Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26719 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. III, 13/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 13/12/2011), n.26719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.F. (OMISSIS), L.B.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentati e difesi il primo in proprio e il secondo dallo stesso

avvocato L.F. giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

B.O.A.B. (OMISSIS) per sè e quale

erede del deceduto coniuge B.D.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CASAL BOCCONE 102, presso lo studio

dell’avvocato VALLETTA GIUSEPPE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PASQUARIELLO FRANCO giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

D.F., D.C., DI.CA.,

D.A., DI.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 641/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/04/2008, R.G.N. 552/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L.F. e L.B. hanno proposto ricorso per cassazione contro B.D.G. e A.B. B.O. avverso la sentenza del 24 aprile 2008, con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello da loro proposto, nella qualità di eredi di L.N. contro la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Vicenza, Sezione Distaccata di Schio.

2. Al ricorso hanno resistito con congiunto controricorso gli intimati.

3. Il Collegio, all’esito della pubblica udienza e dell’esame degli atti, ha raccomandato una motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio reputa che il ricorso sia inammissibile per la carenza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 quanto a tutti i motivi.

Queste le ragioni.

1.1. Va rilevato che, sull’esegesi di detta norma è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il seguente principio di diritto: in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. sez. un. n, 7161 del 2010; in precedenza, fra tante, Cass. sez. un. n. 28547 del 2009).

L’onere di specificazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, peraltro, rappresentando tale norma il precipitato normativo del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte già anteriormente all’introduzione della norma, non toglie che l’attività specificativa debba riguardare non solo l’indicazione del documento quale contenente nei termini su precisati, ma anche estrinsecarsi nella riproduzione della parte del documento o dell’atto processuale su cui il motivo si fonda e, quindi, nella specifica indicazione del contenuto (Cass. (ord.) n. 15628 del 2009, secondo cui In tema di ricorso per cassazione, il soddisfacimento del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, postula che nel detto ricorso sia specificatamente indicato l’atto su cui esso si fonda, precisandosi al riguardo che incombe sul ricorrente l’onere di indicare nel ricorso non solo il contenuto di tale atto, trascrivendolo o riassumendolo, ma anche in quale sede processuale lo stesso risulta prodotto. L’inammissibilità prevista dalla richiamata norma, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti, posto che la previsione di tale sanzione esclude che possa utilizzarsi il principio, applicabile alla sanzione della nullità, del cosiddetto raggiungimento dello scopo, sicchè solo il ricorso può assolvere alla funzione prevista dalla suddetta norma ed il suo contenuto necessario è preordinato a tutelare la garanzia dello svolgimento della difesa dell’intimato, che proprio con il ricorso è posto in condizione di sapere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità. (Nella specie la S.C. ha ritenuto irrilevante che l’indicazione specifica dell’atto su cui si fondava il ricorso, ed in particolare della sede dove lo stesso era esaminabile, fosse contenuta nella nota di deposito e di iscrizione a ruolo, prescritta per il funzionamento della cancelleria civile della Corte di cassazione ma non normativamente prevista – a differenza della nota di iscrizione a ruolo di cui all’art. 168 cod. proc. civ. e agli artt. 71 e 72 disp. att. cod. proc. civ. per il giudizio dinanzi al tribunale, a cui fa riferimento anche il D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, art. 11 -, la quale è indirizzata al cancelliere e non al giudice di legittimità ed ha il solo scopo di realizzare il contatto tra l’ufficio giudiziario Corte di cassazione e la parte ricorrente e di enunciare cosa si produce con il ricorso);

in precedenza, Cass. (ord.) n. 22303 del 2008, ex multis; da ultimo, Cass. n. 2966 del 2011).

Da ultimo, recentissimamente, le affermazioni della ricordata giurisprudenza quanto all’onere di indicazione specifica sono state ribadite anche per gli atti processuali dalla sentenza delle SS.UU. n. 22726 del 2011.

2.1. Ora, nessuno dei motivi sui quali si fonda il ricorso rispetta il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6 nella duplice implicazione espressa dalla richiamata consolidata giurisprudenza (che, del resto, afferma discendere dalla norma principi che prima della sua introduzione erano sostenibili alla stregua del c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, elaborato da questa Corte e del quale, come s’è già rilevato, la norma costituisce il precipitato normativo: per tutte Cass. n. 12239 del 2007).

