Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26733 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1761/0TO proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Apollodori, 26

presso lo studio dell’avvocato Antonio Filardi, e rappresentare e

difeso dall’avvocato Antonella Zotti, per procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato, in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in

materia di immigrazione, protezione internazionale e libera

circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato il

19/06/2018, r.g. 35630 del 2017;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 23/09/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’opposizione proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis da A.R., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Caserta, di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. A.R. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con due motivi, sollevando in via preliminare quattro questioni di illegittimità costituzionale.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. A.R. originario del (OMISSIS), nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver raggiunto l’Italia, fuggendo dal proprio Paese al fine di sottrarsi alle continue minacce ricevute da un’organizzazione criminale, legata ad una forza politica, che dapprima gli aveva estorto somme di denaro e quindi lo aveva aggredito e sequestrato al fine di costringerlo a pagare.

Egli ricorre avverso il decreto del Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con cui era stata rigettata l’opposizione proposta contro il provvedimento amministrativo di diniego della protezione.

2, Il ricorrente deduce in via preliminare quattro questioni di illegittimità costituzionale della normativa applicabile ed articola due motivi di ricorso con cui denuncia violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il primo dei quali deduce, in via subordinata, una ulteriore censura di illegittimità costituzionale.

2.1. Con la prima questione il ricorrente sollecita questa Corte di legittimità a sollevare questione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, come convertito dalla L. n. 46 del 2017 – che prevedeva l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale a decorrere dal 180 giorno successivo alla pubblicazione e quindi a partire dal 17 agosto 2017 – per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2.

Il ricorrente denuncia la mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza quanto al differimento temporale dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale ed invoca la giurisprudenza del Giudice delle leggi sul criterio di omogeneità temporale del decreto legge. La previsione del differimento nel tempo dell’efficacia delle sue norme lascia non risolta la questione dell’adeguatezza dello strumento a realizzare una riforma del sistema che richiede, necessariamente, processi di attuazione protratti nel tempo.

2.2. Con a seconda questione il ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5 e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU, in ordine alla previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e ss. e relative deroghe nelle controversie in materia di protezione internazionale.

Il nuovo rito camerale viola le garanzie del contraddittorio e della parità delle parti ed il loro diritto a partecipare e presenziare;all’udienza camerale. L’art. 46, paragrafo 3, della Direttiva n. 32/2013, nella parte in cui stabilisce che gli Stati membri assicurano che un “ricorso effettivo” preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e diritto, quantomeno nei procedimenti di impugnazione, osta ad una normativa nazionale di attuazione, come il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11 introdotti dalla L. n. 46 del 2017, che prevede la fissazione dell’udienza per l’audizione dell’interessato soltanto in via eventuale, al solo fine di chiedere chiarimenti alle parti o su elementi non dedotti nella procedura amministrativa innanzi aila Commissione territoriale e rilevati dalla difesa davanti al giudice competente.

I termini stretti di difesa; la mancanza di una udienza di discussione in contraddittorio delle prove raccolte dalla Commissione; l’impossibilità di ottenere la documentazione istruttoria prima della presentazione del ricorso; avrebbero esautorato, di fatto, il diritto alla difesa del ricorrente.

La mancata previsione dell’appello in materia avrebbe concorso a realizzare una irragionevole compromissione delle garanzie processuali delle parti.

2.3. Con la terza questione il ricorrente richiede a questa Corte di sollevare un dubbio di non manifesta infondatezza della illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui si stabilisce che il termine per proporre il ricorso per cassazione è di trenta giorni a decorrere dalla comunicazione della cancelleria del decreto di primo grado.

2.4. Con la quarta questione il ricorrente sollecita il rilievo della questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

3. Con il primo motivo il ricorrente fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11.

Il Tribunale di Napoli, a fronte della richiesta del difensore, non aveva provveduto a fissare l’udienza in camera di consiglio ex art. 35, comma 11 D.Lgs. cit., nonostante la mancanza della videoregistrazione del colloquio reso dal richiedente davanti alla Commissione territoriale per procedere all’audizione, del richiedente.

In via subordinata, con una ulteriore censura, il ricorrente chiede di sollevare questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in combinato con l’art. 5, comma 6 e con l’art. 19, comma 1 T.U. Immigrazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il tribunale aveva motivato in modo apodittico il rigetto della protezione umanitaria in violazione della normativa convenzionale, internazionale, senza neppure sentire il conto delle minacce da questi ricevute.

5. Devono essere innanzitutto dichiarate manifestamente infondate le proposte questioni di illegittimità costituzionale.

Premesso che la mera prospettazione di una questione di illegittimità costituzionale di una norma non integra un motivo di ricorso per cassazione nella incapacità della prima di definire un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte di cassazione (Cass. 09/07/2020 n. 14666), quanto ai contenuti del ricorso distinte le questioni di illegittimità costituzionale, le stesse vanno esaminate prima degli stretti motivi.

