Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26716 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 02/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23115-2016 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE AGRIGENTO, elettivamente domiciliata in

ROMA VIALE ANGELICO, 78, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

IELO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLA PERITORE;

– ricorrente –

contro

A.C., R.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE SANTA TERESA 23, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

GRIMALDI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANCARLO GRECO;

– controricorrenti –

e contro

R.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1494/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’azienda USL (OMISSIS) di Agrigento citava in giudizio davanti il Tribunale di Palermo, R.P., A.C. e R.M. chiedendo di accertare il suo diritto di proprietà esclusiva su un immobile sito in (OMISSIS), piano primo in catasto alla partita (OMISSIS). A tal fine esponeva che l’immobile le era pervenuto per successione di G.G., deceduto in (OMISSIS) giusto testamento olografo regolarmente pubblicato. L’immobile inizialmente devoluto all’ospedale civile G. di (OMISSIS), in forza di successivi trasferimenti disciplinati dalle normative statali e regionali, era stato acquisito al patrimonio dell’azienda sanitaria attrice. Tale immobile era occupato arbitrariamente dai convenuti, poichè il loro dante causa aveva iniziato a detenerlo in forza di un contratto di locazione e i convenuti da molti anni non avevano provveduto a pagare i canoni e non avevano posto in essere atti di interversione del possesso.

1.1 Si costituivano i convenuti che contestavano la fondatezza della domanda e deducevano che l’immobile era stato posseduto prima da L.R. e, successivamente, dalla figlia A.C. e che non era mai stato stipulato alcun contratto di locazione. A.C. proponeva domanda riconvenzionale di usucapione dell’immobile, deducendo il proprio possesso per oltre vent’anni.

2. Il Tribunale rigettava la domanda principale senza statuire alcunchè in ordine alla domanda riconvenzionale dell’ A..

3. L’azienda sanitaria proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione confermando la sentenza di primo grado.

Il giudice del gravame qualificava la domanda come rivendica traendone la conclusione che l’attore era soggetto ad un rigoroso onere probatorio, dovendo dimostrare la sussistenza del proprio diritto di proprietà anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione. Tale onere rigoroso non era attenuato per il fatto che la controparte aveva proposto domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione.

Nella specie risultava ampiamente documentata attraverso i richiami normativi e la produzione dei provvedimenti rilevanti, la continuità dei titoli formali del diritto dominicale del dante causa dell’odierna appellante. Mancava tuttavia la prova della continuità del possesso dal primo dante causa attraverso successivi atti per un tempo utile ai fini dell’usucapione. Non vi era prova di un godimento diretto da parte dell’azienda sanitaria locale, nè dei suoi danti causa. Non risultava neppure dedotto un possesso corpore et animo, cioè un godimento materiale ed effettivo dell’immobile, nè un possesso mediato attraverso il rapporto di locazione che secondo le deduzioni dell’appellante sarebbe intercorso tra il G. (e i suoi successori) e i danti causa degli odierni appellanti, in particolare A.C.. Dopo l’acquisizione al patrimonio dell’ospedale del lascito del defunto G.G. e l’accettazione dell’eredità, l’ospedale aveva intrapreso un contenzioso con gli altri eredi nel corso del quale era stato disposto il sequestro giudiziario dell’eredità e la nomina di un custode giudiziario. L’appellante aveva prodotto l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 18 agosto 1965 che aveva disposto il sequestro giudiziario, nonchè due fogli provenienti da rendiconti resi dal custode giudiziario nel quale era riportato quanto riscosso da quest’ultimo in relazione all’edificio in oggetto. Tali documenti non erano sufficienti per poter provare che A.C. o la sua dante causa, L.R., fossero conduttori dell’immobile. Non ricorreva nella specie alcun elemento dal quale potesse ricavarsi l’esistenza del rapporto di locazione tra le parti e i loro danti causa e, quindi, non poteva ritenersi provato il possesso mediato da parte dell’azienda sanitaria appellante, in modo da integrare il possesso utile all’usucapione.

