Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26745 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. I, 13/12/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 13/12/2011), n.26745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.n.c. Edilizia Progresso, elettivamente domiciliata in Roma Largo

dei Colli Albani 23, presso lo studio dell’avv.to Vincenzo Alecci,

rappresentata e difesa dall’avv.to PELLEGRINO Giuseppe, giusta

procura a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Regione Calabria, elettivamente domiciliata in Roma Via Barberini 86,

presso lo studio dell’avv.to Fabrizio Criscuolo, rappresentata e

difesa dall’avv.to NAIMO Giuseppe dell’Avvocatura Regionale, giusta

procura a margine del controricorso nonchè in forza di decreto

dirigenziale di incarico n. 1075/06;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, emessa il 28

luglio 2004, depositata il 25 marzo 2005, nella procedura iscritta al

n. 746/02 R.G.;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 19 settembre

2011 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato A. Gioia (con delega) per la ricorrente;

udito l’Avvocato G. Pungi (con delega) per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità o il

rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Edilizia Progresso s.n.c. chiedeva e otteneva dal Presidente del Tribunale di Catanzaro l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di L. 506.935.046 da parte della Regione Calabria a titolo di compenso per lavori eseguiti su richiesta dell’Assessorato Agricoltura e Foreste.

La Regione proponeva opposizione rilevando l’insussistenza di rapporti contrattuali con la società Edilizia Progresso s.n.c. e contestando l’efficacia di una dichiarazione di riconoscimento del debito, prodotta in giudizio dalla Edilizia Progresso s.n.c., perchè resa da soggetti non qualificati a rappresentare la Regione.

L’opponente contestava inoltre il valore probatorio delle fatture su cui si era fondata la richiesta di decreto ingiuntivo.

La società opposta oltre a insistere nella prospettazione di un rapporto contrattuale rilevava che la Regione si era indubbiamente arricchita acquisendo le opere eseguite in suo favore, di cui aveva riconosciuto l’utilità con la dichiarazione debitoria illegittimamente contestata dalla Regione.

Con sentenza del 27 agosto – 12 ottobre 2001 il Tribunale di Catanzaro revocava il decreto ingiuntivo ma condannava la Regione Calabria al pagamento in favore della Edilizia Progresso della somma di L. 614.466.000, oltre interessi legali su parte di essa.

Proponeva appello la Regione Calabria perchè fosse dichiarata l’inammissibilità o l’improponibilità della domanda subordinata ex art. 2041 cod. civ., proposta irritualmente dalla società appellata e, subordinatamente, chiedeva che fosse riformata la sentenza sul punto della quantificazione degli interessi legali.

Proponeva appello incidentale la s.n.c. Edilizia Progresso per ottenere la condanna al pagamento dell’I.V.A. sulle fatture emesse.

La Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile la domanda di arricchimento senza causa compensando le spese dei due gradi del giudizio di merito.

Ricorre per cassazione la s.n.c. Edilizia Progresso affidandosi a tre motivi di ricorso.

La Regione Calabria si difende con controricorso e deposita memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto proposta intempestivamente, nel corso del giudizio di primo grado, l’azione di arricchimento senza causa.

Il motivo è infondato. La la Corte di appello di Catanzaro ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. n. 24949 del 29 novembre 2007) secondo cui, nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, nella sua sostanziale posizione di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quelle proposte con il ricorso per l’ingiunzione, essendogli consentito solamente di modificarle nei ristretti limiti del disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c. (Cass. 29 marzo 2004, n. 6202). Egli, pertanto, non può proporre ulteriori domande, salvo il caso in cui siano conseguenti alle domande ed eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, il quale con l’atto di opposizione abbia ampliato il thema decidendum rispetto alla domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. 20 novembre 2002, n. 16331). Secondo tale giurisprudenza di conseguenza, nel sistema processuale vigente, essendo la domanda di arricchimento senza causa domanda nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, la stessa deve ritenersi, per regola generale, inammissibile ove proposta dall’opposto nel giudizio di cognizione che consegue alla proposizione di una opposizione a decreto ingiuntivo da lui richiesto per il pagamento di prestazioni professionali (Cass. 18 novembre 2003, n. 17440).

