Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26714 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 02/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10678-2016 proposto da:

B.A., B.G., B.R.,

B.T., B.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA A. SECCHI 9, presso lo studio dell’avvocato VALERIO ZIMATORE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA PROCOPIO;

– ricorrenti –

contro

S.F., S.A., SA.AN., eredi M.N.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO FRATI 7, presso lo

studio dell’avvocato PIER GIUSEPPE ALFARANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato GAETANO CARNA’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 136/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 24/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.N. conveniva in giudizio Mu.Ma. per accertare la nullità di due contratti stipulati il 21 marzo 1968 e il 18 luglio 2001 relativi ad un terreno sito nel Comune di (OMISSIS) di proprietà dell’opera per la valorizzazione della Sila concedente il diritto di riservato dominio. Si costituiva la convenuta che proponeva domanda riconvenzionale al fine di ottenere l’adempimento della scrittura privata del 2001, il risarcimento dei danni e il pagamento delle somme corrispondenti ai miglioramenti apportati al fondo e in via di eccezione riconvenzionale chiedeva accertarsi l’usucapione sul fondo conteso.

2. Il Tribunale di Locri accoglieva la domanda attorea e dichiarava la nullità dei contratti del 21 marzo 1968 e del 18 luglio 2001.

3. Mu.Ma. proponeva appello avverso la suddetta sentenza. Si costituiva M.N. e proponeva appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale.

4. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione principale e dichiarava inammissibile quella incidentale.

In particolare, la Corte d’Appello evidenziava la nullità della scrittura del 21 marzo 1968 perchè sottoscritta con un segno di croce da M.R., padre della parte appellata, e la nullità della scrittura del 18 luglio 2001, in quanto atto che presupponeva la validità della precedente scrittura del 1968 in relazione all’effetto traslativo della permuta e, dunque, costituendo la scrittura privata del 2001 parte della medesima operazione negoziale.

La Corte d’Appello, infatti, nel ricostruire l’intera vicenda, evidenziava l’assetto complessivo dell’operazione che aveva inizio con una permuta avente ad oggetto l’immobile di proprietà della Mu. con un fondo assegnato alla M.. Successivamente era emerso da parte dell’ente proprietario del fondo assegnato alla M. che vi era una forte divergenza di valore per il carattere edificatorio del terreno e, dunque, la permuta si era ridotta ad una sola parte del fondo assegnato alla M., con altra permuta del 1969. Con la scrittura del 2001, le parti senza fare alcun riferimento alla successiva permuta del 69 e citando invece espressamente solo quella del 1968, si davano atto della corresponsione della somma di Lire 2.526.080 con le quali M.N. poteva far fronte al pagamento della cartella esattoriale concernente l’imposta relativa alla successione paterna. Seguiva il riconoscimento da parte di quest’ultima della proprietà della particella n. (OMISSIS) in capo all’appellante per effetto della permuta del 1968 con l’impegno a porre in essere tutte le attività necessarie per effettuare il riscatto del terreno. Rilevava la Corte d’Appello che la scrittura del 2001, presupponeva la precedente del 1968 e su di essa fondava l’impegno assunto da M.N., sicchè una volta esclusa la validità e l’efficacia dell’atto presupposto veniva necessariamente meno il fondamento di un impegno contrattuale non solo assunto sul presupposto della piena operatività della permuta del 68 ma volto ad adempiere all’impegno ivi preso. Il rapporto tra i due atti stipulato a distanza di oltre trent’anni ma costituenti parte di un’operazione unitaria implicava che, stipulato invalidamente il primo, anche il secondo, volto a perfezionare l’operazione di scambio degli immobili, dovesse essere travolto dalla dichiarazione di nullità.

Il rigetto del primo motivo dell’appello principale comportava l’assorbimento dei successivi di adempimento e di condanna al risarcimento del danno formulate con riferimento agli obblighi assunti dall’appellata con la sottoscrizione dell’atto più recente. Doveva, invece, rigettarsi il motivo di appello relativo al rigetto dell’eccezione riconvenzionale di usucapione e quello relativo al rigetto della domanda di indennizzo per i miglioramenti apportati al fondo. Con riferimento all’eccezione di usucapione il fondo già acquisito dall’opera della valorizzazione della Sila e quindi assoggettato alla relativa legislazione vincolistica non era suscettibile di acquisizione da parte dei terzi per usucapione. Allo stesso modo l’indennizzo per i miglioramenti doveva essere rivolto nei confronti dell’ente proprietario e in ogni caso era del tutto sfornito di prova.

