Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26739 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 21/10/2019), n.26739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1897-2018 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHILI 33, presso lo studio dell’avvocato RAMPINO GIOVANNI

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato AMATI FABIANO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RASANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE FILIBERTO 191, presso lo studio

dell’avvocato CURSARO PAOLA ERSILIA, rappresentato e difeso dagli

avvocati MOTTA CATALDO, CARPARELLI OTTAVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2218/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO

LUIGI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 16.10.2017, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di B.A. volta alla declaratoria della natura subordinata della collaborazione precorsa con il Comune di Fasano e al pagamento delle consequenziali differenze retributive;

che avverso tale pronuncia B.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che il Comune di Fasano ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per avere la Corte di merito ritenuto insussistente la prova della sua soggezione al potere direttivo e disciplinare dell’odierno controricorrente nonostante che esso aveva formato oggetto delle deposizioni rese dai testi C. e N.;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2094 c.c. (erroneamente indicato come art. 2049 c.c. a pag. 13 del ricorso per cassazione) per avere la Corte territoriale ritenuto che l’osservanza di un orario di lavoro pari a 24 ore settimanali distribuito su cinque giorni alla settimana non costituisse indice di sicura riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta di cui all’art. 2094 c.c.;

che i motivi possono essere trattati congiuntamente, involgendo entrambi – ed indipendentemente dal loro riferimento a censure ex art. 360 c.p.c., n. 3 o censure ex art. 360 c.p.c., n. 5 – il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte di merito in ordine alla inassimilabilità del quomodo della prestazione resa dall’odierna ricorrente rispetto alle modalità con cui prestazioni di contenuto analogo sono rese dai dipendenti di ruolo del Comune;

che, invero, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017, 3340 del 2019);

che parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è il principio secondo cui, specie a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 da parte del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, (conv. con L. n. 134 del 2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);

che nella specie la Corte di merito, esaminate globalmente le risultanze istruttorie (incluse quelle concernenti l’annotazione della presenza in servizio), ha escluso che vi fosse prova che la collaborazione resa dall’odierna ricorrente avesse i connotati propri del rapporto di lavoro subordinato, per modo che è evidente che le doglianze di parte ricorrente, lungi dal denunciare l’omesso esame di fatti principali o secondari decisivi, si appuntano piuttosto sull’esito dell’esame che di essi ha compiuto la Corte territoriale, invocandone un riesame non possibile in sede di legittimità;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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