Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26727 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26727 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 12245-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
2221

LIBRERIA EDISON SRL;
– intimato –

sul ricorso 15215-2008 proposto da:
LIBRERIA

EDISON

SRL

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Data pubblicazione: 29/11/2013

t

in ROMA VIALE PARIOLI

43,

presso lo studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato UKMAR
VICTOR giusta delega a margine;
– controri corrente e ricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato avverso la sentenza n. 5/2007 della COMM.TRIB.REG. di
FIRENZE, depositata il 10/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto
incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA
che si riporta alla memoria;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, rigetto ricorso
incidentale.

contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
LA Libreria Edison srl proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Firenze avverso l’avviso con il
quale l’Agenzia delle Entrate di Firenze, avendo constatato che la detta società era incorsa in
violazioni di natura sostanziale della normativa in materia contributiva (omessa
contribuzione obbligatoria) per le quali l’art. 7, comma 7, della L. 388/2000 prevedeva la
perdita del beneficio (previsto dallo stesso art. 7) del credito di imposta per incremento

dalla società per gli anni 2001-2002-2003.
A sostegno del ricorso la società deduceva che l’azione accertatrice dell’Ufficio doveva
ritenersi preclusa per gli anni 2001 e 2002 dall’adesione del contribuente alle disposizioni di
cui all’art. 9 della L. 289/2002 (c.d. condono tombale) e, nel merito, che non poteva procedersi
alla revoca dell’agevolazione, non sussistendo il richiesto presupposto dell’emanazione, nei
confronti della società, di provvedimenti definitivi della magistratura per condotta
antisindacale.
L’adita CTP rigettava il ricorso.
Con sentenza depositata il 10-3-2007 la CTR Toscana, in parziale riforma dell’impugnata
sentenza, annullava l’accertamento limitatamente agli anni 2001 e 2002; in particolare la CTR
rilevava:
che l’art. 7, comma 7, L. 388/2000, prevedeva come condizione per procedere al recupero
delle somme in questione l’avvenuta violazione non formale della normativa fiscale e
contributiva, senza che fosse necessario anche l’avvenuta violazione del comportamento
antisindacale accertata dalla magistratura; ciò, in base alla ratio della detta disposizione, non
avendo invero alcun senso logico cumulare due violazioni appartenenti a sfere assolutamente
distinte, sicchè la congiunzione “e” doveva intendersi nel senso di “ovvero”;
che la definizione automatica ex art. 9 L. 289/2002 (c.d. condono tombale) aveva reso
definitiva la liquidazione delle imposte risultante dalla dichiarazione, anche con riferimento
alla spettanza di deduzioni ed agevolazioni, sicchè era da ritenersi precluso ogni accertamento
tributario, e quindi anche l’avviso di recupero in questione.

occupazionale, aveva proceduto al recupero del detto credito, utilizzato in compensazione

g

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato ad un motivo;
resisteva con controricorso la società, che proponeva anche ricorso incidentale, affidato ad un
motivo, e depositava ulteriore memoria ex art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia, deducendo -ex art. 360 n. 3 cpc- violazione

9,10 e 13 della L. 289/2002, sosteneva che l’Agenzia, anche in presenza di condono tombale,
aveva ancora il potere di verificare la sussistenza dei presupposti per la fruizione del credito
di imposta in questione.
Il motivo è fondato, nei limiti di seguito riportati.
Per ormai consolidato e condiviso principio di questa Corte, invero, “la disciplina del condono
tributario persegue il fine di definire le controversie pendenti e di prevenire eventuali future
vertenze a condizioni di particolare favore per il contribuente in relazione ai tributi non
ancora pagati”, sicchè “del tutto estranea alla “ratio” di detta disciplina è la (pretesa)
consolidazione di crediti d’imposta dichiarati dal contribuente, ma non sottoposti al vaglio
dell’Amministrazione finanziaria, che diventerebbero incontestabili, ancorché in tutto o in
parte insussistenti, per il solo fatto che il contribuente abbia ritenuto di usufruire del più
favorevole trattamento, presentando la prescritta dichiarazione integrativa, pagando gli
importi dovuti in base alle disposizioni della legge di condono e così definendo il rapporto per
il periodo d’imposta cui la dichiarazione stessa si riferisce”; e ciò, come affermato anche da
Corte Costituzionale nell’ordinanza 340/2005, “data la natura del condono, che incide sui
debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti” (Cass. 11571/2006; Cass. sez. unite
14828/2008; 375/2009; 18942/2010; 6232/2013); sulla base di tali principi, dunque, deve
ritenersi “che il credito esposto dalla contribuente nelle dichiarazioni oggetto di rettifica e
quindi di condono non sia divenuto incontestabile in esito alla definizione agevolata della
pretesa erariale, che copre unicamente la posizione debitoria del contribuente mentre lascia
impregiudicata e quindi contestabile dal fisco quella creditoria”.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società, deducendo -ex art. 360 n. 3 cpc- la
violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 7, L. 388/2000, rilevava che dal dato testuale
della detta disposizione era facilmente desumibile che l’emanazione di “provvedim

