Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26743 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14335/2019 proposto da:

E.S., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche,

Via Fermi 3, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano che lo

rappresenta e difende per procura in allegato al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2339/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2020 dal Dott. BELLE’ Roberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da E.S. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale; E.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;

il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, ‘art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere la Corte territoriale erroneamente valutato come non credibile la narrazione del ricorrente, omettendo di valutare i rischi che egli correrebbe in caso di rientro forzoso in Nigeria;

il motivo è inammissibile, in quanto esso prospetta una mera rivalutazione di merito del convincimento sulla credibilità motivatamente raggiunto dalla Corte d’Appello;

la Corte territoriale ha individuato due elementi a fondamento della propria valutazione, consistenti nel non avere il ricorrente affermato la propria omosessualità in sede di domanda amministrativa, ma solo nell’audizione davanti alla Commissione e nel non avere spiegato il perchè di tale anomalo comportamento, visto che la fuga a quanto sostenuto in giudizio sarebbe stata dovuta proprio ai pericoli derivanti nel proprio paese dalla condizione di omosessuale; in proposito non vi è dubbio che non vi siano preclusioni a che la parte istante per la protezione muti la prospettazione dei fatti nel corso del procedimento amministrativo di valutazione della sua domanda, ma certamente non è precluso al giudice, nella formazione del proprio giudizio sul merito, valorizzare tale contraddizione come elemento di non credibilità;

il motivo propone quindi una diversa lettura dell’accaduto, che riporta quella contraddizione a ragioni di pudore, ma si tratta di prospettazione di una diversa valutazione dei fatti, certamente estranea al giudizio di legittimità (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; sulla pertinenza al giudice del merito del giudizio di fatto sull’attendibilità in tema di protezione internazionale v. tra le molte, Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

con il secondo motivo è denunciata sempre la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sotto il profilo dell’illegittimo diniego della protezione sussidiarla, pronunciato omettendo d’indagare sulle condizioni di pericolo esistenti in patria; non è in sè vero che la sentenza impugnata non indichi le fonti del proprio convincimento sul punto della protezione sussidiaria, richiamando essa dati di un preciso sito che indica nei dettagli e come aggiornato al 4.4.2017, da cui la situazione del paese risulterebbe in fase di assestamento ed avviata ad una pacifica convivenza;

del resto, chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sotto il profilo del mancato esercizio dei poteri di indagine o di incompleta indicazione delle fonti, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate e dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso;

il motivo, per quanto attinente ad una violazione di legge, riguarda infatti pur sempre l’omesso esercizio di poteri istruttori, la cui censura non può consistere nella mera allegazione della mancata ricerca di una prova purchessia e va viceversa sorretto da un ragionamento, eventualmente anche desumibile ex se dal contenuto delle COI, che dimostri l’indispensabilità degli elementi così addotti; in altre parole, la necessaria concludenza del vizio denunciato, comporta il convergere della censura in un requisito di indispensabilità del mezzo, la cui ricorrenza è già stata individuata da questa Corte, seppure in altri ambiti, allorquando esso sia idoneo ad eliminare ogni possibile incertezza od a provare quel che sia rimasto indimostrato (Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10790; v. anche, in tema di mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice del lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; fino a Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);

tali connotazioni mancano nel caso di specie, in quanto il motivo riferisce di un rapporto COI da cui emergerebbero violenze nello stato di Edo, senza indicarne alcuna datazione, il che rende la censura palesemente inidonea ad un qualsivoglia apprezzamento di decisività;

con il terzo motivo il ricorrente afferma la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, sostenendo che nella sentenza non si reperirebbe alcuna argomentazione circa le ragioni a base del rigetto della domanda e sottolineando come la vulnerabilità possa dipendere da situazioni geo-politiche o politico – economiche che la Corte era tenuta ad accertare, anche attraverso indagini officiose, onde non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose dei diritti umani, senza contare la paura di tornare in patria per le condizioni di rischio personale esposte;

il motivo è anch’esso inammissibile;

esso è del tutto generico, esponendo situazioni solo astrattamente possibili, che lo rendono palesemente inidoneo a censurare con effettività quanto argomentato dalla Corte e, nella parte in cui ancora richiama la condizione di omosessualità, assorbito dalla valutazione di non credibilità del racconto, destinata a resistere alle censure in proposito contenute nel ricorso per cassazione, secondo quanto sopra detto;

nulla sulle spese, in assenza di reale attività difensiva da parte del Ministero, limitatosi alla mera costituzione tardiva in giudizio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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