Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2672 del 03/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 03/02/2011), n.2672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27119/2009 proposto da:

MULTIPROGRAM DI V. MANZO & C. SNC (OMISSIS) in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato GIURATO UGO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRINCHI Sergio, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio degli avvocati POZZAGLIA

PIETRO e PRANZA GABRIELE, rappresentata e difeso dall’avvocato ALONGI

Antonietta, giusta procura speciale in calce alla copia notificata

dell’avversario ricorso per cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1878/2 008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO

del 20.11.08, depositata il 09/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IGNAZIO

PATRONE.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis.

La Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, con cui era stata accolta l’impugnativa proposta da F.A. contro il licenziamento intimatogli con lettera del 9,2.2004 dalla S.n.c. Multiprogram di V. Manzo e C. ed erano state applicate le tutele di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Per quanto ancora rileva, la Corte di merito, richiamati recenti orientamenti giurisprudenziali sulla ripartizione dell’onere della prova quanto alla sussistenza del requisito dimensionale per l’operatività della c.d. tutela reale nei licenziamenti illegittimi, e sull’interpretazione dell’art. 437 c.p.c., relativamente alla produzione in appello di nuove prove documentali, osservava che la società appellante, la quale rimasta contumace in primo grado, intendeva valorizzare le risultanze del libro matricola, non aveva assolto l’onere di provare l’insussistenza del requisito dimensionale.

La S.n.c. Multiprogram di V. Manzo e C. ricorre per cassazione con tre motivi. Il F. resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 18. Sostiene che l’onere della prova della sussistenza del requisito dimensionale per la tutela reale era a carico del lavoratore.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c.. Lamenta che non sia stata ammessa la prova documentale (libro matricola) fornita dall’appellante, indispensabile per provare l’insussistenza del suddetto requisito dimensionale.

Il terzo motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo.

Lamenta che la Corte d’appello non abbia indicato i motivi per i quali ha ritenuto di non ammettere la produzione del libro matricola ai fini della prova in questione.

Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo è doveroso fare riferimento al relativamente recente indirizzo giurisprudenziale, sancito da una pronuncia delle Sezioni unite (n. 141/2006) a componimento di un contrasto di giurisprudenza, secondo cui l’onere di provare il requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale nei licenziamenti è a carico del datore di lavoro.

Riguardo al secondo motivo e al terzo motivo, deve rilevarsi che la disposizione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, sull’ammissione di nuove prove in appello nel rito del lavoro (ormai analoga a quella dettata per il rito ordinario dall’art. 345, comma 3, salvo che per la previsione dell’esercitabilità nel rito del lavoro anche d’ufficio del potere di ammettere nuove prove in appello), e specificamente il riferimento alla circostanza che le nuove prove siano ritenute “indispensabili ai fini della decisione della causa”, richiede un approfondimento interpretativo, potendo ritenersi pacifico che per “indispensabilità” non può intendersi la mera rilevanza della prova ai fini della decisione. Deve quindi rilevarsi la non idoneità del quesito di diritto formulato a norma dell’art. 366 bis c.p.c. (nella specie applicabile ratione temporis) a conclusione del secondo motivo, poichè esso si limita a fare riferimento alla dizione legale, mentre il quesito di diritto, come è stato più volte osservato da questa Corte, rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di collaborare alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris in quanto tale idonea sia a risolvere la specifica controversia che a ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr. Cass. S.U. n. 3519/2008 e 18759/2008; Cass. n. 11535/2008).

Deve anche osservarsi che, rispetto al requisito dimensionale in questione, non può ritenersi che le risultanze del libro matricola abbiano una valenza di per sè risolutiva, potendo sempre risultare da altre prove la sussistenza di altri lavoratori alle dipendenze del medesimo datore di lavoro. Non è quindi affermabile rispetto a tale tipo di prova la sussistenza del requisito della incidenza probatoria particolarmente incisiva e risolutiva, che, come ricordato anche nel ricorso, può costituire secondo la giurisprudenza, una delle ipotesi riconducibile alla formula della “indispensabilità”. Nè nella specie sussisteva quell’altra ipotesi presa in considerazione dalla giurisprudenza per l’ammissione anche d’ufficio di nuove prove, e cioè quella della necessità di confermare o approfondire risultanza probatorie già acquisite (ipotesi delle ed, piste probatorie). Ne consegue l’infondatezza anche del terzo motivo, in mancanza di elementi che avrebbero richiesto una concreta valutazione da parte del giudice di merito.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte contro ricorrente le spese del giudizio determinate in Euro trenta oltre Euro tremila per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. secondo legge.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011

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