Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26718 del 13/12/2011

Cassazione civile sez. III, 13/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 13/12/2011), n.26718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato ESPOSITO BENITO ANTONIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EMME ERRE SISTEMI S.R.L. (OMISSIS), in persona del lega

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA V.

PICARDI 4-C, presso lo studio dell’avvocato GAITO SERGIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GAROFANO PASQUALE giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1508/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/05/2007, R.G.N. 6051/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L.A. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. Emme Erre Sistemi avverso la sentenza del 18 maggio 2007, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il suo appello contro la sentenza resa in primo grado inter partes in una controversia locativa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’intimata.

3. Il Collegio, all’esito della pubblica udienza e dell’esame degli atti, ha raccomandato una motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio reputa superfluo riferire dei motivi del ricorso, perchè esso appare inammissibile sotto tre gradati profili.

1.1. La prima ragione di inammissibilità – eccepita anche dalla parte resistente -deriva dall’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Va rilevato che è giurisprudenza consolidata di questa Corte che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).

Nello stesso ordine di idee si è affermato il principio di diritto secondo cui il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata. (In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello). (Cass. n. 4403 del 2006, ex multis).

Si è, altresì, precisato che per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di ricorso, nè occorre una narrativa analitica o particolareggiata, ma è sufficiente ed, insieme, indispensabile che dal contesto del ricorso (ossia, solo dalla lettura di tale atto ed escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata) sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice “a quo”, non potendosi distinguere, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004).

1.2. Ora, il ricorso in esame espone il fatto sostanziale e processuale nei seguenti termini, riferendo: che la resistente s.r.l., sulla premessa di avere stipulato una locazione ad uso commerciale conveniva il ricorrente per sentirlo condannare, ®previa declaratoria di nullità della clausola disciplinante un illegittimo aumento del canone di locazione, alla ripetizione delle somme versate in eccesso al locatore in misura superiore a quella legale a partire dall’1.1.1993 al 31.12.2003, pari a Euro 45.995,49; che il locatore chiedeva il rigetto della domanda e spiegava domande riconvenzionali per il pagamento di Euro 101.227,57 a titolo di somme non corrisposte sul canone di locazione pattuito, oltre accessori, nonchè per il risarcimento di non meglio precisati danni patrimoniali e per il pagamento di Euro 20.288,22 a titolo di lucro cessante, previa declaratoria della risoluzione contrattuale del rapporto di locazione per inadempimento, ed in fine per il ripristino dello stato dei luoghi a spese ella conduttrice; che veniva espletata c.t.u. che veniva impugnata per nullità; che il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea e dichiarava la nullità della clausola di cui all’art. 14 del contratto locativo, dichiarava che il canone era dovuto in L. 2.600.000, oltre aggiornamenti I.S.T.A.T. dal gennaio 2003, come calcolato dal c.t.u., condannava il L. alla restituzione della somma di Euro 17.065,34 (oltre accessori) per differenze non dovute di canone sino al marzo 2004, gravava delle spese il convenuto, del quale rigettava le riconvenzionali; che la sentenza veniva appellata dal qui ricorrente e la corte napoletana rigettava l’appello, integralmente confermando la sentenza impugnata.

La lettura delle enunciazioni qui ricordate lascia la totale incertezza: a) sui fatti costitutivi della domanda principale di dichiarazione della nullità di una clausola contrattuale e sul tenore delle domande riconvenzionali, di modo che il fatto sostanziale che dell’una e delle altre fu oggetto resta indistinto, tanto che nemmeno si identica l’insorgenza del rapporto locativo inter partes; b) sulle ragioni della sentenza di primo grado; c) sui motivi dell’appello; d) sulle ragioni della decisione impugnata.

Nessuna, pur sommaria indicazione, viene fornita al riguardo.

Nè essa risulta dalla successiva illustrazione dei motivi, che viene condotta supponendola.

In conseguenza la rappresentazione pur sommaria del fatto sostanziale e processuale nei termini richiesti dalla ricordata giurisprudenza risulta del tutto carente.

2. Il ricorso presenta – salvo per i motivi 1.1. e 2 – anche e comunque una seconda causa di inammissibilità, rappresentata dall’inosservanza della norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, nei termini nei quali viene intesa da consolidata giurisprudenza della Corte (per tutte Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010). Infatti, tutti i motivi si fondano su documenti o atti processuali, riguardo ai quali non si fornisce l’indicazione specifica richiesta dalla citata norma ed in particolare non si precisa se e dove siano stati prodotti in questa sede, anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., n. 4, onde poter essere esaminati dalla Corte al fine di riscontrare le allegazioni sulle quali i motivi si fondano, nonchè, talora, si riproduce la parte della produzione che sorregge il motivo.

