Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26726 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, (ud. 08/06/2018, dep. 23/10/2018), n.26726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4212/2016 proposto da:

CANTINA SOCIALE DI NOMI SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA, in persona del

Presidente del C.d.A., legale rappresentante pro tempore,

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24,

presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MONICA DOSSI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R.;

– intimato –

Nonchè da:

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA MARIA CINQUEMANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSIO PEZCOLLER

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

CANTINA SOCIALE DI NOMI SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA, in persona del

Presidente del C.d.A., legale rappresentante pro tempore,

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24,

presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MONICA DOSSI giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 229/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del 10 motivo,

assorbiti gli altri del ricorso principale;

assorbito il ricorso incidentale;

udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI;

udito l’Avvocato ALESSIO PEZCOLLER.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 12 dicembre 2013 al Tribunale di Rovereto Cantina Sociale di Nomi Società cooperativa agricola chiedeva la condanna di D.R. a risarcirle danni nella misura di Euro 9465 per inadempimento dell’obbligo di conferirle l’uva da lui coltivata in fondi di proprietà della suddetta per l’annata 2012, in particolare non avendo egli rispettato l’accordo del 12 ottobre 2009 transattivo di una controversia fra loro insorta. Controparte si costituiva resistendo.

Con ordinanza del 10 giugno 2014 il Tribunale rigettava, ritenendo nullo l’accordo per mancata determinazione del corrispettivo da corrispondere al D. per la fornitura di uva.

Avendo Cantina Sociale di Nomi proposto appello, cui controparte resisteva, la Corte d’appello di Trento, con sentenza del 9 luglio 2015, rigettava il gravame con diversa motivazione, negando che vi fosse stato accordo nullo, essendo determinabile il prezzo dell’uva, ma affermando che non era risultato inadempiente il D. rispetto all’obbligo così come modificato da un successivo accordo tra l’appellante (di cui egli era ex socio) e la Cantina di Aldeno (di cui era attualmente socio) stipulato il 30 agosto 2011, ovvero di conferire l’uva a quest’ultima Cantina che, come era avvenuto per le annate del 2010 e del 2011, l’avrebbe poi consegnata all’appellante.

2. Ha presentato ricorso Cantina Sociale di Nomi sulla base di quattro motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1231,1235 e 1272 c.c., quanto alla novazione soggettiva dell’obbligazione.

La corte territoriale avrebbe ritenuto che l’accordo del 30 agosto 2011 tra le due Cantine si sarebbe sovrapposto a quello tra l’attuale ricorrente e il D., e avrebbe “modificato i termini della questione”; successivamente però la corte si sarebbe contraddetta affermando che l’accordo del 30 agosto 2011 avrebbe fissato le modalità attuative dell’accordo del 12 ottobre 2009, e poi ancora affermando che per l’accordo del 30 agosto 2011 la Cantina di Aldeno sarebbe stata tenuta a cedere all’attuale ricorrente l’uva conferita dal D., la cui obbligazione stabilita dall’accordo del 2009 “deve ritenersi superata, o meglio, specificata, nel contenuto, con l’accordo tra le due Cantine”. Questo ragionamento sarebbe incoerente ed illogico: o vi sarebbe sostituzione o vi sarebbe solo determinazione di modalità attuative. Rigettando sulla base di questo la domanda dell’attuale ricorrente, il giudice d’appello “dimostra di ritenere che si sia verificata una novazione soggettiva” e quindi altresì di ritenere estraneo il D. al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio; diverrebbe allora necessario discutere l'”effettiva titolarità passiva del rapporto controverso”, cioè se è il D. il “soggetto alla prestazione richiesta dall’attore”. Tale difetto di titolarità passiva riguarderebbe il merito, per cui graverebbe l’onere probatorio su chi lo eccepisce; esso sarebbe stato sollevato in primo grado dal D. e il giudice d’appello l’avrebbe ritenuto provato mediante l’accordo del 30 agosto 2011, che, falsamente applicando gli artt. 1235 e 1272 c.c., avrebbe ritenuto una novazione soggettiva, per sostituzione del debitore e quindi liberazione del debitore originario, il D.. Avrebbe violato il giudice d’appello – pur esprimendosi con una motivazione contraddittoria – l’art. 1231 c.c. non ritenendo l’accordo del 30 agosto 2011 un documento che disciplina soltanto modalità non comportanti la novazione, ovvero soltanto modificazione accessoria dell’obbligazione. E la corte territoriale, inoltre, non terrebbe conto che, anche se si trattasse di novazione soggettiva, essendo la fattispecie sussumibile nell’art. 1231 c.c., il D. non sarebbe stato “liberato”, non avendo il creditore espressamente dichiarato di liberarlo, per cui sarebbe rimasto obbligato in solido.

