Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2673 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. II, 05/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/02/2020), n.2673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25227/2016 R.G. proposto da:

P.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Santucci

per procura in calce al ricorso, domiciliato presso la cancelleria

della Corte;

– ricorrente –

contro

D.P.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore Facciolo

per procura in calce al controricorso, domiciliato presso la

cancelleria della Corte;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 2221,

depositata il 6 giugno 2016.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Enrico Carbone nella camera

di consiglio del 3 dicembre 2019.

Fatto

ATTESO

CHE:

– La controversia riguarda la dazione di due assegni bancari per complessivi Euro 20.000,00 tratti da P.M. all’ordine di D.P.C., la causale dei quali il tradens individua in un mutuo e l’accipiens in un versamento di quota sociale (riferita a tal DDPC di D.P.R. & C. s.n.c.).

– Il Tribunale di Pavia ha respinto la domanda di restituzione ex mutuo avanzata dal P., il quale, soccombente anche in appello, ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi.

– Il primo motivo di ricorso (in atto, lett. “A”) denuncia violazione dell’art. 1813 c.c., artt. 36,166 e 167 c.p.c., per non aver il giudice d’appello rilevato l’inammissibilità della domanda o eccezione riconvenzionale di accertamento della causale societaria, tardivamente formulata dal D.P. nella costituzione di primo grado.

– Il primo motivo è infondato: qualora l’attore poggi la domanda su un contratto di mutuo, la difesa del convenuto il quale, pur ammettendo di aver ricevuto la somma, neghi tuttavia che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo non costituisce un’eccezione sostanziale, poichè negare l’esistenza del mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, bensì solo contestare il titolo dell’altrui domanda, e ciò quand’anche il convenuto indichi la differente ragione per la quale la somma gli sarebbe stata versata (Cass. 9 agosto 1996, n. 7343; Cass. 21 febbraio 2003, n. 2653; Cass. 13 marzo 2013, n. 6295; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24328; Cass. 29 novembre 2018, n. 30944).

– Affermato con particolare riguardo alla distribuzione dell’onere probatorio, questo principio, giacchè correlato alla struttura della deduzione, vale anche riguardo ai limiti dell’attività assertiva, definendo la fattispecie nei termini di una mera difesa, sottratta a decadenze.

Il secondo motivo di ricorso (in atto, lett. “B”) denuncia violazione degli artt. 1813,2697,2699 e 2700 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per non aver il giudice d’appello valutato quanto emerge dall’atto pubblico di costituzione della DDPC s.n.c., essere cioè il suo capitale pari ad Euro 4.000,00, e la quota del P. ad Euro 1.000,00, ben inferiore, quindi, alla somma da lui consegnata al D.P..

– Il secondo motivo è infondato: l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni rese dalle parti alla presenza del pubblico ufficiale, ma non anche della loro veridicità ed esattezza (Cass. 20 novembre 1996, n. 10219; Cass. 25 maggio 2006, n. 12386; Cass. 9 maggio 2013, n. 11012; Cass. 29 settembre 2017, n. 22903; Cass. 25 luglio 2019, n. 20214).

– Il giudice d’appello ha esattamente richiamato questo principio, riferendosi verosimilmente all’eventualità che i soci abbiano proceduto, in separata sede, alla corresponsione di un sovrapprezzo.

– Il terzo motivo di ricorso (in atto, lett. “C”) denuncia la natura apparente della motivazione spesa dal giudice d’appello nell’aderire alle valutazioni probatorie del primo giudice; il quarto motivo di ricorso (in atto, lett. “D”) denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., per non aver il giudice d’appello riconosciuto l’assolvimento dell’onere probatorio inerente la causale di mutuo.

Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili: apparente è la motivazione che, pur graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione (Cass., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977); la violazione dell’art. 2697 c.c. può configurarsi solo per l’errata distribuzione dell’onere della prova, non anche per il concreto apprezzamento dell’esito della prova (Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).

Il giudice d’appello ha reso qui una motivazione effettiva, basata sulla concreta valutazione delle prove testimoniali, e le doglianze si risolvono in un’inammissibile istanza di riedizione del giudizio di merito.

Il quinto motivo di ricorso (in atto, lett. “E”) denuncia omissione di pronuncia sulla domanda di ripetizione d’indebito, sin dal primo grado formulata dal P. in subordine alla domanda da mutuo.

Il quinto motivo è infondato: non sussiste il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 4 giugno 2019, n. 15255); nella ripetizione d’indebito valgono i principi dell’onere, sicchè l’attore deve provare, oltre alla dazione, l’assenza di una causa giustificativa, se del caso tramite fatti contrari o presunzioni (Cass. 22 giugno 1983, n. 4276; Cass. 13 novembre 2003, n. 17146; Cass. 27 novembre 2018, n. 30713).

Respingendo il gravame sulla domanda di restituzione del mutuo in ragione della difesa del convenuto circa l’esistenza di una causa alternativa della dazione (la causa societaria), il giudice d’appello ha implicitamente respinto anche il gravame sulla domanda di ripetizione dell’indebito, non potendosi concludere che l’appellante abbia assolto l’onere di provare l’assenza di una qualunque causa retinendi.

Il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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