Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26726 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 21/10/2019), n.26726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28323/2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1599/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 12.9.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado che aveva rigettato la domanda di A.B., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere di religione cristiana, di essere fuggito dal (OMISSIS), nel nord della Nigeria, e di essere impossibilitato a fare ritorno nel luogo di origine a causa della differente fede religiosa della madre e della grave minaccia rappresentata dal fondamentalismo religioso dominante nella zona).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione A.B. affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 come novellato dal D.L. n. 13 del 2007, art. 6, comma 3 sexies, lett. c) e in relazione all’art. 424 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha provveduto alla video registrazione del colloquio, come imposto dalla nuova normativa, adempimento quantomai importante, tenuto anche conto che la motivazione di rigetto si è fondata non su una obiettiva insussistenza delle condizioni di ammissibilità del ricorso, bensì su una presunta contraddittorietà del racconto.

2. Il motivo è infondato.

Come ben evidenziato dalla sentenza impugnata, la norma richiamata dal ricorrente del decreto n. 13/2007 riguarda l’audizione del ricorrente innanzi alla Commissione territoriale e coerentemente la Corte di merito ha evidenziato che il ricorrente era già stato sentito innanzi dalla predetta Commissione e dal giudice di primo grado (all’udienza del 22.5.2017), nè in sede d’appello aveva evidenziato imprecisioni o inesattezze riportate nella verbalizzazione che rendessero opportuna la ripetizione dell’audizione, valutazione che comunque rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all’art. 132 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, la Carta della Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti dell’Uomo.

Lamenta il ricorrente che, con un salto logico ed inspiegabile, la Corte d’Appello gli ha attribuito una diversa origine non documentata, sollevando dubbi sulla sua famiglia, quando avrebbe potuto con l’esercizio dei poteri officiosi approfondire la sua situazione personale.

4. Con il terzo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2.

Lamenta il ricorrente che la motivazione della Corte di merito non rispetta il “minimo costituzionale”. Peraltro, in modo contraddittorio, la motivazione gli ha attribuito una diversa zona origine nel Sud della Nigeria che risulterebbe più sicura.

5. Il secondo il terzo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Torino ha valutato le dichiarazioni del ricorrente tenendo ben presenti i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 essendo state specificamente indicate, con argomentazioni assai dettagliate ed approfondite, le ragioni della ritenuta non plausibilità e coerenza del suo racconto. Si è evidenziato, in particolare, l’assoluta assenza di conoscenza da parte dell’interessato della zona di (OMISSIS) e dintorni, della sua non conoscenza della lingua Hausa, che è la più parlata nell’area in cui afferma aver trascorso la propria esistenza (oltre ad essere la lingua parlata della madre, di etnia Hausa), della mancata conoscenza del luogo in cui è seppellito il padre, del mancato ricordo di quanto furono celebrati i funerali del medesimo, circostanze quest’ultime non certo irrilevanti per un soggetto di fede cristiana, quale è asseritamente il ricorrente.

Il ricorrente ha contestato la valutazione di credibilità del ricorrente effettuata dal giudice di merito, allegando solo in modo generico ed apodittico la dedotta grave anomalia motivazionale, non confrontandosi minimamente con le precise argomentazioni del giudice di secondo grado.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di norme di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ha, in realtà, svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, con la conseguenza che il giudizio di fatto in ordine alla credibilità del richiedente non può essere censurato sub specie violazione di legge ed è quindi sottratto al sindacato di legittimità.

Infine, la Corte territoriale, dopo aver individuato con argomentazioni immuni da vizi logici la reale zona di provenienza del ricorrente, ha evidenziato, alla luce di fonti internazionali accreditate, l’insussistenza di una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata derivante da un conflitto armato ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudici di merito.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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