2.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in ordine all’errata valutazione dell’onere probatorio di chi eccepisce.

Il giudice d’appello avrebbe ritenuto che per l’accordo del 30 agosto 2011 era divenuta obbligata la Cantina di Aldeno, per cui la Cantina di Nomi non avrebbe potuto dolersi della mancata consegna nei confronti del D., non essendo stato nè dedotto nè dimostrato che egli fosse stato inadempiente all’obbligazione di conferire l’uva alla Cantina di Aldeno, come previsto dall’accordo del 2011.

In tal modo il giudice d’appello avrebbe violato l’art. 2697 c.c., comma 2: agendo ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., l’attuale ricorrente avrebbe allegato e parzialmente provato i propri fatti costitutivi, per cui sarebbe spettato al D. provare i fatti fondanti la sua eccezione, ovvero che egli aveva conferito l’uva del 2010, del 2011 e del 2012 alla Cantina di Aldeno e chiesto a quest’ultima di cedere l’uva all’attuale ricorrente in adempimento dell’accordo del 2009: prova che non avrebbe fornito. La corte territoriale avrebbe invertito l’onere probatorio, gravando la Cantina di Nomi dell’onere di dimostrare che il D. aveva inadempiuto all’obbligo di conferire il prodotto alla Cantina di Aldeno, senza tener conto che, avendo il D. eccepito il difetto di titolarità passiva del rapporto controverso, egli avrebbe dovuto dimostrare i fatti che lo fondavano: l’aver conferito tutta l’uva alla Cantina di Aldeno.

2.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1368 c.c., in ordine all’interpretazione del contratto: e ciò perchè il giudice d’appello avrebbe ritenuto una novazione soggettiva l’accordo del 30 agosto 2011, che invece sarebbe stato da interpretare come determinante “modalità che non importano novazione” ai sensi dell’art. 1231 c.c., mantenendo la fonte dell’obbligazione, ovvero il contratto transattivo stipulato tra le parti dell’attuale cause in data 12 ottobre 2009.

Inoltre il giudice d’appello non avrebbe tenuto in conto il comportamento complessivo delle parti anche posteriore all’accordo del 2009; e non avrebbe interpretato le clausole dell’accordo transattivo le une mediante le altre – argomento questo che viene concretizzato nel confronto tra due clausole di impegno del D. -.

Infine il giudice d’appello non avrebbe interpretato gli accordi del 2009 e del 2011 secondo ciò che generalmente si pratica nell’ambiente in cui furono conclusi; vengono poi sviluppati argomenti attinenti a dati documentali.

2.4 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo, cioè l’art. 2, 3^ punto, dell’accordo del 2009, che dimostrerebbe che il D. sarebbe rimasto soggetto passivo obbligato.

3. Si difende il D. con controricorso, in cui propone anche ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo, da cui la ricorrente principale si difende con controricorso.

