Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26708 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 02/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10499-2016 proposto da:

G.S., G.C., domiciliati in ROMA presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi

dall’avvocato PAOLO STARVAGGI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.S., in proprio e quale procuratrice generale di

A.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE N 237, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA NOCIFERA,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE PRINCIOTTA, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 122/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/10/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie della controricorrente.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

A.S., in proprio e quale procuratrice della sorella A.M.C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Patti G.C. e S., chiedendo la condanna all’immediato rilascio del fondo sito in (OMISSIS), loro pervenuto per successione del padre A.B..

Deducevano che alla morte del padre, C.G., che lo conduceva in mezzadria, aveva rinunciato al diritto e rilasciato il fondo che era stato accorpato all’azienda agricola che le attrici conducevano direttamente.

Era stato quindi concluso in data 18/11/1993 un contratto per effetto del quale G.S. si impegnava all’acquisto degli ortaggi che le A. avrebbero coltivato sul fondo in oggetto; tuttavia i convenuti si erano immessi nel fondo estirpando il pereto ed il pescheto, chiedendo al Tribunale di Patti – Sezione Specializzata agraria di accertare la simulazione del detto contratto ed il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di affitto.

Sebbene tale domanda fosse stata rigettata, i convenuti erano rimasti nell’illegittimo godimento del bene del quale le attrici chiedevano il rilascio con la condanna anche al risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti che contestavano la domanda ed in via riconvenzionale chiedevano la condanna delle attrici al pagamento di un’indennità per i miglioramenti apportati al fondo.

Riassunto il giudizio, che era stato sospeso in attesa della decisione della Corte di Cassazione sulla domanda di riconoscimento del rapporto di affitto agrario proposto dai convenuti, il Tribunale con sentenza n. 167 del 23/5/2013 accoglieva la domanda, con la condanna dei convenuti al rilascio del fondo, oltre al risarcimento dei danni quantificati in Euro 40.000,00.

I G. proponevano appello, cui resistono le sorelle A. e la Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 122 del 26 febbraio 2015, in parziale riforma della sentenza disponeva unicamente che gli interessi sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno decorressero dalla scadenza delle singole annualità di occupazione del fondo.

Disattesa l’eccezione di competenza arbitrale fondata sulla previsione di cui alla clausola n. 12 della scrittura privata del 18 novembre 1993, atteso che si trattava di un contratto di natura commerciale che non incideva sul godimento del bene, riteneva altresì infondato il motivo di appello che investiva la corretta identificazione delle particelle di cui era stato ordinato il rilascio e ciò in quanto l’erronea indicazione di cui all’iniziale atto di assegnazione al dante causa delle A. era stata poi corretta con successivo atto di rettifica.

Erano disattesi anche il terzo ed il quarto motivo di appello in quanto l’inesistenza di un rapporto di affitto agrario, a seguito della rinuncia alla mezzadria, era oggetto di pronuncia passata in cosa giudicata, e senza che la detta scrittura del 1993 fosse idonea a dare vita ad un nuovo rapporto agrario.

Anche il quinto motivo era disatteso in quanto introduceva una questione nuova, e come tale inammissibile, in merito al fatto che una particella oggetto di casa costituiva suolo trazzeale, questione nuova preclusa in grado di appello.

In ordine al sesto motivo di appello, la sentenza rilevava che non poteva accedersi alla tesi secondo cui G.C. avesse rinunciato solo alla mezzadria e non anche al rapporto di affitto, in quanto il riferimento a quest’ultimo contenuto in una dichiarazione sottoscritta dal dante causa delle attrici era spiegabile in ragione dell’utilizzo improprio del termine, intendendosi con lo stesso in ogni caso designare l’unico rapporto in passato intrattenuto con il G..

Disatteso il settimo motivo di appello che investiva la determinazione dei danni scaturenti dalla mancata fruttificazione del fondo in conseguenza dell’occupazione (e ciò anche alla luce del fatto che la scrittura del 1993 evidentemente attribuiva alle A. il diritto di continuare a coltivare il bene), rigettato anche l’ottavo motivo in quanto la domanda risarcitoria delle istanti aveva un ampio contenuto tale da comprendere anche il danno correlato al mancato guadagno, era accolto solo il nono motivo, in quanto gli interessi legali riconosciuti sulle somme spettanti a titolo di risarcimento alle attrici non potevano che decorrere dalle singole scadenze della annualità in cui si era protratta l’occupazione del bene.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso G.C. e G.S. sulla base di nove motivi.

Le intimate resistono con apposito controricorso ed hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto tardivo.

La difesa delle controricorrenti ha dedotto che la sentenza impugnata è stata notificata presso lo studio del difensore in grado di appello degli odierni ricorrenti, avv. Pietro Carrozza, in (OMISSIS) (ove risulta avevano anche eletto domicilio) in data 16/3/2015, avendo prodotto in atti copia della sentenza di appello con le relative relate di notifica.

In considerazione di tale data, da cui decorre il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. comma 2, il ricorso risulta invece essere stato notificato solo in data 12/4/2016, palesandosi quindi tardivo.

Va peraltro osservato che sebbene la sentenza sia stata notificata, come appunto documentato dalle controcorrenti e sebbene i ricorrenti non abbiano adempiuto alla prescrizione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, presidiata dalla sanzione dell’improcedibilità del ricorso, tuttavia non è dato pervenire a tale definizione in rito, atteso quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 10648/2017, secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (conf. Cass. n. 4370/2019, per cui il ricorso di cassazione non è improcedibile ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per omesso deposito da parte del ricorrente della sentenza impugnata, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice in quanto prodotta dalla parte resistente, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale).

Va tuttavia rilevata l’inammissibilità per la violazione del termine di legge per la proposizione del ricorso.

Peraltro tale inammissibilità andrebbe rilevata anche ove non si tenga conto della avvenuta notifica della sentenza, e si ritenga alla fattispecie applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (nella fattispecie ancora di un anno ratione temporis, trattandosi di causa già pendente alla data del 4 luglio 2009 di entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 69 del 2009), atteso che la sentenza è stata depositata in data 26/2/2015 mentre il ricorso risulta notificato (avuto riguardo alla data di spedizione) in data 12/4/2016.

Occorre infatti ricordare il principio per cui (cfr. Cass. n. 21674/2017) ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale – nella specie, per il computo del termine di impugnazione cd. lungo, ex art. 327 c.p.c., comma 1, – la modifica di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, conv., con modif. in L. n. 162 del 2014, che, sostituendo della L. n. 742 del 1969, l’art. 1 ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 31 giorni (dal 1 al 31 agosto di ciascun anno), è immediatamente applicabile con decorrenza dall’anno 2015; peraltro, nell’ipotesi in cui venga accertata, per effetto di detta norma, la tardiva proposizione del ricorso per cassazione, non è ammissibile un’istanza di rimessione in termini, atteso che l’applicazione di una novella non può mai integrare un errore scusabile da parte di un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori (in termini circa l’immediata applicazione della riduzione del termine di sospensione feriale anche per i giudizi già pendenti, Cass. n. 20866/2017; Cass. n. 11758/2017).

Avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza impugnata (26/2/20105) e ritenuto quindi immediatamente applicabile la riduzione del periodo di sospensione feriale già per l’anno 2015, il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. scadeva il 29 marzo 2016, palesandosi quindi in ogni caso tardiva la notifica del ricorso avvenuta il 12 aprile 2016 (confidando evidentemente sul più ampio periodo di sospensione feriale non più invocabile).

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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