Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26730 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26730 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FIGUS GIANMARIO,

elettivamente domiciliato in Roma, via

Gavinana n.4 presso lo studio dell’Avv.Domenico
Angelini che lo rappresenta e difende, per procura a
margine del ricorso, unitamente all’Avv.Michele
Tumminelli
-ricorrente-

2 42,(AZ
)3

contro
AGENZIA delle ENTRATE,
generale

pro

tempore,

in persona del Direttore
rappresentata

e

dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

difesa
cui

Uffici in Roma, via dei Portoghesi n.12 è elettivamente
domiciliata.

Data pubblicazione: 29/11/2013

-controricorrente-

avverso la sentenza n.152/02/06 della Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia depositata il
9.11.2006;

udienza del 26.9.2013 dal Consigliere Roberta Crucitti;
udito per il ricorrente l’Avv.Domenico Angelini;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.Ennio Attilio Sepe che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto

Gianmario Figus impugnò gli avvisi di accertamento
con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un
maggior reddito imponibile, ai fini Irpef e S.S.N. per
l’anno 1998, calcolato in base a parametri induttivi
presuntivi.
La Commissione Tributaria Provinciale adita rigettava
il ricorso proposto dal contribuente ed eguale sorte
subiva l’appello proposto avverso questa decisione,
rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia con la sentenza indicata in epigrafe.
In particolare, i Giudici di appello ritenevano che il
D.C.P.M. del

29.11.1996 fosse “valido ed efficace”,

anche se non era stato acquisto il preventivo parere

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

del Consiglio di Stato e che l’accertamento fosse
legittimo in quanto basato sulle dichiarazioni del
contribuente il quale, malgrado l’invito dell’Ufficio
al contraddittorio, non aveva ritenuto di aderire a
tale richiesta e non aveva allegato prove di segno

contenziosa.
Avverso la sentenza il contribuente ha proposto
ricorso per cassazione affidato a quattro motivi,
successivamente illustrati con deposito di memorie ex
art.378 c.p.c.
L’Agenzia

delle

Entrate

ha

resistito

con

controricorso.
Ritenuto in diritto.

1.Con il primo motivo, rubricato “art.360 n.3 e 5:
violazione di legge per falsa applicazione dell’art.1
D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917. Vizio di omessa
pronuncia su un punto decisivo per la controversia”,

il

ricorrente -premesso di avere eccepito in tutti i gradi
di merito che l’Ufficio si era limitato ad una
ricostruzione del reddito, esclusivamente sulla base
del discostamento dai parametri, senza indicare
elementi specifici in forza dei quali potesse desumersi
l’esistenza di redditi non dichiarati- deduce l’errore
in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale

3

contrario né in sede amministrativa né nella fase

lombarda nell’omettere di rilevare che l’atto di
imposizione, con cui si era determinato il volume di
affari di riferimento di cui all’allegato 2 tabella A
d.p.c.m. 29.1.1996, non accertava il presupposto di
imposizione rappresentato dal possesso di redditi.

parametri riflettono un mero dato comparativo in
relazione alle medie nazionali del settore e non
forniscono elementi sulla capacità contributiva del
soggetto passivo che andrebbe sottoposto a tassazione.
2.Con il secondo motivo -rubricato

“art.360 n.3 e

n.5 c.p.c.:vizio di violazione di legge per falsa
applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c.; vizio di
insufficiente ed erronea motivazione circa un punto
decisivo della controversia”-

il ricorrente, premesso

che in tutti i gradi di merito aveva eccepito quali
fatti impeditivi alla ricostruzione parametrica che. , i
ricavi dichiarati consistevano nelle provvigioni
mensili maturate nella sua qualità di subagente e che
il rapporto era monomandatario con assenza di
organizzazione produttiva, deduce come la Commissione
Tributaria Regionale, nel ritenere la legittimità
dell’accertamento esclusivamente sulla tesi sostenuta
dall’Erario ritenendo inidonee le allegazioni di segno
contrario del contribuente, avesse violato l’art.115

4

Secondo la prospettazione difensiva, infatti,

c.p.c. e l’art.116 c.p.c. omettendo di esaminare il
contenuto dei documenti (fatture, registro dei beni
ammortizzabili,)

ritualmente prodotti

dai quali si

evinceva che l’attività di impresa, sostanziatasi in
un unico rapporto giuridico, era priva del requisito

