Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26735 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7687/2019 proposto da:

R.M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza

Apollodori, 26 presso lo studio dell’avvocato Antonio Filardi e

rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Zotti per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t, domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso il Decreto n. 621/2019 del Tribunale di Napoli, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato

il 28/01/2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. SCALIA Laura nella

camera di consiglio del 23/09/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’opposizione proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, da R.M.M., cittadino del Pakistan, della Regione del Punjab, avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Casetta del 19/06/2017, di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. R.M.M. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con due motivi, sollevando, altresì, una questione di illegittimità costituzionale della norma applicabile.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. R.M.M., cittadino pakistano della Regione del Punjab, musulmano sciita, nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese nel gennaio del 2016 – per raggiungere dapprima la Libia, in cui lavorava per alcuni mesi senza essere retribuito, e quindi l’Italia – temendo per la propria incolumità dopo essere stato minacciato di morte dai sunniti nei cui confronti egli, che svolgeva attività di proselitismo presso le comunità sunnite per convincerle ad abbracciare la confessione sciita, aveva pronunciato un discorso duro ed offensivo, ed era stata sporta nei suoi confronti una denuncia.

2. In via preliminare, il ricorrente sollecita il rilievo della questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli art. 3, comma 1, art. 24, commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

La norma doveva intendersi viziata da illegittimità costituzionale perchè irragionevole e violativa del principio di parità delle parti.

Il Ministero dell’Interno non doveva rilasciare procura speciale alle liti per stare in giudizio davanti alla Corte di cassazione e l’Avvocatura dello Stato aveva disposizione trenta giorni effettivi per preparare la propria difesa là dove la difesa del richiedente asilo nella migliore delle ipotesi un giorno di meno.

La disposizione di carattere generale, ovverosia l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, sancisce l’improcedibilità del ricorso nell’ipotesi in cui la procura non sia stata depositata in atti là dove invece l’art. 35-bis, comma 13, cit. stabilisce l’inammissibilità del ricorso ove la procura non sia stata autenticata almeno il giorno successivo alla comunicazione del decreto.

3. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con l’art. 5, comma 6, e con l’art. 19, comma 1, TUI e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il tribunale non aveva motivato, se non in modo apodittico, sul diniego del riconoscimento della protezione umanitaria e non aveva considerato la documentazione prodotta, affidandosi alla motivazione della Commissione territoriale e non tenendo conto che il richiedente era fuggito dal proprio Paese per ragioni legate alla religione, temendo di essere ucciso.

I giudici di merito non avevano apprezzato i fattori soggettivi di vulnerabilità del richiedente che era fuggito dal Pakistan molto giovane e che in caso di rimpatrio non avrebbe avuto nessuno che si sarebbe preso cura di lui e sarebbe stato catturato ed ucciso.

L’art. 19 TU Immigrazione introdotto con la L. n. 110 del 2017, non consente il respingimento dello straniero.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il tribunale aveva omesso di accertare D.Lgs. cit. ex art. 14, lett. e), la situazione del Paese di origine del richiedente, con riferimento alla Regione di provenienza, avuto riguardo a possibili discriminazioni per motivi religiosi, per fonti che fossero aggiornate al momento della decisione e non aveva correttamente valutato le dichiarazioni del richiedente nel rilievo che non si era rivolto alle Autorità locali perchè non lo avrebbero mai aiutato.

5. Premesso che la mera prospettazione di una questione di illegittimità costituzionale di una norma non integra un motivo di ricorso per cassazione, nella incapacità della prima di definire un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte di cassazione (Cass. 09/07/2020 n. 14666), va innanzitutto dichiarata (Ndr: testo originale non comprensibile) infondata la proposta questione di illegittimità costituzionale.

Questa Corte di cassazione ha per vero già avuto modo di affermare che è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria.

L’indicata previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, (Cass. n. 32029 del 11/12/2018, in motivazione, pp. 4 e 5).

6. Il secondo motivo è inammissibile perchè generico.

Il tribunale motiva sulla mancanza negli atti di violenza, per cui il ricorrente ha chiesto la protezione internazionale, di una condizione di personale vulnerabilità del richiedente fondata su specifiche e plausibili ragioni di fatto legate alla situazione concreta e personale (Cass. 4455 del 2018) e non incorre, per ciò stesso, nell’apparenza della motivazione apprezzando della dedotta situazione la non ascrivibilità a quella meritevole del rimedio.

A siffatti contenuti della decisione ed il ricorrente si limita a contrapporre valutazione una reiterazione delle iniziali difese (Cass. n. 22478 del 24/09/2018).

Il motivo non si confronta inoltre con la più articolata motivazione là dove il tribunale valuta infondata la domanda per la ritenuta insussistenza di una situazione di vulnerabilità connotata dalla violazione o l’impedimento, nel paese di origine, dell’esercizio dei diritti umani inalienabili.

6.1. La non credibilità del racconto, così il tribunale nell’impugnato decreto, esclude d’altra parte l’attivazione ufficiosa dei poteri istruttori del giudice per la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

6.2. Quanto alla fattispecie di cui al D.Lgs., art. 14, lett. e), il motivo si presta ad una valutazione di inammissibilità.

Il ricorrente manca infatti di dedurre sulla tempestiva allegazione davanti ai giudici di merito di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale nel suo Paese.

Se lo straniero che chieda il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), non ha infatti l’onere di presentare, tra gli elementi e i documenti necessari a motivare la domanda (D.Lgs. cit., art. 3, comma 1), quelli che si riferiscono alla sua storia personale, salvo quanto sia indispensabile per verificare il Paese o la regione di provenienza, perchè, a differenza delle altre forme di protezióne, in quest’ipotesi non rileva alcuna personalizzazione del rischio (Cass. n. 13940 del 06/07/2020), ciò posto, ove il cittadino straniero invochi protezione ex art. 14, lett. e) cit., egli deve fornire elementi utili circa l’esistenza di un conflitto armato nel suo Paese perchè poi insorga l’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice del merito (vd. Cass. n. 17069 del 28/06/2018 e Cass. n. 13940 del 06/07/2020).

Il tribunale d’altra parte ha provveduto a scrutinare la situazione del Paese di origine, il Punjab, del richiedente su fonti ufficiali ed aggiornate (per consultazione del sito web Coi Portai rapporto Easo sulla sicurezza in Pakistan del 2018) per poi escludere l’esistenza di un conflitto armato ex art. 14, lett. e).

L’indicata situazione è stata altresì vagliata dai giudici di merito, per poi essere esclusa nel suo rilievo, in raccordo con la situazione personale del richiedente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 (p. 6 decreto).

Il motivo deducendo sulla questione una omessa pronuncia è come tale, e quindi, manifestamente inammissibilità.

7. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile.

Nulla sulle spese nella tardivita ed irritualita della costituzione del Ministero dell’Inferno.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si da atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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