L’unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dal D. lamenta che il giudice d’appello ha ritenuto non sussistente la nullità dell’accordo del 2009 per indeterminatezza dell’oggetto, errando, in quanto vi sarebbe stata nullità totale dell’accordo per assoluta indeterminatezza dell’oggetto stesso ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2; si censurano pertanto gli argomenti interpretativi del giudice d’appello, affermando che la transazione poi riguarderebbe soltanto diritti effettivamente disponibili dalle parti. In subordine si prospetta nullità parziale dell’accordo del 2009 ai sensi dell’art. 1419 c.c.: il giudice d’appello avrebbe errato nel non ritenere sussistente neanche la nullità parziale; e infine ancora si argomenta sul contenuto dell’accordo.

Il D. ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il ricorso principale è inammissibile.

4.1 In ordine al primo motivo occorre, in via preliminare, rilevare una evidente carenza di autosufficienza, in quanto non risulta riprodotto, nè direttamente nè indirettamente con indicazione della parte oggetto dell’indiretta riproduzione, il contenuto dell’accordo che la corte territoriale avrebbe inteso come novazione soggettiva. Il che è sufficiente per dichiarare l’inammissibilità del motivo a causa di inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Per di più, ictu oculi il motivo non evidenzia per quale ragione le affermazioni della corte territoriale che vengono considerate esprimerebbero il suo convincimento nel senso che tale accordo avrebbe avuto valore novativo rispetto all’accordo precedente, per cui non viene dimostrato come e perchè sussisterebbe una motivazione assertiva e anche contraddittoria in tal senso. Quindi è il motivo stesso ad essere assertivo, laddove individua nella motivazione della sentenza d’appello, in modo appunto apodittico, un’erronea applicazione delle norme evocate in rubrica. Non solo, infatti, non evidenzia alcuna espressa affermazione della corte territoriale nel senso della natura novativa dell’accordo, ma neppure estrae dalla motivazione della sentenza impugnata alcunchè che possa suonare come implicita affermazione della relativa qualificazione. E dunque il motivo è per ciò solo ulteriormente inammissibile.

4.2 Anche nel secondo motivo l’asserita violazione dell’art. 2697 c.c., viene incardinata su pretese risultanze documentali rispetto alle quali non sussiste autosufficienza bensì violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, incorrendo così, a tacer d’altro, in una evidente inammissibilità.

4.3 Meramente ad abundantiam, a questo punto, si intende peraltro rilevare la manifesta infondatezza che i primi due motivi comunque patirebbero se non si fossero attestati sul prioritario livello della inammissibilità.

Come si è visto, le due doglianze riguardano l’interpretazione della corte territoriale dell’accordo tra le due Cantine, attribuendo alla corte territoriale il riconoscimento nell’accordo del 2011 di una novazione soggettiva dell’anteriore accordo stipulato nel 2009 tra l’attuale ricorrente e il controricorrente; e quest’ultimo, poi, eccependo di non essere più, per tale novazione, il titolare passivo del rapporto per tale novazione, avrebbe dovuto provare i fatti fondanti la sua eccezione: fatti indicati, peraltro, non come concernenti specificamente la novazione e la liberazione dell’originario debitore ex art. 1268 c.c., come avrebbe pertanto dovuto essere, bensì, per come vengono addotti dal secondo motivo, indicati quale dimostrazione dell’adempimento dell’accordo del 2009).

Il giudice d’appello in effetti ha dato atto, illustrando lo svolgimento del processo (si veda la pagina 16 della motivazione della sentenza) che l’appellante Cantina di Nomi aveva contestato la dichiarazione di nullità dell’accordo del 2009 effettuata dal primo giudice, qualificando invece tale accordo come transazione novativa per cui il D. sarebbe stato “direttamente” obbligato essendovi stato l’assenso della Cantina di Aldeno al conferimento dell’uva alla Cantina di Nomi; e il D. in primo grado aveva eccepito difetto di legittimazione passiva per estraneità all’accordo del 2011, e addotto che l’accordo del 2011 “aveva stabilito le modalità di attuazione dell’assenso” per cui la sua obbligazione si era limitata al conferimento dell’uva alla Cantina di Aldeno, la quale “si era autonomamente impegnata” a conferirla all’altra Cantina (motivazione, pag. 15); il D. negava poi in grado di appello la responsabilità per i danni derivanti dall’inadempimento della Cantina di Aldeno all’accordo del 2011.