5. B.R., B.L., B.A. e B.G. in proprio e in qualità di eredi di Mu.Ma. hanno proposto ricorso per cassazione Avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.

6. S.F., S.A., Sa.An. (in qualità di eredi di M.N.) si sono costituite con controricorso.

7. Entrambe le parti con memorie depositate in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. per l’errata interpretazione della comune intenzione delle parti, ed errata valutazione e qualificazione dell’oggetto della causa della scrittura privata del 18 luglio 2001 alla luce del senso complessivo di tutte le clausole dei contratti degli anni 1968, 1969 e 2001.

I ricorrenti ritengono che i giudici di merito si siano arrestati al senso letterale della scrittura privata del 2001 e non abbiano applicato la regola ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c., indagando la comune intenzione delle parti. Dal complesso della scrittura privata riportata integralmente in ricorso emergerebbe, a parere del ricorrente, che la signora M. volesse trasferire in capo alla dottoressa Mu. il terreno oggetto della scrittura medesima, anche per evitare di pagare l’importo della cartella esattoriale notificata relativamente allo stesso terreno. Vi erano, dunque, sostanziali differenze tra il contratto del 1968 e quello del 2001 e l’effetto della nullità derivata non poteva essere ravvisato, essendovi una nuova e diversa valutazione di interessi negoziali da parte dei contraenti. In particolare, la signora M. evidenziava di non essere in grado di far fronte al pagamento della cartella esattoriale e per questo riconosceva in capo alla Mu. la piena proprietà del terreno, manifestando la volontà di trasferire in via del tutto autonoma e indipendente il suddetto bene immobile.

Inoltre, evidenziano i ricorrenti che i due contratti hanno oggetto e cause differenti. In particolare, la scrittura privata del 1968 ha ad oggetto l’intera frazione B della particella 84 ed ha come causa, la permuta di due terreni. Mentre al contrario la scrittura privata del 2001 ha ad oggetto solo una parte della sezione B della particella 84 e ha come causa non più la permuta già avvenuta ma una nuova e diversa permuta oltre al pagamento da parte della Mu. della somma necessaria per l’estinzione del debito di M.N. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate con il trasferimento della restante parte della frazione (OMISSIS) della particella (OMISSIS).

1.2 Il primo motivo di ricorso è infondato.

Deve premettersi che in materia di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poichè, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. In altri termini, il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (ex plurimis Sez. L, Sent. n. 18375 del 2006).

Inoltre in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Sez. 1, Sent. n. 15471 del 2017).

Nella specie, la Corte d’Appello ha ritenuto di condividere le conclusioni del giudice di primo grado relativamente al collegamento negoziale della scrittura del 18 luglio 2001 con quella del 1968 dichiarata nulla. In particolare, il giudice del gravame, dopo aver minuziosamente ricostruito la complessiva operazione di permuta a partire dal 1968, ha ritenuto che la scrittura del 2001 presupponesse la precedente del 1968 e che su di essa si fondasse l’impegno assunto dalla controricorrente, come risultava anche dal dato testuale dal quale risultava che le parti ritenevano come già prodotto l’effetto traslativo derivante dalla scrittura privata di permuta del 1968.

La ricostruzione alternativa offerta dai ricorrenti trova i limiti sopra indicati in tema di interpretazione della volontà negoziale, in quanto l’interpretazione fatta dai giudici di merito è non solo plausibile, ma anche ampiamente motivata, conforme al tenore letterale della scrittura, come del resto riconosciuto dallo stesso ricorrente, e rispondente allo scopo pratico perseguito dalle parti e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass. 23 maggio 2011 n. 11295).

Nessun vizio del ragionamento o errore di diritto può addebitarsi alla Corte d’Appello in relazione ai criteri ermeneutici utilizzati nella ricostruzione della volontà delle parti compresi quelli dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione art. 1338 c.c. per rigetto della domanda di risarcimento danni causati dalla nullità della scrittura privata del 2001.

I ricorrenti lamentano l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto superato il motivo di appello relativo alla richiesta di risarcimento danni che invece doveva essere accoltoi dato che la M. era a conoscenza della nullità della scrittura privata.

Nel secondo motivo di appello era espressamente richiesto il risarcimento del danno quantificabile nel valore dell’immobile che l’attrice si era impegnata ad acquistare e trasferire.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 1366 e 2043 c.c. per rigetto della domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale ed extra contrattuale. Mancata interpretazione secondo buona fede. In alternativa al secondo motivo i ricorrenti eccepiscono l’erroneità del rigetto della domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale della M. per avere dato luogo alla nullità delle scritture private provocato un danno ingiusto ingente.