“parasubordinato”.
3.Con il terzo motivo -rubricato

“art.360 n.3 e

n.5 c.p.c.:vizio di violazione di legge per falsa
applicazione dell’art.2967 c.c. con riferimento agli
artt.39, comma 1, lett.d d.p.r. n.600/73, 2727, 2728,
2729 c.c.). Omessa motivazione su fatto controverso e
decisivo per il giudizio”-

il ricorrente denuncia

l’errore commesso dai Giudici di appello per avere
qualificato la presunzione semplice di cui all’art.3
della legge n.549/1995 quale presunzione relativa e,
quindi, invertito l’onere della prova sul contribuente.
Detta violazione di legge, secondo la prospettazione
difensiva, si era tradotta in omessa motivazione per il
Giudice di merito il quale non aveva rilevato
l’illegittimità dell’accertamento fiscale non avendo
l’Erario assolto l’onere della prova sullo stesso
incombente.
4. Infine, con il quarto motivo -rubricato

“art.360 n.3

e 5 c.p.c. vizio di violazione di legge per falsa

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dell’autonomia ed aveva carattere di rapporto di lavoro

applicazione degli artt.2727, 2728

e 2729 c.c.-Omessa

motivazione su fatto controverso e decisivo per il
giudizio”

il ricorrente deduce l’errore commesso dai

Giudici di appello nell’avere omesso di rilevare che
l’accertamento parametrico si fondava su presunzioni

altri indizi gravi, precisi e concordanti.
5.11 ricorso è infondato.
L’accertamento

tributario

standardizzato

mediante

applicazione dei parametri o degli studi di settore
costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui
gravità, precisione e concordanza non è “ex lege”
determinata dallo scostamento del reddito dichiarato
rispetto agli “standards” in sé considerati -meri
strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica
della normale redditività – ma nasce solo in esito al
contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la
nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale
sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione
di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che
giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei
soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o
la specifica realtà dell’attività economica nel periodo
di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di
accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello

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semplici e che, nella specie, non erano stati offerti

scostamento, ma va integrata con la dimostrazione
dell’applicabilità in concreto dello “standard”
prescelto e le ragioni per le quali sono state
disattese le contestazioni sollevate. L’esito del
contraddittorio, tuttavia, non condiziona

tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità
degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi
dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal
contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle
eccezioni sollevate nella fase del procedimento
amministrativo e dispone della più ampia facoltà,
incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non
abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede
amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le
conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare
l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli
“standards”, dando conto dell’impossibilità di
costituire il contraddittorio con il contribuente,
nonostante il rituale invito, ed il giudice può
valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta
all’invito (orientamento costante di questa Corte:
SS.UU, Sentenza n.26635/2009, e da recente
Cass.n.22599/2012; n.11633/2013).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata si muove

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l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice

correttamente lungo tale solco interpretativo avendo
dato

atto

che

l’accertamento

induttivo

operato

dall’Ufficio non risultava contrastato da altri
elementi acquisiti in atti, atteso che il contribuente,
pur invitato dall’Ufficio al contraddittorio, non aveva

Ne consegue l’infondatezza di tutte

le censure

attinenti a violazione di leggi avendo la Commissione
regionale lombarda fatta corretta applicazione sia
della normativa di riferimento, come da interpretazione
(sopra illustrata) di questa Corte, che delle norme
regolanti l’onere probatorio.
Anche i dedotti vizi motivazionali vanno, infatti,
disattesi siccome inammissibili.
essere carenti del necessario
(previsto dall’art.366 bis c.p.c.
temporis alla specie essendo

I mezzi oltre ad
momento di sintesi
applicabile ratione
stata

9.11.2006)

impugnata depositata il

la

sentenza

non riportano,

infatti, con difetto di autosufficienza, il contenuto
degli scritti difensivi con i quali sarebbero stati
allegati i documenti dedotti come non esaminati dal
Giudice di appello, né tanto meno il contenuto di tali
documenti ma, ancor prima, non specificano la
“decisività” dei fatti che, ove valutati, avrebbero
potuto comportare una diversa soluzione della

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ritenuto di aderire a tale richiesta.

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controversia (cfr.Cass. n.12990/09, id n.2805/11).
Da quanto esposto consegue, pertanto, il rigetto del
ricorso. In ossequio al principio di soccombenza il
ricorrente va condannato alla refusione in favore
dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali
come

in

dispositivo,

sulla

base

dei

parametri di cui al D.M. n.140/2012.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione in favore
dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che
liquida, alla luce dei parametri di cui al D.M.
n.140/2012, in complessivi euro 1.500, oltre spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
26.9.2013.

liquidate,

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