Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26729 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. III, 13/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 13/12/2011), n.26729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7624/2007 proposto da:

I.C. (OMISSIS), S.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso lo

studio dell’avvocato VITALE ELIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TENTINDO FRANCESCO giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

B.L. (OMISSIS), C.D.

(OMISSIS), B.G. (OMISSIS), B.

G. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MIGLIOLI ALESSANDRO

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 59/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 28/01/2006 R.G.N. 320/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato ELIO VITALE;

udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

POLICASTRO Aldo che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. I.C. e S.L. propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con memoria, avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 28 gennaio 2006, che confermava quella di primo grado del Giudice di Pace di Montagnana, la quale, a sua volta, aveva respinto la domanda di annullamento del contratto, concluso tra Sa.An. e gli odierni resistenti, di compravendita dell’immobile dagli stessi occupato, per incapacità naturale della venditrice. Secondo la Corte territoriale, dalle risultanze istruttorie non era emersa una dimostrazione sufficiente sia della incapacità naturale della venditrice, sia della malafede degli altri contraenti. Sul primo elemento, la CTU non aveva evidenziato la prova certa di un perturbamento psichico della Sa. tale da impedirle o da ostacolarne la capacità di cosciente e libera autodeterminazione; il consulente si era espresso in termini solo probabilistici ed aveva basato le sue conclusioni esclusivamente su due certificati medici redatti a distanza di anni dalla stipula dell’atto; a fronte delle perplessità espresse dal tecnico d’ufficio vi erano le deposizioni dei testi indotti dagli acquirenti, fra i quali il notaio rogante, che avevano tutti confermato che la Sa., all’epoca in cui fu stipulato il rogito, era lucida e consapevole. Quanto al secondo elemento, la sola presenza dell’indicazione di un prezzo particolarmente vantaggioso per gli acquirenti, in difetto di altri elementi indiziari gravi precisi e concordanti non appariva sufficientemente rappresentativo nel far ritenere accertata la malafede degli acquirenti, essendo intuitivamente assai varie le ragioni che possono indurre un soggetto a stipulare un contratto patrimonialmente pregiudizievole in termini oggettivi. Gli intimati resistono con controricorso in cui chiedono dichiararsi inammissibile o, comunque, respingersi il ricorso.

2.1 ricorrenti deducono:

2.1. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 428, 2697 e 2729 c.c., perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente preteso che dovesse essere fornita una prova certa dell’incapacità naturale del soggetto; mentre sarebbe sufficiente un giudizio di seria probabilità, come nella specie espresso dal consulente d’ufficio;

nonchè OMESSA MOTIVAZIONE in ordine a tale aspetto sollevato dai ricorrenti come motivo di gravame nell’atto di appello;

2.2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2729 c.c., perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non raggiunta la prova della malafede degli altri contraenti (acquirenti) pur in presenza di un unico elemento presuntivo, ma fornito di gravità tale da essere induttivo dell’esistenza di un unico possibile fatto quale diretta ed immediata conseguenza di esso, nonchè OMESSA MOTIVAZIONE in ordine a tale aspetto sollevato dai ricorrenti come motivo di gravame nell’atto di appello.

3. Il ricorso è infondato, rivelandosi prive di pregio tutte le censure, che vanno trattate congiuntamente riferendosi, in tutti i profili dedotti, alla prova della sussistenza dei requisiti dell’annullamento del contratto a norma dell’art. 428 c.p.c., comma 2.

3.1. Al riguardo, questa Corte ha costantemente affermato che: a) la prova dell’incapacità “naturale”, sebbene possa essere data con ogni mezzo, deve comunque essere rigorosa e precisa (Cass. 3724/85;

2085/95; 6999/00; 4539/02; 4677/09); b) l’indagine circa l’esistenza dell’incapacità di intendere e di volere del soggetto nel momento in cui ha posto in essere l’atto del quale è chiesto l’annullamento a norma dell’art. 428 c.c. costituisce un apprezzamento di fatto sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici o da errori di diritto (Cass. n. 17915/03; 4539/02; 10505(97; 6756/95); c) si risolve sempre in una indagine di fatto, che rientra nei poteri del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove sia sorretta da motivazione adeguata e logicamente corretta, l’accertamento circa la sussistenza della malafede dell’altro contraente (Cass. n. 21050 e 2210 del 2004); d) per l’annullamento di un contratto a causa di incapacità di uno dei contraenti, il presupposto necessario è costituito dalla malafede dell’altro, che può risultare o dal pregiudizio che il contratto abbia, anche solo potenzialmente, potuto arrecare all’incapace o dalla natura e qualità del contratto; e) il grave pregiudizio, a differenza della ipotesi di cui all’art. 428 c.c., comma 1 non è richiesto per l’annullamento dei contratti, ma costituisce solo uno degli indizi rivelatori del(l’unico) requisito essenziale costituito dalla malafede dell’altro contraente e che consiste nella consapevolezza – o, addirittura, delle conoscenza – che questi abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva dell’altro (Cass. 4677/09; 19659/04; 7403/2003; 9007/98;

8783/87).

