Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26717 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/10/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 21/10/2019), n.26717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29892-2(117 proposto da:

M.R., nella qualità di erede di WENTER MARINI ELIANA

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOISUE’BORSI 4, presso lo

studio dell’avvocato GAROFALO LUIGI, rappresentato e difeso

dall’avvocato SCUDELLER PIETRO;

– ricorrente –

contro

CASSA DI RISPARNII0 DEL VENETO SPA, in persona del Procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI

15, presso lo studio dell’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BOLONDI MARZIO;

– controricorrente –

contro

D.B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROPERZIO 27,

presso lo studio dell’avvocato RANNI MARCO, rappresentato e difeso

dagli avvocati COLUCCI MASSIMO, CESCATO LUCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1050/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI

ENRICO.

Fatto

RILEVATO

Che:

W.M.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Treviso D.B.L. e Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. chiedendo la condanna alla restituzione della somma di Euro 403.400,00 corrispondente all’importo complessivo di prelevamenti illegittimamente operati sui conti dell’attrice, oltre il risarcimento del danno. Il Tribunale adito accolse la domanda nei limiti dell’importo di Euro 122.000,00. Avverso detta sentenza proposero appello principale F.E., quale procuratrice della W.M., ed incidentale D.B.L. e Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.. Con sentenza di data 17 maggio 2017 la Corte d’appello di Venezia accolse parzialmente l’appello principale, condannando gli appellati alla restituzione della maggior somma di Euro 308.400,00.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che due delle singole operazioni poste in essere non erano direttamente riconducibili all’intestataria dei conti, bensì al precedente procuratore generale M.N., ed in particolare il prelievo di Euro 45.000.00 e quello di Euro 50.000,00, in relazione al quale, ai fini dell’antiriciclaggio, risultavano essere stati identificati da parte del cassiere sia il M. che, come secondo operatore, la W..

Ha proposto ricorso per cassazione M.R., nella qualità di erede di W.M.E., sulla base di due motivi e resistono con distinti controricorsi ciascuna delle parti intimate. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la corte territoriale ha apoditticamente misconosciuto la circostanza che su tutta la documentazione, ivi compresi i due prelievi di Euro 45.000.00 e di Euro 50.000,00, mancava una firma di quietanza che potesse dirsi tale, ed in particolare, con riferimento ai due prelievi in questione, al posto della firma di quietanza vi era appostato il nome Dal Bo (solo sulla distinta di versamento precedente il secondo prelievo, aggiunge il ricorrente, sembrerebbe vi fosse la sigla di M.N.).

Il motivo è inammissibile. A prescindere dal mancato assolvimento dell’onere di indicazione delle ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, trattandosi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348-ter c.p., comma 5, (Cass. n. 26774 del 2016, n. 19001 del 2016 e n. 5528 del 2014), il vizio di motivazione risulta denunciato in modo irrituale. Va infatti rammentato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). L’onere di specifica indicazione di tali elementi, con riferimento ai moduli di prelievo, non risulta assolto dal ricorrente, essendosi costui limitato ad eseguire indicazioni solo con riferimento alla relazione di CTU.

E’ appena il caso di aggiungere che il contenuto della censura mira alla rivisitazione del giudizio di fatto del giudice di merito, che è stato nel senso della riconducibilità delle due operazioni non all’intestataria dei conti, bensì al precedente procuratore generale M.N., giudizio che come tale non può essere mutato nella presente sede di legittimità. Peraltro il ricorrente ha riportato a pag. 7 del ricorso, a comprova dei motivi di censura, un passaggio della comparsa di costituzione in primo grado, nel quale si affermerebbe che tutte le somme che si assumono essere state sottratte sarebbero state corrisposte all’attrice, passaggio che è stato già valutato dal giudice di appello (pp. 13-14).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il Dal Bo ha sostanzialmente ammesso che tutti i moduli di prelevamento erano stati da lui fatti firmare in bianco, come del resto risultante dagli accertamenti tecnici, e che l’eccezione di consegna di tutti gli importi alla W., ivi compresi quindi gli importi di cui ai prelievi di Euro 45.000.00 e di Euro 50.000,00, è rimasta indimostrata.

Il motivo è inammissibile. Benchè formulata in termini di violazione di legge, la censura attiene in modo chiaro ed evidente al giudizio di fatto, che è profilo sindacabile nella presente sede di legittimità solo nelle forme della rituale denuncia di vizio di motivazione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di Da.Bo.Lu., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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