L’indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 – che costituisce il precipitato normativo del ed. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo del ricorso per cassazione, come emerge dalla ricordata giurisprudenza – esige che, oltre alla specificazione di se e dove la produzione documentale sulla quale si fonda il ricorso sia avvenuta nelle fasi di merito, nonchè alla riproduzione della parte che interessa al fine dell’illustrazione del motivo, sia individuato anche se e dove la produzione sia stata fatta in sede di legittimità. Ciò, al fine di consentire alla Corte di riscontrare le allegazioni basate sulle produzioni documentali.

Ora, questa indicazione manca nel ricorso, perchè le produzioni documentali o gli atti processuali cui fanno riferimento i motivi sono:

a) riferite genericamente al fascicolo d’ufficio di primo grado (motivo 1^, quanto alla c.tu.);

b) riferite genericamente alla produzione di primo grado (motivo 2.1., quanto al contratto locativo del 1992 ed alla clausola di cui all’art. 14, e quanto all’altro contratto del 1989, nonchè motivo, motivo 3^, sempre quanto alla stessa clausola ed alla clausola di cui all’art. 3);

c) enunciate senza riportare il contenuto dell’atto processuale su cui il motivo si fonda, così delegando la Corte ad individuare a quale parte di esso ci si intenda riferire (motivo 3.1, quanto all’omessa pronuncia su un motivo di appello, che non si individua, se non genericamente rimandando alla pagina ed inoltre con un rinvio generico alla produzione di secondo grado);

d) nuovamente, riferite ad uno dei contratti locativi e ad un rogito notarile, del quale si indica genericamente la produzione in secondo grado, senza alcun’altra specificazione (motivo 4);

e) riferite ad una produzione indicata come genericamente avvenuta in primo grado e – quanto alla seconda – non riprodotta quanto al pertinente contenuto (motivo 4.1, riguardo alla lettera raccomandata del 13-15 ottobre 2004 ed all’altra con a.r. del successivo 3.11.2004);

J) riferite ad atti processuali di primo grado, rappresentati da memorie, delle quali non si riproduce il pertinente contenuto, e si indica genericamente la produzione in primo grado, nonchè nuovamente alla raccomandata del 3 novembre 2004 (motivo 5);

g) riferite al contratto (non indicato specificamente nei termini di cui si è detto) e, in particolare, ad una clausola di esso, l’art. 6, non riprodotta, all’omesso esame di un motivo di appello non meglio indicato attraverso la riproduzione del suo tenore per la parte che interessa, su fotografie genericamente indicate come prodotte in primo grado, all’omesso esame di una domanda ai sensi dell’art. 96 c.p.c., della quale si indica genericamente la formulazione in una memoria difensiva di primo grado senza riprodurne, sempre per quod interest il tenore, (motivo 5.1);

h) riferite ancora alla clausola di cui all’art. 14 del contratto ed inoltre alla c.t.u., della quale non si indica la sede di eventuale produzione in questo grado (in termini, Cass. (ord.) n. 26266 del 2008) e ciò nemmeno con riferimento ad un’eventuale esistenza dell’atto nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo o in quello di primo grado, esistente in eventualmente in esso (siccome hanno recentemente ritenuto ammissibile per gli atti processuali che fanno necessariamente parte del fascicolo d’ufficio le Sezioni Unite nella recentissima sentenza n. 22726 del 2011, ribadendo, tuttavia, che l’onere di indicazione specifica della parte della presenza dell’atto nel detto fascicolo, piuttosto che nel proprio (in copia) non viene meno).

E’ da avvertire che nella parte finale il ricorso indica tra le produzioni fatte con esso al n. 1 la “produzione di primo grado con i documenti indicati nell’indice foliario” e al n. 2 la “produzione di secondo grado con i documenti indicati nell’indice foliario”, ma è palese che i riferimenti nell’esposizione dei motivi alle produzioni di primo e di secondo grado avrebbero dovuto indicare non solo di volersi riferire alla produzione sotto i detti numeri, ma anche specificare a quale criterio di redazione del foliario di esse ci si intendeva riferire.

3. La terza causa di inammissibilità concerne tutti i motivi e riguarda l’assoluta genericità ed astrattezza dei quesiti di diritto con cui essi si concludono quanto alle denunciate violazioni di norme di legge o del procedimento, nonchè la mancanza, riguardo ai vizi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 della c.d. chiara indicazione, cui alludeva l’art. 366-bis c.p.c..

Con riferimento all’astrattezza del quesito di diritto si osserva che l’art. 366-bis c.p.c. quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

I quesiti prospettati con riferimento ai vari motivi risultano privi di qualsiasi riferimento alla decisione impugnata.

In particolare, il motivo IL enuncia il seguente quesito: il canone di locazione per uso diverso da quello abitativo può essere aggiornato annualmente, sin dal secondo anno, su richiesta del locatore per far fronte alle variazioni del potere di acquisto secondo indici istat. L’esistenza delle altre due cause di inammissibilità induce a non riprodurre a fini motivazionali gli altri quesiti, che non si discostano dal modello qui riprodotto.

Inoltre, il motivo 1, non si conclude con alcun quesito.

4. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro milleottocento/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2011

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