Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26732 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 21/10/2019), n.26732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20670-2018 proposto da:

A.J., rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO

CIAFARDINI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO e PUBBLICO MINISTERO;

TRIBUNALE NAPOLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 142/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 29.1.2016, notificato il 1.6.2016, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione cd. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria.

Avverso tale provvedimento interponeva opposizione A.J., che veniva respinta dal Tribunale di Napoli con decisione del 18.12.2016.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 142/2018, la Corte di Appello di Napoli rigettava l’impugnazione proposta da A.J. avverso la decisione di prime cure.

Il giudice di merito riteneva insussistenti i presupposti per la concessione della protezione, internazionale e umanitaria, alla luce del fatto che il richiedente aveva riferito di esser stato condannato nel Paese di origine (Bangladesh) per reati gravi, avendo partecipato ad un sodalizio criminale responsabile di omicidi e sequestri di persona a scopo di estorsione. Ravvisava quindi, alla luce del racconto del ricorrente, la ricorrenza della causa ostativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione A.J. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c. avendo la Corte di Appello deciso in base ad una motivazione meramente apparente. Ad avviso del ricorrente, la Corte partenopea avrebbe dovuto, sulla scorta delle notizie sul Bangladesh che evidenziavano l’esistenza di un contesto di “forti tensioni politiche”, quantomeno ravvisare i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 perchè la Corte territoriale avrebbe omesso di applicare il criterio dell’onere probatorio attenuato di cui alla sentenza n. 27310 del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte. Inoltre, la Corte di seconde cure avrebbe errato nel ritenere non credibile la storia riferita dal richiedente la protezione, alla luce delle notizie recepite sul Pese di provenienza.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) perchè la Corte di merito avrebbe dovuto ravvisare la situazione di grave minaccia alla sua incolumità personale.

Le tre censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili, in quanto nessuna di esse coglie la vera ratio del rigetto della domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da A.J..

Ed infatti la Corte di Appello ha valorizzato il racconto dello stesso richiedente la protezione, il quale aveva riferito di aver fatto parte, in Bangladesh, di un sodalizio criminale e di essersi reso responsabile di reati di omicidio e rapimento a scopo di estorsione. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, comma 1, lett. b) prevede che “Lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero:

b) abbia commesso, nel territorio nazionale o all’estero, un reato grave. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato…”. Analoga clausola di esclusione è prevista, relativamente al riconoscimento dello status di rifugiato, dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b).

Ai sensi dell’art. 630 c.p. il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione è punito con la pena della reclusione da 25 a 30 anni (comma 1) salvo che nei confronti del concorrente che si adoperi per la liberazione del sequestrato indipendentemente dal pagamento del riscatto (u.c.). Ai sensi dell’art. 575 c.p. il delitto di omicidio è punito con la pena della reclusione non inferiore a 21 anni, salvo che non si tratti di omicidio preteritenzionale (nel qual caso la pena è della reclusione da 10 a 18 anni: art. 584 c.p.) o colposo (art. 589 c.p.).

Considerato che il richiedente la protezione ha riferito di aver partecipato volontariamente al sodalizio criminale nel proprio Paese di origine e di essersene dissociato solo perchè colpito dal rimorso per i crimini commessi, deve ritenersi che i delitti indicati da A.J. siano stati commessi con dolo o comunque all’esito di rappresentazione volontaria dell’evento finale. Nel ricorso, in proposito, il ricorrente non indica alcun elemento dal quale possa desumersi una sua partecipazione non volontaria al sodalizio ed ai reati di cui anzidetto.

Ne deriva che ambedue le ipotesi (omicidio e sequestro di persona a scopo di estorsione) ricadono nella previsione ostativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16 in quanto per detti delitti la pena prevista dall’ordinamento italiano è superiore, nel minimo, a quattro anni e, nel massimo, a dieci anni.

Di conseguenza, a prescindere da qualsiasi considerazione circa la condizione interna del Balgladesh, il ricorrente non ha i requisiti per poter accedere alla protezione internazionale, nè sotto forma di protezione sussidiaria nè, sotto il profilo dello status di rifugiato.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 perchè la Corte partenopea avrebbe almeno dovuto ravvisare la sussistenza dei presupposti della tutela umanitaria.

Anche questa doglianza è inammissibile.

Da un lato, infatti, va considerato che la condizione di vulnerabilità non può derivare dalla scelta criminosa del diretto interessato, il quale redendosi responsabile di gravi delitti di carattere comune si pone volontariamente nella condizione di subire la punizione prevista dall’ordinamento giuridico del Paese di appartenenza e, quindi, di essere avviato al percorso carcerario nelle forme previste da quell’ordinamento.

Dall’altro lato, va ribadito che la vulnerabilità va comunque riferita alla condizione individuale del richiedente la protezione umanitaria e non può mai risolversi in una generica richiesta di considerazione delle diverse condizioni di vita esistenti, rispettivamente, in Italia e nel Paese di provenienza.

Se infatti è vero che, ai fini della concessione o del diniego della protezione umanitaria, è necessario prendere le mosse dalla considerazione della situazione interna del Paese di origine del richiedente la protezione umanitaria, tuttavia va ribadito che “Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere. (cfr. Cass. n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013). E’ necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv.647298, in motivazione, pagg.9 e 10).

Nel caso di specie il ricorrente non ha allegato alcuna circostanza specifica a sostegno della sua pretesa condizione di vulnerabilità, nè con riguardo alla sua vita privata, personale e familiare, in Italia comparata alla sua situazione personale nel Paese di provenienza (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 9304 del 03/04/2019, Rv.653700; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13079 del 15/05/2019, Rv.654164) o nel Paese di transito (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885), nè con riferimento al rischio di essere sottoposto, nel suo Paese, a tortura o a trattamenti inumani o degradanti (circostanza, quest’ultima, che potrebbe, in astratto, rilevare anche in presenza della causa ostativa per reati gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16: cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5358 del 22/02/2019, Rv.652731).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva nel presente giudizio di legittimità da parte del Ministero intimato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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