Con il primo motivo si denuncia “violazione delle norme sul giudicato esterno (art. 2909 c.c.) e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il motivo si fonda sul contenuto della sentenza n. 813 del 1997 resa dalla Corte d’Appello di Venezia e non solo non riproduce la parte di essa che sorreggerebbe il motivo, ma non indica se e dove venne prodotta nelle fasi di merito e se e dove sarebbe sia stata prodotta in questa sede di legittimità, al fine di consentire a questa Corte di esaminarla. D’altro canto, quanto a quest’ultimo rilievo, il Collegio rileva che, al di fuori dell’illustrazione del motivo a detta sentenza si fa riferimento nella parte del ricorso dedicata all’esposizione del fatto nell’ambito dell’atto di appello, che sostanzialmente risulta ivi riprodotto dalla pagina cinque alla pagina diciassette. Il riferimento è fatto alla pagina tredici ed alla pagina quattordici, nonchè alla quindici. Nella pagina quattordici si indica che tale sentenza sarebbe stata prodotta come documento 8 del fascicolo di primo grado. Senonchè, in disparte il carattere assorbente ai fini della violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 della mancata riproduzione del contenuto della sentenza per la parte che interessa, detta indicazione è relativa all’atto di appello e nulla dice sul se la sentenza sia stata prodotta e dove con il ricorso in esame. E’ appena il caso di rilevare che in chiusura del ricorso si indica come prodotto il fascicolo di parte di secondo grado, ma nessuna indicazione vi è sul se il fascicolo di primo grado sia stato prodotto in esso.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Il motivo torna a fondarsi sulla sentenza de qua (salvo l’indicazione della produzione come documento n. 8 del fascicolo di primo grado, che questa volta viene ripetuta), ma sempre con le indicate deficienze di rispetto del requisito della indicazione specifica, nonchè sul contenuto di un atto processuale indicato ambiguamente come “contenuto nel fascicolo di parte del giudizio presso la Corte d’Appello di Venezia n, 910/96 R.G. – doc. n. 9 del fascicolo di primo grado”, su una c.t.u., su altro documento indicato come documento n. 3 del detto fascicolo di primo grado, su un diverso atto processuale sempre indicato come documento n. 9 del fascicolo di primo grado e su altro documento indicato come n. 4 del fascicolo di primo grado. Anche di tali ulteriori atti – in disparte che non si forniscono specificazioni sul giudizio n. 910/96 (che in ipotesi potrebbe essere quello di cui alla citata sentenza) – non si riproduce la parte che sorreggerebbe il motivo, mentre le indicazioni relative al fascicolo di primo grado meritano lo stesso rilievo poco sopra formulato riguardo al primo motivo.

Con il terzo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma nuovamente il motivo di fonda sulla citata sentenza e sugli stesi atti indicati a proposito del motivo precedente, sempre con riferimenti al fascicolo di primo grado e sempre con l’assoluta mancanza di riproduzione delle parti che sorreggerebbero il motivo.

Con il quarto motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 2041 c.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 3”: vi si fa riferimento all’essere stata introdotta dagli appellati con la comparsa di appello per la prima volta una domanda nuova ai sensi dell’art. 2041 c.c. (rispetto a quella introdotta in primo grado ai sensi dell’art. 1705 c.c.) e della quale gli appellanti (ed odierni ricorrenti) avrebbero denunciato inutilmente la inammissibilità nella stessa udienza di prima comparizione in appello del 3 maggio 2004. Ma non si riproduce nè il contenuto della comparsa recante la proposizione della domanda, nè il contenuto dell’eccezione, così delegando la corte a ricercare l’uno e l’altro, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il quinto motivo denuncia, per il caso che sia disatteso il precedente, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Esso è illustrato in questi termini: in ogni caso, qualora l’Ecc.ma Corte non dovesse ritenere accoglibile il precedente motivo di ricorso, dovrebbe senz’altro ritenere inapplicabile alla fattispecie l’art. 2041 c.c. in quanto, avendo richiesto ed ottenuto i consorti L. dall’inquilino A.L. il risarcimento da inadempimento al contratto di locazione del 19/09/1979, registrato a (OMISSIS) il 28/09/1979 al n. 9192, avente per oggetto la quota pari ad un mezzo dell’immobile in (OMISSIS) n. 121 – 123 e 123, intercorso con i loro danti causa D.L. B. e D.L.A., al quale invece erano estranei i danti causa dei coniugi B.D., per cui i consorti L., avendo percepito A.L. solo quando agli stessi dovuto, non si sono arricchiti a danno dei coniugi B. D., per cui nulla è dovuto a questi ultimi.

Il motivo, oltre ad essere apodittico ed a fondarsi su circostanze di fatto delle quali non si dice la sede dalle quali risulterebbero, si fonda anche sul tenore del detto contratto, riguardo al quale manca parimenti l’indicazione specifica.

Il sesto motivo denuncia “violazione dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Esso si fonda, sempre con le stesse insufficienze, sul contenuto di documenti indicati come produzioni n. 5, 6 e 7 del fascicolo di primo grado, nonchè nuovamente sui documenti n. 9 ed 8 sempre di detto fascicolo.

Il settimo motivo denuncia “violazione dell’art. 1602 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” e si fonda, sempre con le medesime insufficienze, sui documenti indicati come produzioni nn. 10, 11, nonchè 9 e 5 del fascicolo di primo grado.

3. L’inammissibilità di tutti i motivi comporta che il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro milleottocento/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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