Nè a diverse conclusioni può condurre la più recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. civ. S.U. n. 26128 del 27 dicembre 2010) secondo etti le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla “causa petendi” (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonchè, ove l’arricchito sia una P.A. , il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al “petitum” (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo). Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645, comma 2, e, dunque, anche l’art. 183 cod. proc. civ., comma 5 – è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice. Infatti, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite, la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di adempimento contrattuale riguardano entrambe diritti eterodeterminati (nei quali il bene acquista determinatezza solo mediante il collegamento con la causale addotta a sostegno della pretesa), per la cui individuazione è, quindi, necessario il riferimento ai relativi fatti costitutivi. E l’analisi dei fatti costitutivi delle azioni di adempimento e di arricchimento senza causa porta alla conclusione che, anche con riferimento al petitum, il bene giuridico è diverso:

indennizzo in luogo del pagamento del corrispettivo pattuito. In ordine, poi, alla causa petendi, è di tutta evidenza che la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione siano elementi estranei all’azione contrattuale, così come il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente, che, in ipotesi di coinvolgimento della Pubblica Amministrazione, è addirittura un ulteriore elemento integrativo dell’azione. Il divieto di mutatio risiede nell’esigenza di evitare che l’opposto introduca un cambiamento del bene giuridico perseguito e dei fatti giuridicamente rilevanti. Tali domande non sono, dunque, intercambiabili, e non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, posto che i fatti costitutivi, che rispettivamente le individuano, divergono sensibilmente fra loro ed identificano due distinte entità, nessuna delle quali può dirsi potenzialmente contenente l’altra o potenzialmente in essa contenuta. L’attore, quindi, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso (indennizzo, anzichè il corrispettivo pattuito), cosi mutando l’originario petitum, ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica, che erano – come già detto privi di rilievo nel rapporto contrattuale.

Diversamente, sarebbe posto al giudice un nuovo tema d’indagine e sarebbero spostati i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare funzionamento del processo. Se questi sono i caratteri distintivi delle domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, è evidente che non può neppure parlarsi di emezidatio libelli nel passaggio dall’una all’altra azione. E’ infatti principio pacifico che si ha semplice emendatio libelli – e non mutatio – quando si incida sulla causa petendi, in modo tale che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto; oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo, al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio.

Nel caso in esame la configurazione delle due domande come domande che si differenziano sia quanto alla causa petendi che quanto al petitum è evidente. Non può ritenersi, per altro verso, che l’attività difensiva della amministrazione opponente sia stata indirizzata anche a contrastare eventuali situazioni di indennizzabilità per il pregiudizio subito dalla società opposta, dato che le difese spese dalla Regione si sono incentrate sull’inesistenza del rapporto negoziale per mancanza del contratto e del relativo atto deliberativo, sulla inidoneità probatoria delle fatture emesse dalla Edilizia Progresso e sulla irriferibilità soggettiva alla Regione della dichiarazione debitoria su cui pure si era basata la richiesta di decreto ingiuntivo. Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite sopra citate ciò implica che il tema di indagine su di un ipotizzabile ingiustificato arricchimento non era stato introdotto nel giudizio con l’opposizione al decreto ingiuntivo.

Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta l’erroneità della decisione impugnata in quanto non ha rilevato l’avvenuta accettazione del contraddittorio da parte della Regione Calabria sulla domanda di indennizzo dell’arricchimento senza causa.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendo della decisione basata sul rilievo per cui il regime di preclusioni introdotto dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 deve ritenersi inteso non solo a tutela dell’interesse di parte ma anche dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la tardività di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte al riguardo (Cass. civ. n. 25242 del 29 novembre 2006).

Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente ripropone la domanda già oggetto dell’appello incidentale di condanna della Regione al pagamento dell’IVA sulla somma liquidata.

Il motivo deve ritenersi assorbito dall’esame dei precedenti.

La società ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo e assorbito il terzo. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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