3.1 Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

In entrambi i casi le censure presuppongono una domanda di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale o precontrattuale che non risulta affatto proposta dalla ricorrente che aveva chiesto in via riconvenzionale l’adempimento della scrittura del 2001 e il risarcimento per inadempimento contrattuale, domanda che non poteva essere accolta a seguito della declaratoria di nullità del contratto.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

I ricorrenti non indicano in quale atto era stata formulata richiesta di risarcimento del danno derivante dalla nullità del contratto e non dall’inadempimento. Il secondo motivo di appello è riportato nel ricorso solo in minima parte (pag. 15) e sembra riferirsi alla richiesta di risarcimento del danno per inadempimento, senza alcun riferimento agli artt. 1338,1366 e 2043 c.c.. Peraltro, nel provvedimento impugnato si legge espressamente che la domanda di condanna al risarcimento del danno era formulata con riferimento agli obblighi assunti dall’appellata con la sottoscrizione della scrittura privata del 2001.

In ogni caso, a fini nomofilattici, deve richiamarsi il seguente principio di diritto: “La responsabilità ex art. 1338 c.c., che costituisce una specificazione della responsabilità precontrattuale di cui all’articolo precedente, presuppone non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità” (Sez. L, Sent. n. 16508 del 2004). Nel caso di specie, i ricorrenti non indicano alcun elemento da cui desumersi la sussistenza dell’uno o dell’altro dei due presupposti richiesti in tema di responsabilità ex art. 1338 c.c.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del 1967, artt. 4 e 10 e della L. n. 230 del 1950, art. 18. Illegittimità e rigetto dell’eccezione riconvenzionale di usucapione e della domanda subordinata di indennizzo per miglioramenti.

Secondo i ricorrenti, a seguito della riforma avvenuta con L. n. 386 del 1976, il terreno doveva considerarsi di proprietà di M. essendo trascorsi 15 anni dall’assegnazione avvenuta nel 1959 ed essendo stata pagata la quindicesima annualità pertanto il terreno era usucapibile e l’eccezione riconvenzionale di usucapione non poteva essere rigettata, anche perchè riv a nei confronti di M.N. e non dell’ente Opera per la Valorizzazione della Sila. Per lo stesso motivo la domanda di indennizzo per i miglioramenti doveva essere accolta.

4.1 il quarto motivo di ricorso è infondato.

La tesi dei ricorrenti secondo cui il terreno dopo il pagamento della quindicesima mensilità era usucapibile è infondata.

Si è consolidato, infatti, il seguente diverso indirizzo interpretativo: “I terreni acquisiti al patrimonio degli enti di sviluppo, destinati al servizio pubblico di ridistribuzione della proprietà terriera, per trent’anni dalla prima assegnazione sono assoggettati al regime del patrimonio indisponibile non abrogato dalla L. 10 maggio 1976, n. 346 – e perciò non sono usucapibili, pur se affrancati ai sensi della L. 30 aprile 1976, n. 386 o riscattati ai sensi della L. 29 maggio 1967, n. 379, art. 1 neppure dall’ente assegnante o dai coltivatori diretti o da altri manuali coltivatori della terra, ai quali invece sono alienabili, a norma dell’art. 4 di quest’ultima legge” fino al termine del trentesimo anno dalla data della prima assegnazione””. (Sez. 2, Sent. n. 5227 del 1998).

La sentenza impugnata è pienamente conforme al sopra indicato principio di diritto. Peraltro, la Corte d’Appello aveva anche evidenziato che l’ente assegnante aveva invitato l’erede dell’originaria assegnataria a pagare il residuo debito ai fini della cancellazione del riservato dominio e della definitiva acquisizione del fondo, anche perchè l’originaria permuta non aveva avuto l’avallo dell’ente proprietario, salvo la successiva riduzione della porzione di fondo ceduta.

Quanto alla domanda di indennizzo per i miglioramenti, sulla base delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi corretta la ritenuta mancanza di legittimazione passiva in capo alla M., sicchè diviene irrilevante la censura avente ad oggetto la ritenuta valenza solo esplorativa della consulenza tecnica a fronte della richiesta anche di prova testimoniale. Infatti quando la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’infondatezza o l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata infondata o inammissibile (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 2108 del 2012).

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2300 più 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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