Questa Corte di cassazione ha già avuto modo di affermare che: a) è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza, poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime; b) è, del pari manifestamente infondata, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale, ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte; c) è, altresì, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità dei legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento; d) è, infine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione dei decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (in termini: Cass. n. 32029 del 11/12/2018, in motivazione, pp. 4 e 5).

6. Venendo ai singoli motivi, è inammissibile quello con cui il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11.

Il Tribunale aveva rigettato, ratione temporis ed ante D.L. n. 13 del 1017 che aveva stabilito siffatta modalità di documentazione -, la richiesta di fissare l’udienza in camera di consiglio nonostante la mancata messa a disposizione da parte della Commissione territoriale della video-registrazione dell’audizione.

In tal modo, deduce il ricorrente, il Collegio di primo grado non poteva “verificare che effettivamente le dichiarazioni del ricorrente fossero imprecise e non attendibili” là dove invece l’unico modo per svolgere questa verifica, tra l’altro nel pieno rispetto della ratio legis della novella legislativa, “consisteva proprio nel fissare l’udienza in camera di consiglio, al fine di ascoltare direttamente la parte e poter verificare così l’attendibilità o meno, su questo punto esiziale della vicenda, delle dichiarazioni della stessa rispetto alla sua effettiva provenienza geografica” (pp. 15 e 16 ricorso).

Ad una sua piena e corretta lettura, il motivo, con cui si contesta la mancata fissazione dell’udienza in camera di consiglio da parte del tribunale, risulta finalizzato ad ottenere l’ascolto da parte dell’organo giurisdizionale del richiedente protezione al fine di vagliarne l’attendibilità delle dichiarazioni rese.

Il tribunale sul punto ha rilevato che il ricorrente non ha specificato per quali ragioni chiede di essere ascoltato e nulla ha aggiunto al narrato reso davanti alla Commissione territoriale.

Tanto premesso, viene in rilievo quanto da questa Corte di cassazione recentemente chiarito, in puntuale disamina della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea ed in continuità con sue precedenti pronunzie, in materia di protezione internazionale.

Il giudice del merito, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione di colui che svolga domanda per la protezione internazionale ove il ricorso contro il provvedimento di diniego contenga motivi o elementi di fatto nuovi semprechè sufficientemente circostanziati e rilevanti, nella essenziale strumentalità assolta da siffatto adempimento rispetto al vaglio su coerenza e plausibilità del racconto, presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (da ultimo in siffatti termini: Cass. 23/10/2019 n. 27073).

In applicazione degli indicati principi il ricorrente non deduce fatti nuovi a sostegno della domanda nè dalla dedotta fattispecie si evince che il giudice abbia ritenuto necessaria l’acquisizione di chiarimenti su incongruenze e contraddizioni nelle dichiarazioni del richiedente o che quest’ultimo ne abbia fatto istanza precisando gli aspetti in ordine ai quali intendeva fornire i chiarimenti stessi.

Per gli indicati contenuti il motivo è pertanto inammissibile, non essendo correlato alle ragioni che sostengono l’osservanza dell’invocato adempimento secondo il paradigma normativo integrato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione e che pure nell’impugnata motivazione ha trovato espressione.

La subordinata questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10, e 11 come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24, commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, come integrato dagli artt. 6 e 13 CEDU e dall’art. 46, par. 3, Direttiva 32 n. 2013, avanzata dal ricorrente in via subordinata – con cui si censura in esito alle leggi di riforma del procedimento per la protezione internazionale e del giudizio di cassazione, rispettivamente la n. 46 del 2017 e la n. 197 del 2016, la cameralizzazione del giudizio e la riduzione dei casi di discussione in pubblica udienza del contenzioso chiamato davanti la Corte di cassazione – è manifestamente infondata.

La natura camerale e cartolare che connota il giudizio sulla protezione internazionale non è lesiva del principio del giusto processo ex art. 6 CEDU nella compatibilità del rito camerale con la cognizione dei diritti e degli status e nella tutela del diritto di difesa anche in ipotesi di trattazione scritta del giudizio come da questa Corte di cassazione già rilevato (vd., Cass. 05/07/2018 n. 17717).

Nè consente di pervenire a differenti conclusioni l’ulteriore censura al giudizio di legittimità.

Come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Cass. 02/03/2017 n. 5371), restando poi il diritto di difesa assicurato dalla trattazione scritta della causa nella facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare le rispettive ulteriori ragioni (Cass. n. 5371 cit.; Cass. 10/01/2017 n. 395).

7. Con l’ulteriore censura si fa valere la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato con l’art. 5, comma 6 e con l’art. 19, comma 1 TUIM e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine alla materia della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile perchè in modo assertivo invoca i caratteri dell’autonomia ed atipicità dello strumento della protezione umanitaria senza poi riuscire a coniugarli con la vicenda narrata dal ricorrente e la motivazione resa dal tribunale al cui giudizio il ricorso si limita a contrappone una diversa valutazione dei fatti ed a richiamare, genericamente, il principio di non refoulement (art. 19 TUIM).

8. Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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