Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26733 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. II, 13/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 13/12/2011), n.26733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MARCOLINI ANGELO DITTA SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE

GEOM. M.A., P. I. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CIVININI 49, presso lo studio

dell’avvocato LUNARI FULVIO, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati GORI FEDERICO, TORRIANI MARIA ISABELLA;

– ricorrente –

contro

R.F.A. C.F. (OMISSIS), D.C.,

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA F. CORRIDONI 14, presso lo studio dell’avvocato

VALENTINI STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato PARDI ARTURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 316/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliare Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’il novembre 1993 F. R., P.A. e D.C., proprietari di appartamenti in un edificio in (OMISSIS), convenivano davanti al Tribunale di Pesaro la Marcolini Angelo s.r.l., che aveva costruito il fabbricato di cui facevano parte gli appartamenti in questione, chiedendo accertarsi l’esistenza e l’imputabilità alla convenuta di numerosi difetti e la condanna della stessa al risarcimento dei danni.

La società convenuta, costituitasi, oltre a proporre alcune eccezioni preliminari, contestava il fondamento della domanda.

Con sentenza non definitiva in data 14 gennaio 2000 il Tribunale di Pesaro accertava la presenza dei vizi costruttivi lamentati e rimetteva le parti in istruttoria per procedere alla stima dei costi occorrenti per la loro eliminazione.

Con successiva sentenza in data 14 giugno 2002 il Tribunale di Pesaro determinava in complessivi Euro 34.494,77 la somma dovuta agli attori dalla società convenuta, affermando, tra l’altro:

E’ indubbio che l’ambito dell’indagine debba essere circoscritto alla giudiziale domanda degli attori per quanto concerne l’eliminazione dei vizi riscontrati unicamente nella loro proprietà, onde la quantificazione degli occorrenti oneri non può essere riferita all’intero edificio.

A quest’ultimo proposito l’indicazione del C.T.U. rappresenta un di più non richiesto dal quesito postogli e cosi anche gli attori non possono domandare il risarcimento per l’intera opera anche attesane la tardività della richiesta, posta in conclusionale.

Nel frattempo la Marcolini Angelo s.r.l. aveva proposto appello immediato contro la sentenza non definitiva e la Corte di appello di Ancona, con sentenza in data 15 luglio 2002, dichiarava gli attori decaduti dalla garanzia per vizi, ad eccezione di quelli relativi alla impermeabilizzazione dei muri perimetrali ed al mancato isolamento del sottotetto.

La società convenuta aveva proposto appello anche contro la sentenza definitiva di primo grado e gli originari attori, nella loro comparsa di risposta, avevano proposto una “domanda riconvenzionale”; la Corte di appello di Ancona con sentenza in data 13 giugno 2005, accoglieva parzialmente quello che considerava l’appello incidentale proposto dagli attori, mentre rigettava l’appello principale.

In relazione alla effettiva proposizione di un appello incidentale così motivava la Corte di appello: … al di là di evidenti e numerose discrasie lessicali (non soltanto tecnico-giuridiche) che contraddistinguono gli scritti difensivi attore, appare infatti alla Corte evidente che tale parte, nel qualificare la sua richiesta in termini di domanda riconvenzionale, intendesse riferirsi nella sostanza alla proposizione di un appello incidentale avverso la sentenza fatta oggetto del gravame principale da parte della società convenuta.

Nel merito la Corte di appello riteneva fondato l’appello principale in base alla seguente motivazione:

Non può, invece, condividersi la pretesa dell’appellante principale di considerare – con riguardo alla bonifica delle pareti perimetrali ed all’isolamento del sottotetto – soltanto “i muri appartenenti agli attori, limitatamente al solo retro del fabbricato” : a parte che la questione potrebbe dirsi decisa già dalla precedente sentenza di questa Corte che fece riferimento ai difetti della mancata “impermeabilizzazione dei muri perimetrali” e del “mancato isolamento del sottotetto” senza alcuna distinzione tra l’intero edificio e le porzioni attoree ed a parte che comunque si tratterebbe di parti comuni sulle quali gli attori hanno un diritto di comproprietà che li abilita alla relativa tutela anche oltre la loro quota condominiale, sta di fatto che l’accoglimento della censura comporterebbe una conseguenza inammissibile, cioè l’attribuzione di un risarcimento incompleto, posto che, come espressamente rilevato dal consulente d’ufficio, si tratta di interventi necessariamente da estendere all’intero edificio a pena di inutilità degli stessi; in particolare, il c.t.u. richiama “la possibilità di innesco di effetto ponte termico tra le pareti isolate e non, con la probabile nascita di macchie di umidità ed altri effetti sgradevoli”, considerazione valida non solo con riferimento alla realizzazione del “cappotto” esterno di isolamento, ma per tutti gli altri lavori sia di bonifica delle pareti che di impermeabilizzazione del tetto.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, la Marcolini Angelo s.r.l.

