Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26729 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, (ud. 08/06/2018, dep. 23/10/2018), n.26729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23478-2016 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASTEUR 5,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MARESCA che la rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARMINE MIELE giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’improcedibilità in subordine

il rigetto;

udito l’Avvocato ANDREA MARESCA;

udito l’Avvocato CARMINE MIELE.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato il 12 ottobre 2016 per via telematica M.F. impugna la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila, depositata in data 19/1/2006, e notificata a seguito di correzione di errore materiale in data 14 luglio 2016. L’intimato F.F. resiste con controricorso notificato il 12/11/2016 per via telematica.

2. La vicenda giudiziaria trae origine da una caduta dal letto del padre della ricorrente, poi deceduto in seguito alla frattura del femore, avvenuta la mattina del (OMISSIS) circa, allorchè egli si trovava ricoverato presso la struttura psichiatrica della Asl di Teramo per accertamenti diagnostici e terapeutici correlati al deterioramento senile determinante ipercinesi motoria. La ricorrente assume che le ripetute evidenze di stati confusionali, di instabilità motoria e di disorientamento, sia come manifestazione della patologia di demenza, sia come conseguenza degli effetti collaterali della somministrazione di psicofarmaci e neurolettici che avevano condotto il paziente a una sedazione completa per ben otto volte prima dell’infortunio, e a una pregressa caduta mentre si recava in bagno, erano tutte evidenze che avrebbero dovuto indurre i medici del reparto a predisporre strumenti di contenzione meccanica nelle ore di riposo notturno, come misura complementare atta a completare le misure di protezione e di contenimento “farmacologico” che erano già in essere.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi. Il Pubblico Ministero ha concluso come in atti.

Diritto

RAGIONI E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La prima questione attiene alla erronea applicazione della norma processuale, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., in ragione della quale è stata pronunciata l’inammissibilità dell’appello nei confronti del litisconsorte facoltativo, qui intimato, chiamato in giudizio a rispondere in solidarietà con l’ente ospedaliero convenuto per l’incidente occorso al padre della ricorrente, poi deceduto. La ricorrente, sul punto, deduce che l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti trova applicazione soltanto nelle ipotesi di cause inscindibili (o tra loro comunque dipendenti), ovvero in quella in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si tratti di cause scindibili o, comunque, tra loro indipendenti, per le quali, è esclusa la necessità del litisconsorzio. In tali ipotesi, il termine per l’impugnazione non è unico, ma decorre dalla data delle singole notificazioni della sentenza a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza, mentre per le altre parti si applica la norma dell’impugnabilità nel termine di cui all’art. 327 c.p.c..

1.1. In merito si osserva che il ricorso, innanzitutto, pone un problema di esegesi della sentenza impugnata.

1.2. La Corte d’appello, da un lato, ha dichiarato inammissibile l’appello sul presupposto che l’impugnazione dell’appellante, qui ricorrente, fosse tardiva e inammissibile con riguardo alla data di notifica della sentenza di primo grado, effettuata dalla ASL, essendo decorso il termine breve per l’impugnazione; dall’altro, per quanto riguarda l’impugnazione della statuizione di rigetto della domanda nei confronti del medico, ha rigettato nel merito l’appello perchè in ogni caso non vi era prova di pregresse evidenze sulla necessità di adottare speciali misure di prevenzione e di contenimento nei confronti del paziente.

1.3. La sentenza impugnata, pertanto, non fa comprendere chiaramente se la ratio decidendi in ordine alla tardività dell’appello è stata enunciata solo con riguardo all’appello contro l’Azienda sanitaria oppure – erroneamente – anche nei riguardi del medico.

1.4. Difatti se si ritenesse valido l’assunto che l’inammissibilità sia stata erroneamente pronunciata nei confronti del litisconsorte facoltativo, il motivo sarebbe fondato, in quanto in tale caso vi sarebbe stata violazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., essendo le posizioni tra le due parti chiamate a rispondere in solido del fatto illecito tra loro scindibili (vedi cass. Sez. 3, Sentenza n. 239 del 10/01/2008; Cass. sez. 3, numero 2557-2010; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8413 del 10/04/2014). L’accoglimento di detto motivo, pertanto, esaurirebbe il dovere decisorio di questa Corte perchè, alla stregua della Sent. Cass., Sez. Un. n. 3840 del 2007, la ratio decidendi enunciata nel merito non sarebbe impugnabile se il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, posto che la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare detta statuizione, rendendosi conseguentemente ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale e, viceversa, inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata.

1.5. Purtuttavia, nel confronto delle due rationes decidendi rese dalla Corte di merito, prevale la considerazione che l’impugnazione nei confronti del medico sia stata ritenuta ammissibile e, dunque, scindibile la posizione processuale del litisconsorte facoltativo.

Pertanto, il motivo, attinente alla (in tesi) errata dichiarazione di inammissibilità dell’appello svolto nei confronti del medico qui resistente, è inammissibile, dovendosi ritenere che la Corte abbia inteso pronunciarsi funditus nel merito della questione attinente alla responsabilità del medico.

2. Nel secondo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Per essere il motivo dedotto in coerenza con la nuova formulazione della norma processuale che ammette il sindacato di legittimità su fatti, oggetto di discussione, la cui rilevanza e decisività non è stata considerata dal giudice, il “fatto omesso” avrebbe dovuto essere specificamente allegato, dovendosi la norma coordinare con l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che impongono il requisito di autosufficienza del ricorso in sede di legittimità, in modo da potere individuare come e quando tale fatto sia stato allegato e oggetto di discussione processuale tra le parti, sì da permettere alla Corte di verificare se la circostanza omessa, nonostante sia stata oggetto di discussione tra le parti, era realmente decisiva ai fini della pronuncia (v. Cass. S.U. n.8053/2014).

2.3. Nel motivo, invece, si censurano le valutazioni sugli esiti della CTU, condivise dal giudice, mettendo in risalto le contraddizioni riguardo alla “lettura” dei fatti, considerati dal giudice di secondo grado, per offrirne una interpretazione diversa sotto il profilo medico sanitario, sull’assunto che i farmaci dati al paziente avrebbero (in tesi) avuto una notevole ripercussione sullo stato confusionale e sulla capacità motoria del paziente, deceduto in seguito a una caduta notturna. Il che rende evidente che la censura tende a indurre la Corte di legittimità a una rivalutazione di fatti e circostanze già valutati dal giudice e non a porre in rilievo un vizio processuale nei termini anzidetti.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non dedotti gli argomenti che consentano una concreta determinazione della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento, sebbene nell’atto di appello fosse stato espressamente indicato un danno pari a Euro 21.818,51, quantificandolo in base a un danno biologico valutato nella misura del 15%, oltre al danno morale e a un invalidità temporanea assoluta di 40 giorni.

3.1. Il motivo è assorbito da quanto sopra osservato in ordine all’inammissibilità del secondo motivo riguardante il rigetto della domanda di affermazione della responsabilità del medico.

4. Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e, sussistendone giusti motivi, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (nella versione valevole per i giudizi instaurati prima del 2009), compensa le spese tra le parti sussistendone giusti motivi, avendo la sentenza impugnata ingenerato un dubbio sulla sua effettiva ratio decidendi e, quindi, provocato un ricorso per cassazione per un motivo che, per altro verso, sarebbe stato in ipotesi fondato.

P.Q.M.

1. Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese tra le parti;

2. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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