Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26720 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, (ud. 25/05/2018, dep. 23/10/2018), n.26720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11405/2016 proposto da:

C.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PASQUALE CERINO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO ALFIERO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13728/2015 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 30/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/05/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RITENUTO

che:

1. C.G., sull’assunto di essere legittimo detentore dell’immobile sito in (OMISSIS), in virtù di un contratto di un locazione ad uso abitativo sottoscritto dalla società Guia Srl, di cui è amministratore, ha agito in giudizio deducendo di aver subito danni a un tappeto di sua proprietà a causa di infiltrazioni provenienti dal sovrastante terrazzo, di pertinenza dell’appartamento di F.G.. La convenuta nel costituirsi ha dedotto il difetto di legittimazione passiva dell’attore, in quanto non sottoscrittore del contratto di locazione ad uso abitativo intestato a una società, conduttrice dell’ appartamento interamente arredato.

2. Il Giudice di Pace di Napoli, con sentenza n. 15615/2013, ha rigettato la domanda sull’assunto che non fosse stato provato il danno al tappeto. Con atto notificato il 28 ottobre 2013 l’attore ha impugnato la sentenza innanzi al Tribunale di Napoli. Il Tribunale adito, con sentenza n. 13728/2015 del 30/10/2015, ha dichiarato inammissibile l’appello sul rilievo che non era stata impugnata la parte della sentenza, costituente autonomo punto decisionale, in cui era stata affermata la mancata prova del diritto fatto valere in giudizio.

3. Con ricorso notificato il 27 aprile 2016 l’attore ha svolto ricorso per cassazione avverso la sentenza, affidato a due motivi. Il Controricorrente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il Tribunale ha ritenuto che, sotto il profilo della legittimazione dell’attore a far valere il diritto al risarcimento del danno, non è stato impugnato il capo della sentenza con cui “è stata ritenuta non dimostrata la proprietà del bene mobile danneggiato in capo al promotore della pretesa risarcitoria”. L’appello per tale motivo è stato ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. (a tal fine riportando Cass., sentenza n. 12.995/2013), in quanto il motivo di impugnazione, attinente alla mancata considerazione della prova orale sul danneggiamento del tappeto, non si dimostra idoneo a colpire la ulteriore ratio decidendi della sentenza, costituente un giudicato implicito sulla mancata prova della titolarità del bene di cui si chiede il risarcimento.

1 3. Il ricorrente, invece, denuncia che la decisione del Giudice dell’appello, nella parte in cui evidenzia che non sarebbe stato impugnato un capo della sentenza, “emessa in via preliminare nella parte motiva del dictum, con cui è stata ritenuta non dimostrata la proprietà del bene mobile danneggiato in capo al promotore della pretesa risarcitoria”, sarebbe viziata in quanto “parte da un presupposto erroneo”, ovvero da “un’erronea lettura della sentenza di primo grado”1da cui emerge chiaramente il contrario, e cioè che l’eccezione in tal senso è stata respinta dal giudice di primo grado. Infatti – prosegue il ricorrente – il giudice di primo grado ha ritenuto che andava preliminarmente “disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione attiva perchè il contratto di locazione è stato sottoscritto dalla Sig.ra D.G.R., all’epoca legale rappresentante della società Guia s.r.l., e non dall’attore, e perchè non vi è prova che l’attore sia l’effettivo proprietario del tappeto” e ha più specificamente ritenuto che l’attore era “possessore” in buona fede del bene in questione, ex art. 1153 c.c.” in forza di un titolo astrattamente idoneo”.

1.4. Il ricorrente, laddove riporta passi della sentenza di primo grado in tesi mal percepita dal Tribunale, deduce un vizio che appartiene alla sfera dei vizi revocatori, insindacabili in tale sede.

1.5. Più specificamente, l’errore di fatto, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocabilità delle sentenze, si risolve in un vizio di assunzione del “fatto” – che può consistere nel contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice, quali la sentenza impugnata o gli atti di parte -, e non in errore di criterio nella valutazione ed interpretazione del fatto, che attiene, quindi, alla valutazione degli atti sottoposti al controllo del giudice, e correttamente percepiti, configurandosi l’errore, in tali casi, in un vizio di ragionamento sui fatti assunti o in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali qualificabile come errore di giudizio, quando i fatti segnalati abbiano formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (v. Sez. 6-L, Ordinanza n. 6405 del 15/03/2018; Sez. 5, Sentenza n. 2478 del 06/02/2006).

1.6. Risulta viziata da errore revocatorio, e non da error in iudicando, la sentenza in cui il Giudice d’appello si sia limitato ad affermare, attraverso una mera attività ricognitiva, del tutto priva di ogni connotazione di tipo valutativo, che il Giudice di primo grado ha negato la legittimazione attiva dell’attore. In tale caso, si è infatti in presenza di una denuncia di un errore percettivo del Giudice dell’impugnazione, caduto sul contenuto testuale di un atto processuale, di per sè insuscettibile di apprezzamento sotto il profilo di errore di interpretazione o di applicazione del diritto.

1.7. Tutto quanto sopra rilevato, rende il ricorso inammissibile sotto i profili di error in iudicando e in procedendo denunciati in tal modo, con assorbimento dell’ulteriore motivo inerente all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, inerente alla affermata inattendibilità del teste escusso.

2. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in merito alle spese di lite.

P.Q.M.

1. Dichiara inammissibile il ricorso;

2. Condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 800,00, oltre Euro 200 per esborsi, spese forfetarie al 15%, e ulteriori oneri.

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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