Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26716 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 22/12/2016, (ud. 01/12/2016, dep.22/12/2016),  n. 26716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6004/2010 proposto da:

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato ANGELA RAIMONDO, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

GS SPA;

– intimato –

nonchè da:

GS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA VENTIQUATTRO MAGGIO 43, presso

lo studio dell’avvocato CORRADO GRANDE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3/2009 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 22/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RAIMONDO che ha chiesto

l’accoglimento e deposita in udienza una cartolina di ricevimento

A/R;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con sentenza n. 3/37/09, pronunciata il 15/12/2008 e depositata il 22/1/2009, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva, per quanto di ragione, l’appello proposto dal Comune di Roma avverso la sentenza n. 77/16/07, della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso di GS s.p.a. avente ad oggetto la cartella di pagamento riguardante la tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), riferita all’anno 2000, per i locali adibiti a supermercato siti in (OMISSIS) (località (OMISSIS)), e dichiarato la contribuente tenuta al pagamento del tributo nella misura ridotta di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 2.

Il Giudice di appello osservava, in particolare, che la decisione di primo grado non era corretta atteso che nel contesto fattuale risultante dalle risultanze probatorie acquisite nel giudizio di primo grado, in cui il Comune di Roma era rimasto contumace, dovesse trovare applicazione il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 1 e 4, disposizione secondo la quale “nelle zone in cui non è effettuata la raccolta in regime di privativa dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati ovvero il servizio, ancorchè istituito ed attivato, non è svolto nella zona in cui si trova l’immobile a disposizione dell’utente o è effettuato con grave violazione delle prescrizioni stabilite nel regolamento comunale, il tributo è dovuto in misura non superiore al 40% della tariffa, da determinare in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante in zona perimetrata o di fatto servita”.

La CTR dichiarava, quindi, tenuta la società al pagamento del tributo in misura ridotta.

Avverso la sentenza il Comune di Roma propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso e ricorso incidentale.

Diritto

IN DIRITTO

Il Comune ricorrente deduce, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, commi 1 e 2, giacchè la CTR ha ritenuto irrituale il deposito, in grado di appello, della nota dell’AMA datata 27/7/2007, senza considerare che, quand’anche tale produzione documentale fosse da considerarsi tardiva, nulla avrebbe impedito al giudicante di fondare la decisione di secondo grado sul contenuto della nota in questione. Conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica “se a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, sia ammissibile la produzione davanti alla Commissione Tributaria regionale di un documento cartaceo, indipendentemente dalla circostanza dell’impossibilità incolpevole dell’interessato di produrlo in primo grado; requisito, quest’ultimo, non richiesto dall’art. 58. Da ciò consegue che costituisce erronea applicazione della norma in parola l’affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio di appello risulta illegittima”.

La censura è fondata alla stregua dell’uniforme orientamento di questa Corte – avvalorato dal dato normativo testuale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 – in ordine alla specialità del rito tributario, che non consente un automatico rinvio formale all’art. 345 c.p.c., ed alle condizioni, ivi previste, di ammissibilità di nuove prove documentali in grado di appello (Cass. n. 20109/2012; n. 18907/2011; n. 1915/2007).

Il richiamato art. 58, comma 2, infatti, espressamente prevede e consente la produzione di nuovi documenti in appello, con la conseguenza che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in grado d’appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorchè preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 3661/2015), a nulla rilevando l’eventuale irritualità della loro produzione in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 23616/2011).

Orbene, la CTR del Lazio non ha fatto corretta applicazione delle norme processuali invocate dall’allora parte appellante allorchè ha ritenuto non valutabile il documento in questione, in quanto prodotto solo in grado di appello, atteso che, va qui ribadito, “il giudice d’appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purchè acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui all’art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall’art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado” (Cass. n. 3661/2015; 22776/2015).

Deduce, con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, giacchè la CTR ha erroneamente ritenuto che nell’anno 2000 il servizio di raccolta dei rifiuti non fosse effettuato dal Comune poichè, in realtà, la società contribuente non si era avvalsa del servizio di raccolta, affidandolo a terzi, per propria ed autonoma scelta, ipotesi che non consente la riduzione della tariffa, bastando la possibilità di fruire e non la effettiva fruizione del servizio. Conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica “se non spetti la riduzione del 40% prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, quando il contribuente non si sia avvalso del servizio di raccolta e che lo abbia affidato a soggetti terzi in virtù di un’autonoma scelta che non può esonerare il soggetto passivo dall’obbligazione tributaria, contrariamente a quanto assunto dalla CTR”.

