Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2672 del 05/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2672 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SESTINI DANILO

Cron

ORDINANZA
Rep.

sul ricorso 17874-2014 proposto da:
Ud. 22/11/2017

SOTIRA LILIANA, SOTIRA RITA, SOTIRA ALDO VITTORIO,
CC

SOTIRA COSIMO, SOTIRA ANTONIA, SOTIRA ANTONIO,
elettivamente domiciliati in ROMA, P.LE CLODIO 32,
presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO COSTA, che
li rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro

2017
2260

REGIONE CALABRIA;
– intimata

avverso la sentenza n. 767/2013 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 01/06/2013;

Data pubblicazione: 05/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. DANILO

SESTINI;

2

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata;
rilevato che:
a seguito del decesso di Teresa Sotira, ascritto -con sentenza
definitiva di condanna per omicidio colposo- a due medici
dell’ospedale di Soverato, agirono per il risarcimento dei danni la
madre (Maria Garaffa) e i fratelli della vittima (Antonia, Rita, Antonio,

Sotira, nel frattempo deceduto; a tal fine, convennero in giudizio
Francesco Saverio Sgromo e Alfonso De Vito (medici), nonché la
Gestione Liquidatoria della ex USL di Catanzaro e la Regione Calabria
e ne chiesero la condanna solidale al risarcimento del danno
terminale patito dalla deceduta (richiesto iure hereditatis), del danno
morale sofferto dagli attori per la perdita della congiunta, del danno
biologico subito iure proprio da tre degli attori (Antonia, Rita e Aldo
Sotira) e del danno patrimoniale;
Il Tribunale di Catanzaro, Sez. Dist. di Chiaravalle riconobbe il
risarcimento del danno terminale (quantificato in 35.000,00 euro) e
del danno parentale (liquidandolo in oltre 200.000,00 in favore di
ciascun genitore e in 122.807,23 per ciascun fratello o sorella); negò,
invece, il risarcimento del danno biologico richiesto iure proprio e del
danno patrimoniale;
la Corte di Appello di Catanzaro ha riformato parzialmente la
sentenza, disponendo -per la parte che ancora interessa- la riduzione
del risarcimento liquidato ai fratelli a 50.000,00 euro ciascuno (in
moneta attuale), mentre ha rigettato nuovamente la richiesta di
risarcimento del danno biologico “iure proprio”;
hanno proposto ricorso per cassazione Aldo Vittorio, Antonia,
Cosimo, Antonio, Liliana e Rita Sotira, affidandosi a due motivi; gli
intimati non hanno svolto attività difensiva;
considerato che:
col primo motivo (che denuncia, ex art. 360, co. 1°, n. 4,
l’«omessa pronuncia sulla richiesta di CTU da parte dei tre superstiti
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Cosimo, Aldo e Liliana), anche in qualità di eredi del padre Nicola

appellanti incidentali»), i ricorrenti lamentano che la Corte non si è
pronunciata sulla censura con cui era stata evidenziata la
contraddittorietà della sentenza di primo grado, che aveva rilevato il
difetto di una c.t.u. senza avvedersi che la relativa istanza era stata
rigettata dallo stesso giudice; assumono che la richiesta era stata
reiterata con l’atto di appello senza trovare risposta nella sentenza;

inammissibile, in quanto il ricorso non trascrive la censura
rispetto alla quale sarebbe stata omessa la pronuncia (cfr. Cass. n.
17049/2015);
infondato, in quanto la Corte ha pronunciato in merito al danno
biologico (a pag. 27), rilevando che in atti non esistevano «riscontri e
documenti da cui desumere l’insorgere di patologie, meramente
allegate dagli istanti, ma in alcun modo provate», con ciò dando
implicitamente conto delle ragioni della mancata ammissione della
c.t.u. (che sarebbe stata meramente “esplorativa”);
il secondo motivo («art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c.. Omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia») censura la
sentenza nella parte in cui ha ridotto l’importo liquidato ai fratelli e
alle sorelle della vittima a titolo di danno parentale: i ricorrenti
lamentano la violazione del «principio di integrale riparazione di ogni
danno» e, richiamati i criteri elaborati dalla giurisprudenza per la
stima del danno non patrimoniale, si dolgono -in particolare- del fatto
che la Corte abbia valorizzato il dato della mancanza di convivenza
fra la vittima e i fratelli (alcuni dei quali residenti nel Nord Italia da
molti anni), senza valutare il forte «senso di appartenenza» esistente
fra i fratelli e la circostanza che la vittima rappresentava anche il
«referente primo, per gli altri fratelli, in tutto ciò che riguardava
l’accudimento dei due anziani» genitori;
il motivo è inammissibile, avuto riguardo alla letterale
formulazione della rubrica, laddove prospetta un vizio motivazionale

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il motivo è inammissibile e, comunque, infondato;

ai sensi del vecchio testo dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. (non
applicabile ratione temporis),
la censura va comunque disattesa anche se considerata con
riguardo all’illustrazione del motivo, ossia sotto il profilo della
violazione dei criteri che governano la liquidazione del danno;
premesso che l’importo stabilito (tutt’altro che irrisorio) si colloca

effettuato una valutazione correlata alla specificità del caso
(considerando, per un verso, la giovane età della deceduta e il venir
meno della prospettiva di rapporti proiettati nel tempo e, per altro
verso, il fatto della mancanza di convivenza), senza violare alcun
criterio liquidatorio e compiendo un apprezzamento di merito che non
è suscettibile di sindacato in sede di legittimità in quanto
congruamente motivato;
in difetto di attività difensiva da parte degli intimati, non deve
provvedersi sulle spese di lite;
trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013,
sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1
quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso
articolo 13.
Roma, 22.11.2017

entro la forbice tabellare e ben al di sopra del minimo, la Corte ha

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