dell’art. 7, comma 4, L. 388/2000, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 9, commi

definitivi della magistratura per condotta antisindacale” si poneva quale condizione
necessaria per procedere alla revoca dell’incentivo.

Il motivo è infondato.

Ai sensi dell’art. 7, comma 7, L. 388/2000 “qualora vengano definitivamente accertate

lire 5 milioni, alla normativa fiscale e contributiva in materia di lavoro dipendente, ovvero
violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, prevista dai decreti
legislativi 19 settembre 1994, n. 626, e 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive
modificazioni, nonchè dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie
in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, commesse nel periodo in cui si applicano le
disposizioni del presente articolo e qualora siano emanati provvedimenti definitivi della
magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale ai sensi dell’articolo 28
della legge 20 maggio 1970, n. 300, le agevolazioni sono revocate”.
Alla stregua del tenore letterale di siffatto articolo appare evidente che le agevolazioni sono
revocate in tre ipotesi: quando sono accertate violazioni non formali alla normativa fiscale e
contributiva in materia di lavoro dipendente (caso in questione); quando sono accertate
violazioni sulla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori; quando sono emanati
provvedimenti definitivi della magistratura per condotta antisindacale.
Né in senso contrario (e, cioè, come sostenuto dalla società, nel senso che per la revoca sono
necessari sempre e comunque i detti provvedimenti definitivi insieme ad una delle altre
violazioni di cui sopra) può argomentarsi dalla sola utilizzazione del termine “ovvero” nella
prima parte, e dalla congiunzione “e” nella seconda; ed invero, l’uso del diverso termine è
agevolmente giustificabile dall’esigenza del legislatore, da una parte, di collegare tra loro le
prime due ipotesi, entrambe relative a violazioni alla normativa (fiscale e contributiva e sulla
salute e sicurezza dei lavoratori) commesse nel periodo di applicazione della disposizione in
esame, e, dall’altra, di tenere distinta l’altra ipotesi di revoca (concernente l’intervenuta
emanazione di provvedimenti definitivi della magistratura per condotta antisindacale); al
riguardo va anche rilevato che, come osservato dalla CTR, non ha alcun senso logico cumulare
due violazioni appartenenti a sfere assolutamente distinte, e che, in particolare,
l’interpretazione sostenuta dalla società non dà ragione del motivo per il quale sarebbe stata
data maggiore importanza e centralità all’intervento di provvedimenti definitivi

violazioni non formali, e per le quali sono state irrogate sanzioni di importo superiore a

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magistratura in campo sindacale (comunque necessario per potere procedere alla revoca)
rispetto alle su indicate violazioni della normativa fiscale e contributiva e sulla salute e
sicurezza dei lavoratori.
In conclusione, pertanto, va accolto il ricorso principale proposto dall’Agenzia e rigettato
quello incidentale proposto dalla società; per l’effetto, va cassata l’impugnata sentenza e,
decidendo nel merito ex art. 384 cpc non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va

In considerazione del consolidarsi dei su esposti principi giurisprudenziali solo in epoca
successiva alla proposizione del ricorso, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare
compensate tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.
P. Q. M.
accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale; cassa l’impugnata sentenza e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proposto dalla società; dichiara compensate
tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma in data 26-6-2013 nella camera di Consiglio della sez. tributaria della

rigettato il ricorso originario proposto dalla società.

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