Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26723 del 01/10/2021

Cassazione civile sez. III, 01/10/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 01/10/2021), n.26723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.Q., (codice fiscale (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata

Giuseppina Marciano, del Foro di Milano, presso il cui studio è

elettivamente domiciliata, in Milano, Via Fontana n. 3;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di n. 7114/2019, pubblicato il

6/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile

2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che la signora A., nata in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiata, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, ella ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 6 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, la ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado senza, peraltro, che questi ne ritenesse necessaria una nuova audizione, aveva dichiarato alla commissione territoriale di essere fuggita dal proprio Paese attratta dalla prospettiva di migliorare la propria condizione lavorativa (era cameriera in un ristorante di (OMISSIS)) a seguito delle promesse ricevute da tale signora E. di portarla in Francia e trovarle un lavoro; di essere transitata per la Libia, dove tale mamma T. le aveva chiesto di “lavorare per lei” e di essere stata liberata da quest’ultima soltanto a seguito del pagamento di 350 mila naira, eseguito dalla sorella nelle mani della signora E.; di non saper chiarire quali timori le impedissero di far ritorno in Patria, salva la delusione di non essere ancora in grado di aiutare la madre.

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale non credibilità del suo racconto, ritenuto vago e inattendibile, anche alla luce della relazione dell’equipe del Servizio Tratta del comune di Milano, che aveva evidenziato come la richiedente asilo avesse rifiutato qualsiasi ragionamento rispetto alla scarsa attendibilità della sua storia, dichiarando di non aver altro da aggiungere -nonostante la proposta di fissare un terzo appuntamento per approfondire l’eventuale aspetto di una possibile “tratta” di cui ella avrebbe potuto essere stata vittima, come pur pareva potersi adombrare nelle pieghe del racconto- negando altresì di essere stata avviata alla prostituzione in Italia; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiata, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità della ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione sulla base di 3 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per omessa audizione della ricorrente.

1.1. Il motivo non può essere accolto, tanto alla luce dei principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – quanto all’esito della ulteriore (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), principio da coniugarsi con l’altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).

1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria l’audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, venendo, piuttosto, lungamente esposti soltanto i principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale, senza alcuno specifico riferimento al caso concreto e senza alcuna specifica censura efficacemente mossa alla analitica ed esaustiva valutazione di non credibilità operata dal Tribunale.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per motivazione apparente e comunque contraddittoria in relazione alla domanda di protezione sussidiaria;

2.1. La censura è infondata.

Pur riconoscendosi, da parte del Tribunale, l’esistenza, in (OMISSIS), di severi indici di criticità quanto all’ordine pubblico e alla sicurezza interna, si evidenzia poi in motivazione, del tutto correttamente, come tali indici non raggiungano “la soglia di quella violenza diffusa e indiscriminata che costituisce il presupposto normativo (anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale) per la concessione della misura di protezione indicata” (vengono, in proposito, evocati i contenuti di numerose COI, attendibili e aggiornate all’anno 2018).

2.2. A tali considerazioni, non censurabili in punto di diritto, parte ricorrente si limita a contrapporre, oltre che considerazioni di ordine generale – ma inconferenti rispetto al caso di specie – il solo contenuto del sito ministeriale “(OMISSIS)” (che raccomanda di limitare allo stretto necessario i viaggi in (OMISSIS)), la cui irrilevanza ai fini del decidere è stata a più riprese posta in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, Cass. 15275/2021).

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3.1. Il motivo è inammissibile per difetto assoluto di specificità.

Non viene in alcun modo censurata, se non in termini del tutto generici ed astratti, la decisione del Tribunale che, all’esito di un corretto e condivisibile giudizio di comparazione (condotto in ossequio ai principi affermati da questa Corte a far data dalla sentenza 4455 del 2018), ha escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione dell’invocata forma di protezione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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