Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26717 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. I, 24/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 24/11/2020), n.26717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36721/2018 proposto da:

M.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Busani Chiara, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o umanitaria, proposta dal cittadino (OMISSIS) M.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), il quale ha dichiarato di aver lasciato il (OMISSIS) all’età di tredici anni insieme al padre, segretario locale del partito d’opposizione (OMISSIS), a causa delle minacce e aggressioni subite da persone appartenenti all’opposto partito (OMISSIS), tali da costringerli al ricovero ospedaliero; dopo essere fuggiti in India, egli era andato a lavorare come minorenne per circa due anni in Sudan ed altrettanti in Libia, approdando infine in Italia il 29/07/2016; ha quindi manifestato il timore che, rientrando in (OMISSIS), dove non ha più casa nè famiglia (essendosi padre madre e fratelli trasferiti in India), verrebbe ucciso, non potendo avere protezione dallo Stato, dove è al potere il partito (OMISSIS).

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi (in uno ad istanza cautelare), successivamente corredato da memoria. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Preliminarmente va dichiarata inammissibile l’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività del decreto impugnato, sulla quale questa Corte non è competente a pronunciarsi, poichè il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 attribuisce tale potere in via esclusiva al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato, come già previsto in via generale dall’art. 373 c.p.c., comma 1; d’altronde, dinanzi al giudice di legittimità non potrebbe essere nemmeno impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensiva pronunciato dal giudice di merito, trattandosi di provvedimento non definitivo a contenuto cautelare, in relazione al quale è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (Cass. 11756/2020).

4. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, nonchè difetto di motivazione sulla credibilità del dichiarante.

4.1. La censura è inammissibile perchè concerne valutazioni di merito non adeguatamente censurate.

4.2. Occorre premettere che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U, 33017/2018).

4.3. Nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato sull’inattendibilità del ricorrente supera quel livello minimo costituzionale, avendo il tribunale puntualmente motivato su genericità e contraddizioni del racconto circa le caratteristiche dell’aggressione e delle minacce riferite, sulla dubbia genuinità del certificato medico (OMISSIS) utilizzato come termine di raffronto per la certificata compatibilità tra le cicatrici del ricorrente e il riferito ricovero ospedaliero del (OMISSIS), così come sul contrasto con le informazioni emergenti dall’ulteriore certificato medico italiano, oltre che sul fatto di aver il ricorrente inizialmente fornito generalità diverse.

4.4. Si tratta all’evidenza di valutazioni che integrano apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, non sindacabili in questa sede (ex multis, Cass. 5114/2020, 33858/2019, 3340/2019, 21142/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018), se non rispettando – come non è stato fatto – i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, di tal che il ricorrente ha l’onere di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

4.5. Va dunque applicato il principio per cui è inammissibile un “ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

5. Con il secondo mezzo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), per avere il tribunale trascurato, ai fini della invocata protezione sussidiaria, sia il rischio di subire un grave danno – alla luce delle poco “rassicuranti” notizie desumibili dal sito “(OMISSIS)” della Farnesina – sia l’improbabilità per il ricorrente di ottenere la restituzione del negozio violentemente sottratto al padre o ribellarsi ai soprusi degli oppositori del padre, non essendo in grado l’autorità locale di fornirgli adeguata protezione, come si evince dai rapporti Amnesty International e Human Right Watch del 2016; il tutto omettendo di “calare la vicenda personale del ricorrente nella situazione generale” del (OMISSIS), esercitando i poteri-doveri istruttori officiosi D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8.

5.1. La censura presenta profili di inammissibilità e infondatezza.

5.2. Con riguardo al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b l’inammissibilità del primo motivo sulla ritenuta non credibilità del racconto rende inammissibile la censura sulla ulteriore ratio decidendi in base alla quale il tribunale ha ritenuto che, quand’anche non fosse condivisa la valutazione di non credibilità, non sussisterebbero comunque i presupposti dell’invocata protezione, poichè all’epoca dei fatti il ricorrente (ancora bambino) era rimasto coinvolto solo indirettamente, per l’esposizione politica del padre, il quale però manca dal (OMISSIS) da oltre otto anni, mentre il cugino del padre vive in (OMISSIS) senza problemi, avendo fornito egli stesso al ricorrente i documenti prodotti. Quanto invece alla successiva lett. c), il tribunale ne ha escluso i presupposti sulla base di C.O.I. tratte da plurime fonti qualificate e più aggiornate di quelle allegate dal ricorrente (v. pag. 6 del decreto).

6. Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per non avere il tribunale considerato, ai fini della protezione umanitaria, la dedotta compromissione dei diritti umani fondamentali in (OMISSIS), la particolare vulnerabilità del ricorrente (“acuita dalle violenze subite in patria prima e in Libia poi”) e il suo percorso di integrazione sociale in Italia, compiuto “con successo”.

6.1. La censura merita accoglimento sotto il profilo della falsa applicazione delle norme implicate, salva la sua riqualificazione come censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per i profili motivazionali.

6.2. In primo luogo, il precedente invocato dal tribunale – per cui la credibilità del ricorrente sarebbe requisito imprescindibile anche ai fini della protezione umanitaria (Cass. 26641/2016) – è stato superato dal diverso orientamento per cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevino ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (ex multis, Cass. 10922/2019, 7985/2020, 8020/2020, 2960/2020, 2956/2020).

6.3. Inoltre, il tribunale ha osservato (richiamando il precedente di Cass. 4455/2018) che il positivo percorso di integrazione (anche lavorativa) avviato in Italia “non può di per sè solo essere considerato fattore ostativo all’espatrio”, omettendo però, ai fini della invocata protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – la doverosa “indagine comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio del diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (Cass. Sez. U, 29459/2019), e così trascurando sia l’indagine officiosa sulla lamentata compromissione dei diritti umani in (OMISSIS), sia gli ulteriori fattori di vulnerabilità oggettivamente emersi dalla vicenda (l’abbandono del (OMISSIS) a soli tredici anni, il lavoro minorile prestato in Sudan e Libia, l’approdo in Italia poco dopo il raggiungimento della maggiore età, la mancanza della famiglia e di un’abitazione nel Paese d’origine, oltre che le verosimili conseguenze del trattamento subito in Libia su un ragazzo all’epoca minorenne e non accompagnato), ai fini del riscontro di quei “”seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 1040/2020, 23778/2019, 4455/2018).

7. Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, affinchè rivaluti la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, statuendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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