Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26744 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14450/2019 proposto da:

U.A., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, Via

Fermi 3, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano che lo

rappresenta e difende per procura in allegato al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 253/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 21.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2020 dal Dott. BELLE’ Roberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da U.A. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale; U.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;

il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere la Corte territoriale erroneamente valutato come non credibile la narrazione del ricorrente, omettendo di valutare i rischi che egli correrebbe in caso di rientro forzoso in Pakistan;

il motivo è inammissibile, in quanto esso prospetta una mera rivalutazione di merito del convincimento sulla credibilità motivatamente raggiunto dalla Corte d’Appello;

la Corte territoriale, oltre a ritenere la scarsa credibilità del racconto in ordine al fatto che i talebani erano soliti andare presso la scuola coranica frequentata dal ricorrente per fare proselitismo, ha aggiunto che in ogni caso, si trattava di racconto non circostanziato e con cui soprattutto neppure si affermava che ciò accadesse con esercizio di minacce o violenze, tutto riducendosi ad un generico timore non riconducibile ai presupposti previsti dalla normativa vigente sulla protezione internazionale;

rispetto a tale ultima argomentazione il ricorrente nulla sostanzialmente replica;

pertanto, l’ininfluenza del racconto, per la sua incoerenza rispetto alle forme di tutela richiedibili sulla base di esso, resta definitivamente acclarata e rende inutile ogni argomentazione rispetto alla credibilità o meno del medesimo, che dunque è inammissibile;

così come gli apprezzamenti sullo stato di violenza in Pakistan, cui pure si fa riferimento nella censura, non interferiscono con la questione sulla credibilità del racconto, sulla quale è incentrato il motivo, ma semmai sui profili attinenti alle condizioni del paese, quali rilevanti per la protezione sussidiaria, di cui si dirà di seguito; con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sotto il profilo dell’illegittimo diniego della protezione sussidiaria, omettendo d’indagare sulle condizioni di pericolo esistenti in patria;

non è in sè vero che la sentenza impugnata non abbia indagato sui rischi esistenti nel paese di provenienza, avendo essa richiamato dati del sito Easo COI Report – Pakistan 2017 da cui emergerebbe che gli attacchi terroristici sarebbero diminuiti, con evoluzione in senso favorevole alla stabilizzazione della sicurezza;

il motivo ha invece un contenuto del tutto generico;

anche a voler qui considerare il rapporto Amnesty International citato e trascritto nel contesto del primo motivo di ricorso, si rileva come esso sia datato 27.3.2019 e sia quindi successivo alla sentenza impugnata, la quale non può quindi certamente essere censurata, secondo le regole sulla pertinenza cronologica del giudicato e stante l’impossibilità di introdurre elementi nuovi in sede di legittimità, per non avere considerato elementi eventualmente emersi dopo la sua pubblicazione;

con il terzo motivo il ricorrente afferma la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, sostenendo che nella sentenza non si reperirebbe alcuna argomentazione circa le ragioni a base del rigetto della domanda e sottolineando come la vulnerabilità possa dipendere da situazioni geo-politiche o politico-economiche che la Corte era tenuta ad accertare, anche attraverso indagini officiose, onde non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose dei diritti umani, senza contare la paura di tornare in patria per le condizioni di rischio personale esposte;

il motivo è anch’esso inammissibile;

esso è del tutto generico, esponendo situazioni solo astrattamente possibili, che lo rendono palesemente inidoneo a censurare con effettività quanto argomentato dalla Corte;

nulla sulle spese, in assenza di reale attività difensiva da parte del Ministero, limitatosi alla costituzione in giudizio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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