5. L’azienda sanitaria provinciale di Agrigento subentrata all’azienda sanitaria locale n. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

6. R.P. e A.C. hanno resistito con controricorso.

7. La ricorrente con una breve memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto storico risultante dagli atti, oggetto di contestazione ed avente carattere dirimente, ossia il subentro di A.C. nella detenzione esercitata dai propri genitori.

La Corte d’Appello avrebbe del tutto tralasciato di considerare che il suddetto subentro di A.C. era circostanza del tutto pacifica da un punto di vista materiale e non contestata. Le prospettazioni delle parti nella causa, infatti, divergevano solo in ordine alla natura giuridica di tale subentro che per i convenuti era una successione nel possesso, mentre per la ricorrente era una detenzione legittimata dal rapporto locativo. La Corte, dunque, avrebbe valutato le risultanze documentali senza tener conto della circostanza di tale materiale subentro e, dunque, non avrebbe tenuto conto del verbale di sottoposizione a sequestro dal quale risultava chiaramente la qualifica di sub-conduttore di A.G. come risultava anche dalle annotazioni contenute nel rendiconto.

Per questo motivo la Corte aveva ritenuto carente la prova della continuità del possesso in capo agli enti danti causa dell’azienda sanitaria, invece, una volta accertata l’esistenza del rapporto locativo del quale era in origine titolare il G., poi proseguito nelle forme dell’amministrazione giudiziaria, fino alla soluzione delle controversie ereditarie avutasi nel 1980, dovrebbe necessariamente concludersi che i soggetti danti causa della ricorrente avevano posseduto l’immobile esercitando le prerogative domenicali che ne avevano derivato la disponibilità, esercitando una detenzione idonea all’usucapione.

1.2 L’unico motivo di ricorso è inammissibile.

Il fatto storico del subentro di A.C. nella materiale disponibilità dell’immobile in contestazione è stato ampiamente valutato dalla Corte d’Appello che ha escluso che si trattasse di un subentro in un rapporto di locazione che non risultava in alcun modo provato.

La Corte d’Appello ha ampiamente motivato anche in ordine alla documentazione indicata dai ricorrenti. In particolare, si legge nella sentenza impugnata che il verbale del sequestro giudiziario, nonchè i due fogli provenienti dai rendiconti resi dal custode giudiziario, non erano sufficienti per provare che A.C. o la sua dante causa, L.R., fossero conduttori dell’immobile.

In altri termini la Corte d’Appello ha ritenuto che la suddetta documentazione prodotta dalla ricorrente non provava che A.C. o la sua dante causa, L.R., fossero conduttori dell’immobile. Non ricorreva nella specie alcun altro elemento dal quale potesse ricavarsi l’esistenza di un rapporto di locazione tra le parti e i loro danti causa e, quindi, non poteva ritenersi provato il possesso mediato da parte dell’azienda sanitaria appellante, in modo da integrare il possesso utile all’usucapione.

La ricorrente indica come fatto storico decisivo il subentro di A.C. nella detenzione del bene rispetto alla madre L.R., ma tale fatto storico oltre ad essere stato ampiamente esaminato dalla Corte d’Appello non assume un rilievo decisivo una volta esclusa la sussistenza del rapporto locativo.

Infine, con riferimento all’omesso esame dei rendiconti del custode giudiziario, come si è detto, la Corte d’Appello li ha ampiamente esaminati e, dunque, non vi è stato alcun omesso esame degli stessi e la censura si risolve nella richiesta di rivalutazione degli elementi di merito acquisiti alla causa, al fine di pervenire a un apprezzamento dei fatti e delle prove diverso da quello operato dalla Corte d’Appello che ha escluso che gli stessi provassero il rapporto locatizio.

2. In conclusione, l’unico motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 più 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

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