Resistono con controricorso R.F., P.A. e D.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente deduce, in primo luogo, che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che gli attuali resistenti non avevano impugnato la sentenza definitiva del Tribunale di Pesaro, la quale aveva testualmente affermato: E’ indubbio che l’ambito dell’indagine debba essere circoscritto alla giudiziale domanda degli attori per quanto concerne l’eliminazione dei vizi riscontrati unicamente nella loro proprietà, onde la quantificazione degli occorrenti oneri non può essere riferita all’intero edificio.

Sulla non risarcibilità dei danni attinenti alle parti comuni, pertanto, si era formato il giudicato. La doglianza è infondata.

La sentenza impugnata, infatti, non ha riconosciuto la legittimazione attiva degli attuali resistenti in ordine alla domanda di eliminazione dei vizi attinenti alle parti comuni dell’edificio, ma ha ritenuto che l’eliminazione dei vizi esistenti nelle proprietà individuali non poteva prescindere da interventi sulle parti comuni.

Sostiene, poi, la società ricorrente che i giudici di merito non potevano utilizzare, ai fini della individuazione dei lavori da effettuare, la C.T.U. disposta nel giudizio di primo grado, in quanto, come rilevato dal Tribunale di Pesaro con la sentenza definitiva la indicazioni contenute in merito in tale C.T.U. rappresentavano “un di più non richiesto dal quesito” posto dall’ausiliare.

Anche tale doglianza è infondata.

Il C.T.U. era, infatti andato al di là del mandato affidatogli nell’individuare i difetti relativi a tutte le parti comuni, ma ciò non impediva ai giudici di merito la utilizzazione dei risultati della attività dell’ausiliare in ordine alla individuazione delle opere da realizzare sulle parti comuni in funzione del risanamento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva degli attuali resistenti.

Con il secondo motivo la società ricorrente deduce che la sentenza definitiva del Tribunale di Pesaro aveva anche affermato che gli attori “non possono domandare il risarcimento per l’intera opera anche attesane la tardività della richiesta, posta in conclusionale”.

Tale statuizione non era stata impugnata e pertanto su di essa si era formato il giudicato, che sarebbe stato violato dalla Corte di appello di Ancona con il riconoscimento del diritto degli attori alla effettuazione di opere di risanamento che interessavano le parti comuni.

Anche tale motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata non ha riconosciuto il diritto degli attori al risarcimento dei danni per vizi attinenti esclusivamente alle parti comuni, ma ha ritenuto che il risanamento dei vizi interessanti le loro proprietà esclusive degli attuali resistenti non poteva prescindere da interventi anche sulle parti comuni.

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia omessa pronuncia e deduce testualmente:

La Corte di Appello di Ancona ha, infatti, completamente omesso di pronunciare sull’eccezione di giudicato che era stata svolta dall’appellante principale nella memoria di replica alla conclusionale avversaria di secondo grado in relazione alla “domanda riconvenzionale” svolta dagli appellati.

Infatti l’appellante principale avevano chiesto alla Corte che fosse dichiarata l’inammissibilità della riconvenzionale avversaria (oltre che per la sua irritualità) in quanto – poichè gli appellati non avevano mosso alcuna censura alle parti della motivazione della sentenza impugnata che dichiaravano l’INAMMISSIBILITA’ DELLA RICHIESTA RISARCITORIA ESTESA A TUTTO IL FABBRICATO – la questione era coperta dal giudicato e, pertanto, gli appellati, nella denegata ipotesi di reiezione dell’appello principale, non avrebbero potuto ottenere un risarcimento maggiore di quello che gli è stato riconosciuto con la sentenza impugnata (cfr sul punto memoria di replica di parte appellante alla conclusionale avversaria).

Tale domanda è stata completamente obliata dalla corte Anconetana con il conseguente vizio della sentenza.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, in quanto la Corte di appello non ha riconosciuto il diritto degli attori al risarcimento per tutti i vizi relativi alle parti comuni, ma, come già detto, ha semplicemente ritenuto che il risanamento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva degli attori non poteva prescinde da “ben individuati interventi sulle parti comuni”.

Con il quarto motivo la società ricorrente deduce sostanzialmente che gli attori potevano comunque ottenere il risarcimento per i vizi alle parti comuni non per intero, ma solo in base millesimi di cui erano titolari.

La doglianza è inammissibile per la novità della questione che ne costituisce l’oggetto.

In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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