Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26726 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 22/12/2016, (ud. 01/12/2016, dep.22/12/2016),  n. 26726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17738-2010 proposto da:

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO PASQUALI, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

PES SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 81/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 04/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. SOLAINI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di una serie di avvisi di accertamento per il recupero coattivo d’imposta di pubblicità per l’anno 2003 e 2004, con i quali il Comune recuperava a tassazione l’imposta (con sanzioni e interessi) per affissione diretta di manifesti e simili su apposite strutture site in varie vie di Roma, apposte in modo abusivo. Il contribuente, in primo luogo, ha contestato la regolarità formale degli avvisi, in quanto privi, a suo dire, di motivazione, mentre nel merito, ha lamentato l’errata quantificazione degli importi.

La CTP accoglieva le ragioni del contribuente fondate sull’assunto che l’imposta andasse commisurata all’effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario, con il criterio legato alla durata effettiva; la CTR, da parte sua, confermava la sentenza di primo grado, in quanto, pur dando atto che la società contribuente non aveva rispettato le indicazioni normative e regolamentari con riferimento ai mesi di effettiva utilizzazione, tuttavia, ciò non poteva comportare l’obbligo di pagamento per l’intero anno.

Avverso quest’ultima pronuncia, l’ente locale ha proposto ricorso davanti a questa Corte di Cassazione sulla base di un unico motivo, mentre la società contribuente non ha spiegato difese scritte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente di data 14.9.2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con l’unico motivo di censura, il comune di Roma denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, in quanto, i giudici d’appello avrebbero erroneamente ritenuto che il presupposto d’imposta fosse correlato all’effettivo utilizzo degli impianti, proprio di tipologia pubblicitarie di carattere temporaneo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2), ma non di quelle che si realizzano mediante affissioni dirette su impianti fissi, di cui al D.Lgs. n. 507 cit, art. 12 comma 3, nelle quali, nella disciplina vigente ratione temporis contava la mera disponibilità del mezzo pubblicitario, assoggettato ad imposta commisurata ad anno solare, salvo che l’operatore economico non avesse dimostrato una diversa durata.

Il motivo è fondato, in quanto è insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “In tema di imposta comunale sulla pubblicità e con riferimento al caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, la modifica al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 12, comma 3, disposta dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, che ha introdotto, a far data dall’1 gennaio 2001, la possibilità di determinare l’imposta anche nella misura e con le modalità di cui al comma secondo del citato art. 12, ha portata innovativa e, quindi, è priva di efficacia retroattiva (così come la Delib. n. 42 in data 27 gennaio 2001, con cui il consiglio comunale di Roma ha dato attuazione – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3, – alla suddetta disposizione innovativa), per cui, in relazione alle fattispecie impositive di data anteriore, non è consentito tener conto delle singole esposizioni nel corso dell’anno solare, al fine di applicare la tariffa commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario, ma deve applicarsi il precedente sistema di calcolo del tributo, riferito all’anno solare” (Cass. n. 9635/12). Nel caso di specie, infatti, non si trattava di pubblicità ordinaria a tempo determinato (la quale, in effetti, non può avere una durata superiore a tre mesi per anno solare, eventualmente rinnovabile), che deve essere effettuata su impianti provvisori che alla scadenza debbono essere rimossi, ma di affissioni dirette, anche per conto altrui, di manifesti e simili, su apposite strutture, adibite alla esposizione di tali mezzi, per le quali la disciplina vigente ratione temporis prevedeva l’assoggettamento all’imposta per anno solare, e ciò, in quanto la disciplina aveva inteso stabilire una durata prestabilita connaturale al tipo di impianti in esame, indipendentemente dal loro sfruttamento, per garantire un gettito certo e preventivabile per le casse comunali, slegate dalle scelte dì concreto utilizzo del mezzo pubblicitario, da parte di ogni singolo operatore economico.

Inoltre, nella presente vicenda, come evidenziato dal Comune, non è stato documentata da parte della società contribuente, la preventiva dichiarazione annuale di pubblicità, nonchè la denuncia di cessazione di utilizzo dell’impianto, per periodo corrispondente all’anno solare ovvero inferiore, di talchè vale la presunzione di decorrenza dell’utilizzazione dell’impianto pubblicitario dal primo gennaio dell’anno in cui ne è stato accertato l’utilizzo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8).

Va, conseguentemente accolto il ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito a seguito della già operata compensazione da parte delle CTR, ponendosi a carico della intimata le spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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