Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26741 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26741

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14322/2019 proposto da:

J.B., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, Via

Fermi 3, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano che lo

rappresenta e difende per procura in allegato al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2417/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 6.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2020 dal Dott. BELLE’ Roberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da J.B. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale; J.B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi

il Ministero dell’Interno ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria, limitandosi a dichiarare che il ricorrente non avrebbe dedotto alcun pericolo per la propria incolumità, senza valutare attraverso indagini aggiornate le condizioni del suo paese di origine;

la Corte d’Appello, citando fonti del 2016-2017, ha ritenuto che le condizioni del paese di provenienza del ricorrente (Gambia) fossero migliorate e che fosse pertanto da escludere la sussistenza di gravi minacce in caso di rientro;

il ricorrente nel motivo replica citando fonti (nota Commissione per il diritto di asilo) secondo cui effettivamente il paese sarebbe “in corso di normalizzazione”, per desumerne (a contrario) che ancora la situazione non sarebbe stabilizzata;

secondo il ricorrente “oggi” risulterebbe altresì che, in ragione del rientro di popolazione precedentemente emigrata, si starebbero registrando episodi di violenza e disordini;

tuttavia, chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito degli obblighi istruttori sul medesimo gravanti, sotto il profilo del mancato esercizio dei poteri di indagine o di incompleta indicazione delle fonti ha sempre l’onere, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura, di allegare che esistono COI aggiornate e dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso;

il motivo, per quanto attinente ad una violazione di legge, riguarda infatti pur sempre l’omesso esercizio di poteri istruttori, la cui censura non può consistere nella mera allegazione della mancata ricerca di una prova purchessia e va viceversa sorretto da un ragionamento, eventualmente anche desumibile ex se dal contenuto delle COI, che dimostri l’indispensabilità degli elementi così addotti; in altre parole, la necessaria concludenza del vizio denunciato, comporta il convergere della censura in un requisito di indispensabilità del mezzo, la cui ricorrenza è già stata individuata da questa Corte, seppure in altri ambiti, allorquando esso sia idoneo ad eliminare ogni possibile incertezza od a provare quel che sia rimasto indimostrato (Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10790; v. anche, in tema di mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice del lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; fino a Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);

ciò implica la necessità di datazione delle COI di cui si lamenta la mancata considerazione, anche rispetto alla loro anteriorità rispetto alla sentenza impugnata, non potendosi evidentemente far valere elementi ad essa posteriori, potendo in tal caso esse semmai riguardare soltanto, secondo le regole proprie dei limiti cronologici del giudicato, una reiterazione della domanda di tutela D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 29, lett. b;

nel caso di specie, manca tale necessaria indicazione, in quanto neppure è chiaro se quel'”oggi” cui si riferisce il motivo sia momento anteriore o posteriore (come sarebbe se la datazione fosse quella del ricorso) al momento, cui deve farsi riferimento, in cui la Corte territoriale ha espresso il suo giudizio;

così come il trarre a contrario elementi addirittura di segno sfavorevole rispetto all’assenza di pericoli, da una fonte che attesterebbe l’avvio a normalizzazione del paese, è argomento meramente ipotetico, per non dire contraddittorio e come tale privo dei requisiti di concludenza e idoneità logica di cui si è detto;

con il secondo motivo il ricorrente afferma la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, sostenendo che nella sentenza non si reperirebbe alcuna argomentazione circa le ragioni a base del rigetto della domanda e sottolineando come la vulnerabilità possa dipendere da situazioni geo-politiche o politico-economiche che la Corte era tenuta ad accertare onde non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose dei diritti umani, senza contare la paura di tornare in patria e di essere vittima di attacchi terroristici evidenziata in atti;

la sentenza non è in realtà priva di motivazione rispetto all’ipotesi di cui all’art. 5, comma 6, cit., illo tempore vigente, avendo essa escluso la ricorrenza non solo dei presupposti per la tutela dei rifugiati o della protezione sussidiaria, ma anche la sussistenza di situazioni personali di vulnerabilità, che consentano di qualificare in termini umanitari l’esigenza di impedire il rimpatrio;

ciò posto, il motivo è assolutamente generico, esponendo situazioni solo astrattamente possibili, che lo rendono palesemente inidoneo a censurare con effettività quanto argomentato dalla Corte;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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