3.2. Ciò premesso, non si rileva nel caso di specie alcuna violazione di legge, essendo i giudici d’appello pervenuti alla conclusione – con valutazione come si è detto insindacabile in questa sede – che non ricorrevano le condizioni per l’annullamento della scrittura in questione. Peraltro, dallo stesso svolgimento dei motivi risulta evidente che, sotto la rubrica delle violazioni di legge, si censura inammissibilmente il convincimento espresso dai giudici di merito (Cass. n. 12372/06) circa l’insussistenza dell’incapacità d’intendere e di volere della Sa. e della malafede degli acquirenti.

3.3. Invero, la sentenza impugnata, quanto al primo elemento, ha proceduto all’esame della consulenza tecnica d’ufficio, pervenendo alla conclusione che da questa non si evinceva con certezza che la Sa. fosse incapace d’intendere e di volere al momento della sottoscrizione della scrittura, non solo perchè il giudizio medico – legale era espresso in termini di probabilità, ma anche perchè si basava su una documentazione scarna ed incompleta, concernente indagini eseguite oltre un anno dopo la formazione della scrittura e neppure su un colloquio diretto con la perizianda. Ha inoltre considerato la deposizione del medico curante della Sa., che non ha saputo attribuire una ben definita collocazione cronologica, dato il tempo trascorso, agli episodi di assenza e di difficoltà di comprensione da lui riscontrati nella paziente, nonchè i testi, tra cui il notaio rogante, che hanno escluso l’esistenza di apparente pregiudizio della facoltà di discernimento della venditrice, pervenendo alla conclusione che una menomazione, anche solo transitoria, delle facoltà intellettive e volitive del soggetto al momento di sottoscrizione della scrittura non era affatto provata.

3.4. Quanto al secondo elemento, come si è visto, anche l’accertamento dell’esistenza della malafede del contraente con il soggetto ritenuto incapace, costituendo accertamento fattuale, rientra negli esclusivi compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se immune da censure sulla motivazione, rilevabili in sede di sindacato di legittimità. La Corte di merito ha puntualmente valutato gli elementi agli atti ed ha osservato che, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, la sola presenza dell’indicazione di un prezzo particolarmente vantaggioso per gli acquirenti, in difetto di altri elementi indiziari gravi precisi e concordanti non appariva sufficientemente rappresentativo nel far ritenere accertata la malafede degli acquirenti; ha messo in rilievo l’assenza di riscontri probatori in ordine ad un eventuale rapporto interpersonale tra i contraenti che avrebbe consentito, in ipotesi, di meglio conoscere la personalità dell’alienante; ha rilevato che la carenza di prova in ordine alla sussistenza della capacità d’intendere e di volere della Sa.

appariva comprometterne un’ipotetica possibilità di percezione anche con riferimento all’intento della controparte di giovarsene; ha, quindi, osservato che il notaio rogante aveva, invece, dichiarato che non aveva alcun dubbio sulla consapevolezza della Sa.

dell’atto al quale partecipava e del prezzo che aveva convenuto, dato che, proprio perchè anziana, si era assicurato della sua lucidità, come praticato anche pochi giorni prima in sede di atto preliminare.

3.5. Ne deriva che si rivela inammissibile il secondo motivo, perchè non tiene adeguatamente conto (ed anzi ne prescinde) della ratio decidendi adottata sul punto dal giudice di appello. Questi, diversamente da quanto opina il ricorrente, non ha pretermesso la valutazione dell’elemento indiziario nascente dal prezzo indicato nell’atto (pregiudizio per il cedente che, per quanto innanzi esposto non significa automaticamente malafede dell’altro contraente), nè ha ritenuto insufficiente l’elemento presuntivo in questione in quanto unico, ma solo perchè intrinsecamente ritenuto nè grave, nè preciso, in quanto non corroborato da altri elementi rilevabili dagli atti.

3.6. Al riguardo – ed anche con riferimento al vizio motivazionale dedotto nella seconda parte del primo motivo – va ribadito che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella vantazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 12121/04; 1374/02;

13342/99; 9384/95). Ne consegue che la valutazione della sentenza impugnata circa la mancanza di malafede da parte degli acquirenti risulta immune da censure in questa sede di sindacato di legittimità.

3.7. Da quanto esposto e considerato il contenuto dei motivi di ricorso, emerge chiaro che i ricorrenti non portano all’attenzione di questa Corte una carenza di effettiva logica nella motivazione della sentenza impugnata o di contraddittorietà all’interno della stessa, ma contesta direttamente le valutazioni espresse dalla Corte di merito in ordine alla ritenuta insussistenza dell’incapacità d’intendere e di volere dell’una e della malafede degli altri contraenti. La sentenza impugnata appare comunque adeguatamente e logicamente motivata e non si rileva la pretermissione di elementi decisivi.

4. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore dei resistenti in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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