La corte territoriale interpreta allora la vicenda escludendo che l’accordo del 2009 fosse nullo, perchè il suo oggetto era in realtà determinabile, ciò deducendo anche dal “comportamento delle parti nell’esecuzione dell’accordo”: id est che l’attuale ricorrente aveva pagato le fatture emesse dall’altra Cantina per la cessione dell’uva secondo l’accordo del 2011, e a sua volta l’altra Cantina aveva pagato il D.. Esclude poi la corte territoriale pure la fondatezza della domanda per mancanza di inadempimento del D., essendosi “sovrapposta” la convenzione del 2011 tra le Cantine all’accordo del 2009 tra l’attuale ricorrente e il D.; e afferma altresì che l’accordo tra le Cantine “fissa le modalità attuative” dell’accordo del 2009 quanto al conferimento dell’uva con la “fattiva collaborazione” della Cantina di Aldeno che così ha “dato il suo consenso”. Nega quindi che il D. non sia più obbligato: la sua obbligazione discendente dall’accordo del 2009 “deve ritenersi superata o, meglio, specificata nel contenuto” (sottolineatura qui effettuata per maggior chiarezza) con l’accordo del 2011. La corte lascia poi intendere che, se la consegna all’attuale ricorrente doveva farla allora la Cantina di Aldeno – in essa consistendo appunto la sua “fattiva collaborazione” -, su ciò nulla incide la posizione del D., non essendo stato, “fra l’altro, neppure dedotto” che egli fosse stato inadempiente all’obbligo di conferire l’uva alla Cantina di Aldeno.

Non vi è, in conclusione, nella sentenza impugnata alcuna qualificazione dell’accordo del 2011 come novazione soggettiva, bensì una sua qualificazione come accordo che “fissa le modalità attuative” del precedente accordo del 2009, qualificazione riconducibile pertanto all’art. 1231 c.c.: accordo del 2011 al quale la corte – a ben guardare – lascia intendere che ha partecipato anche il D. per facta concludentia eseguendo il suo obbligo secondo le modalità di attuazione in esso appunto stabilite (ciò agevolmente si evince dal rilievo sopra riportato sul comportamento delle parti quanto all’esecuzione dell’accordo del 2009), e al quale ha partecipato invece formalmente (è la “fattiva collaborazione” all’esecuzione della transazione tra il suo nuovo socio e la Cantina di cui in precedenza era socio) la Cantina di Aldeno di cui egli è diventato socio dopo aver lasciato l’attuale ricorrente.

A prescindere dai profili direttamente fattuali pure rinvenibili nella loro esposizione, il primo e il secondo motivo, se non fossero inammissibili, sarebbero quindi manifestamente infondati.

4.4 Quanto poi al terzo e al quarto motivo, ne emerge – ancora una volta l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in termini di autosufficienza, dovendosi aggiungere il riscontro di ulteriore inammissibilità per diretta natura fattuale nel terzo motivo, che su ciò si arresta senza spiegare invece le ragioni per cui le invocate norme ermeneutiche sarebbero state violate. La diretta fattualità affligge, peraltro, a ben guardare, pure il quarto motivo, che invero, nell’asserita denuncia del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non adempie con evidenza al noto paradigma nomofilatticamente identificato da S.U. 7 aprile 2014 nn. 8053 e 8054, per cui tale norma ha introdotto nell’ordinamento “un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” per cui “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (conformi, ex plurimis: Cass. sez. 5, 8 ottobre 2014 n. 21152; Cass. sez. 6-3, 27 novembre 2014 n. 25216; Cass. sez. 1, 8 settembre 2016 n. 17761; Cass. sez. 1, 23 marzo 2017 n. 7472; Cass. sez. 3, 11 aprile 2017 n. 9253; Cass. sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017 n. 19987).

In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, ciò assorbendo il ricorso incidentale condizionato e comportando la condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono ex D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato, e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 1800, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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