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 7997 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente-

contro

C.D., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in

calce al controricorso, dall’avv. Biagi Leonardo, col quale

elettivamente si domicilia in Roma, alla Circonvallazione Clodia, n.

5, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Maria Masullo;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, sede di Livorno, sezione 23, depositata in

data 15 febbraio 2010, n. 5/23/10;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 5 dicembre 2016

dal Consigliere PERRINO Angelina – Maria;

uditi per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli e per la

contribuente l’avv. Leonardo Biagi;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La contribuente intraprese nel 2002 attività di affittacamere – bed and breakfast, destinandovi un immobile da ristrutturare, acquistato quello stesso anno in comunione con altra persona e chiese a rimborso, corredando l’istanza di polizza fideiussoria, il credito iva, scaturente dalle operazioni imponibili di ristrutturazione dell’immobile dovute al suo adeguamento a struttura ricettiva. L’Agenzia delle entrate, compiuto un primo accesso, sospese la procedura di rimborso, in quanto non erano state ottenute le autorizzazioni comunali per l’esercizio dell’attività di affittacamere, ma, successivamente al completamento delle attività di ristrutturazione, ha denegato il rimborso facendo leva sul D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis 1, lett. i). C.D. ha impugnato il diniego, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale. Quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva sul compendio di elementi utili a ritenere che l’immobile fosse destinato all’attività imprenditoriale descritta, dati dal conferimento dell’immobile nel patrimonio aziendale, dalle caratteristiche e dalle finalità degli interventi di ristrutturazione eseguiti, dal loro sostenimento nell’esercizio d’impresa in funzione del futuro svolgimento delle operazioni attive, dalla richiesta e quindi dall’ottenimento da parte della contribuente delle autorizzazioni amministrative necessarie allo svolgimento dell’attività di bed and breakfast e, infine, dal peso acquistato dall’immobile in seno all’attività ricettiva.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida ad un unico motivo, cui la contribuente reagisce con controricorso e ricorso incidentale articolato anch’esso in un unico mezzo, che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con l’unico motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 19 bis 1, là dove la Commissione tributaria regionale ha ammesso la detraibilità e, per conseguenza, la rimborsabilità dell’iva assolta in relazione alle attività di manutenzione e ristrutturazione di un immobile destinato allo svolgimento dell’attività di affittacamere, benchè esso fosse iscritto nella categoria catastale A/4.

Il ricorso è infondato.

In relazione a fattispecie similare, questa Corte (Cass. n. 8628/15; vedi anche n. 4606/16) ha già avuto occasione di stabilire che il diritto alla detrazione dell’iva non può essere negato in forza dell’astratta classificazione catastale dell’immobile ad uso abitativo, occorrendo valutarne la destinazione all’attività di impresa.

1.1. – Inapplicabile è al riguardo l’invocata del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis 1, lett. i), secondo cui “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa nè quella relativa alla locazione o alla manutenzione. recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui all’art. 10, n. 8), che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19, comma 5, e dell’art. 19 bis”.

1.2. – Il sistema dell’iva è volto ad esonerare l’imprenditore dall’iva dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purchè esse siano a loro volta soggette ad iva (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, EON Aset Menidjmunt, punto 43). In particolare, è l’acquisto del bene o l’acquisizione della prestazione di servizi da parte del soggetto passivo che agisce in quanto tale a determinare l’applicazione del sistema dell’iva e, quindi, del meccanismo della detrazione (così Corte giust. EON ASET cit., punto 57) e del rimborso.

1.3. – Anzi, finanche con riguardo ad un caso in cui si aveva riguardo a spese sostenute per ristrutturare un immobile d’impresa al fine di adibirlo, in parte e per un periodo di tempo limitato, ad abitazione di due socie dei rispettivi figli, la Corte di giustizia ha affermato che l’iva assolta è detraibile, purchè, in sede di inizio dei lavori, fosse intenzione del soggetto passivo destinare all’attività d’impresa l’immobile ristrutturato (Corte giust. 19 luglio 2012, causa C-334/10). Ciò in quanto, ha sottolineato la Corte, l’interpretazione contraria potrebbe comportare che la detrazione dell’ iva dovuta a monte venga negata a soggetti passivi per successivi impieghi professionali soggetti ad imposta, nonostante l’intento iniziale del soggetto passivo di destinare integralmente il bene in questione alla sua azienda, in vista di operazioni future. Orbene, in una situazione del genere, il soggetto passivo non risulterebbe interamente esonerato dall’onere dell’imposta afferente al bene da questi utilizzato ai fini della propria attività economica e la tassazione delle sue attività professionali provocherebbe una doppia imposizione in contrasto col principio della neutralità fiscale insito nel sistema comune dell’iva e in cui s’inserisce la sesta direttiva.

1.4. – Di qui la conseguenza ineludibile che l’accatastamento dell’immobile tra quelli a destinazione abitativa non preclude la detraibilità dell’iva relativa alle spese sostenute per il suo acquisto o la sua manutenzione e ristrutturazione se, avuto riguardo all’utilizzo concreto dell’immobile, anche solo prospettico, è possibile dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il medesimo è inerente all’esercizio effettivo dell’attività d’impresa (Cass. n. 6883/16).

1.5. – Nel caso in esame, il giudice d’appello ha accertato, e l’accertamento non è stato aggredito dall’Agenzia, che l’immobile fosse destinato all’esercizio di attività d’impresa.

1.6. – Il che comporta la detraibilità dell’imposta e, quindi, la sua rimborsabilità, non emergendo ulteriori contestazioni in merito a questa. Ne consegue il rigetto del ricorso.

2. – Parimenti infondato è il ricorso incidentale, col quale la contribuente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la pronuncia di compensazione delle spese, lamentando la violazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15.

2.1. – Al riguardo, questa Corte (Cass., ord. n. 661/15) ha già avuto occasione di stabilire che il riferimento “alle questioni trattate” integra motivazione adeguata e ragionevole del provvedimento di compensazione delle spese del giudizio di appello, anche nella prospettiva più rigorosa introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, ratione temporis applicabile, trattandosi di giudizio introdotto successivamente al 1 marzo 2006, ma prima del 4 luglio 2009. Equivalente all’espressione citata è quella adoperata dal giudice d’appello, che fa riferimento “all’oggettiva complessità della materia del contendere”; là dove la contestazione svolta in ricorso della complessità non involge la violazione dell’art. 92 c.p.c., ma un apprezzamento di fatto, quello della complessità della controversia, in questa sede insindacabile.

3. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna l’Agenzia a pagare le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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