Giova ricordare che, secondo un insegnamento assolutamente pacifico di questa Corte, formatosi proprio in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 2 e 4, “se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non viene svolto nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente, o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni dei regolamento comunale sul servizio di nettezza urbana, il tributo è ugualmente dovuto, ma in misura ridotta, non superiore al 40 per cento, da determinare in relazione alla distanza del più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita” (Cass. n. 6312/2005; n. 19653/2003).

Il problema, quindi, si sposta sul piano eminentemente fattuale dell’accertamento dello svolgimento o meno del servizio, ovvero dell’effettuazione dello stesso in grave violazione delle prescrizioni del regolamento comunale.

Il Comune ricorrente sostiene che il Giudice di secondo grado abbia applicato erroneamente l’ultima parte del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 2, perchè la contribuente, ubicata all’interno del territorio nel quale esso ente svolge il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, come peraltro riportato nella nota AMA sopra esaminata, disponeva nell’anno 2000 di due cassonetti “regolarmente svuotati, anche se in diverse occasioni tale operazione è stata ostacolata dal conferimento non regolamentare di rifiuti ad opera di altri”, cassonetti portati a dodici a partire del maggio 2001 nel Centro Commerciale (OMISSIS) che comprende lo stesso utente, che sono oggetto di un servizio a pagamento extra Ta.Ri. anch’esso regolarmente svolto dalla… Azienda”.

Orbene, il motivo di impugnazione è inammissibile in quanto le circostanze di fatto sulle quali il ricorrente fonda la prospettata valutazione del materiale probatorio operata dalla CTR, che costituisce monopolio del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità negli stretti ambiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono state qui lumeggiate con modalità non idoneamente autosufficienti, non risultando esplicitato il rapporto di causalità tra l’omessa considerazione del documento in questione e la soluzione giuridica della controversia oggetto di impugnazione, con giudizio di certezza che invece la sua corretta considerazione avrebbe comportato una decisione diversa.

Infatti, la circostanza che il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti fosse svolto regolarmente è frutto di una affermazione apodittica del Comune, non seguita da alcuna dimostrazione circa la decisività della nota AMA non considerata dalla CTR, nè l’efficacia dimostrativa dell’adeguatezza e regolarità del servizio medesimo emerge all’evidenza dalla nota AMA, che pure riferisce del mancato svuotamento “in diverse occasioni” dei due cassonetti posizionati nella zona di riferimento e dell’incremento significativo del loro numero e capacità, a partire dal maggio 2001, circostanze che prima facie contrastano con la capacità di condurre necessariamente ad un esito diverso della controversia genericamente attribuita dal ricorrente al documento in questione.

Deduce la società GS, con il ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

Osserva la contribuente che la CTR ha fatto derivare l’obbligo di pagamento della TARSU, seppure in misura non superiore al 40% della tariffa, dalla mera supposizione che l’attività di smaltimento in discarica riguardasse “verosimilmente” il quantitativo di rifiuti non oggetto di riutilizzo, non essendo dato sapere se le imprese all’uopo incaricate di ritirare i rifiuti da avviare a discarica, come da fatture versate in atti, fossero anche autorizzate allo smaltimento in discarica degli stessi. Evidenzia la società GS che le risultanze probatorie, ove correttamente valutate, avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione, in quanto esse dimostrano che, nel corso del 2000, la contribuente non ha usufruito nè del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, nè tantomeno dell’attività di smaltimento, curata dai soggetti incaricati del trasporto e trattamento del trascurabile quantitativo di rifiuti non oggetto di riutilizzo.

La censura va dichiarata inammissibile.

Va ricordato che il ricorrente il quale lamenti una omessa od insufficiente motivazione da parte del giudice di merito ha l’onere (Cass., 3, 9 dicembre 2002 n. 17486) di indicare quale circostanza processuale (factum probans) il giudice di merito abbia trascurato, ovvero per quale motivo logico-giuridico la ricostruzione del fatto ignoto (factum probandum) data dal giudice di merito sia carente perchè ove si limiti a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, la censura si risolve inammissibilmente sulla richiesta di un riesame del merito;

Il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, infatti, non conferisce a questa Corte il potere di esaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sul piano logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Ed è su questa ratio decidendi che si regge la decisione impugnata, mentre la società GS si limita a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, senza accompagnare la censura con l’indicazione delle prove il cui omesso o inadeguato esame avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione.

Le spese processuali del presente giudizio vanno integralmente compensate tra le parti attesa la reciproca soccombenza.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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