Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26702 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6519/18) proposto da:

GRUPPO EURIS S.P.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Giorgio Bressan,

Giuseppe Sbisà, e Nicola Di Pierro, ed elettivamente domiciliata

presso del terzo, in Roma, v. Tagliamento, n. 55;

– ricorrente –

contro

INSIEL S.P.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale in calce a comparsa di costituzione di nuovo

difensore depositata il 5 ottobre 2020, dall’Avv. Matteo Nuzzo, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, v.

Cassiodoro, n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste n. 904/2017,

depositata il 12 dicembre 2017 (notificata il 29 dicembre 2017);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso, in via

principale, per l’inammissibilità del ricorso, in subordine, per il

suo rigetto;

udito l’Avv. Matteo Nuzzo per la controricorrente.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 459/2016 l’adito Tribunale di Trieste respingeva la domanda proposta dalla Gruppo Euris s.p.a. nei confronti della Insiel s.p.a. diretta all’ottenimento del risarcimento del danno asseritamente causato dall’inadempimento consistito in una condotta finalizzata allo storno di un gruppo di suoi dipendenti da parte della citata convenuta.

In particolare, il citato Tribunale, pur ritenendo accertata la violazione di apposita clausola del contratto intercorso tra le parti che prevedeva il divieto in capo alla società Insiel di procedere all’assunzione di dipendenti della società Euris, rilevava che quest’ultima non aveva assolto l’onere probatorio che le incombeva al fine di dimostrare in concreto il danno che le era stato causato.

2. Decidendo sull’appello formulato dalla soccombente Gruppo Euris s.p.a. e nella costituzione dell’appellata Insiel s.p.a., la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 904/2017, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la suddetta Corte distrettuale rilevava come la prospettata nozione di ramo d’azienda alla quale era stato riferito il danno non fosse condivisibile e, poi, riteneva che la domanda di lucro cessante (ancorchè fossero rimaste escluse le caratteristiche di ramo d’azienda), siccome riguardante un danno futuro, non era stata idoneamente provata.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la s.p.a. Gruppo Euris, resistito con controricorso dall’intimata Insiel s.p.a..

Il ricorso veniva, in un primo momento, avviato per la sua definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., dinanzi alla VI sezione civile, ma, all’esito della relativa adunanza camerale, il collegio ravvisava la sussistenza dei presupposti per la sua rimessione alla pubblica udienza della Sezione ordinaria e, con ordinanza interlocutoria n. 626/2019, provvedeva in tal senso.

La difesa della ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e art. 2555 c.c., avuto riguardo alla questione dell’accertamento sul se la Insiel s.p.a. avesse o meno violato la clausola di non sollecitazione prevista dall’art. 29 dell’accordo quadro in essere tra le parti ed al fine di ottenere il risarcimento del danno subito per effetto della violazione.

In particolare, con tale doglianza, la ricorrente ha inteso contestare l’impugnata sentenza nella parte in cui la Corte territoriale aveva escluso che, nella fattispecie, il danno da essa reclamato fosse costituito dalla perdita del potenziale produttivo dei dipendenti sottratti dalla società Insiel siccome non costituenti un autonomo ramo di azienda.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine all’omessa pronuncia sulle risultanze probatorie di causa con riferimento ai criteri da essa Euris s.p.a. indicati per la liquidazione del predetto danno.

3. Con il terzo motivo la ricorrente – sempre con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ha prospettato un’ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine all’omessa ammissione della consulenza tecnica d’ufficio richiesta in primo grado.

4. Rileva il collegio che il ricorso è da respingere con riguardo a tutte le denunciate censure.

5. E’, infatti, privo di fondamento il primo motivo perchè il giudice di appello ha esattamente ritenuto che per la configurazione del ramo di azienda (e, quindi, della sua cessione) non è sufficiente la sola presenza del personale, ma occorre che ci sia un’autonomia funzionale riferibile anche al complesso strumentale di supporto per l’impiego del personale stesso, caratteristica, quest’ultima, che la Corte triestina – con valutazione in fatto adeguatamente motivata – ha escluso che ricorresse nella specifica fattispecie.

In particolare, il giudice di secondo grado ha legittimamente rilevato che la sola forza lavoro in sè considerata non poteva costituire un ramo di azienda, posto che la produzione ad essa imputabile si esauriva – come accertato sul piano fattuale, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede – nella fornitura di servizi fruibile dalla sola committente; di conseguenza, quello stesso gruppo di dipendenti non avrebbe potuto essere utilizzato sul mercato per effetto della connotazione professionale acquisita, la quale, perciò, poteva essere valorizzata e spesa soltanto all’interno del sistema informatizzato della società Insiel.

In tal senso, pertanto, il giudice di appello si è conformato alla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, le sentenze n. 28593/2018 e n. 19034 del 2017), ad avviso della quale, ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c., l’elemento costitutivo della cessione è rappresentato dall’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero dalla sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, situazione rinvenibile (quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica) anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purchè dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.

Il relativo accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale ad opera della nuova impresa, nell’eventuale trasferimento della clientela, nonchè nel grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 c.c., che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto e comporta la mera sostituzione di uno dei soggetti contraenti, nonchè il consenso del lavoratore ceduto.

La Corte di appello, sulla base dei concreti accertamenti fattuali sufficientemente operati, ha condivisibilmente escluso la sussistenza, nella fattispecie, dei presupposti per l’applicabilità del citato art. 2112 c.c..

6. Il secondo motivo è inammissibile.

E’ pacifico, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che, con riferimento alla mancata valutazione delle risultanze probatorie (nel caso di specie con riguardo al lamentato danno), non possa configurarsi la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., la quale presuppone la mancata pronuncia su domande od eccezioni e non è, quindi, correlabile al supposto inidoneo o difettante apprezzamento di elementi istruttori.

Così come prospettato, il motivo è riconducibile, piuttosto, ad una doglianza riferibile alla formulazione dell’antecedente “insufficiente motivazione”, che non è più deducibile a seguito della novellazione, intervenuta nel 2012, dell’art. 360 c.p.c., n. 5), “ratione temporis” applicabile nella fattispecie (cfr., per tutte, Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).

Ad ogni modo, si osserva che la Corte di secondo grado ha puntualmente ed adeguatamente motivatamente sul perchè non fosse riconoscibile il danno (futuro) da lucro cessante (così come dedotto dall’odierna ricorrente), perchè sfornito di idonea prova, dal momento che – per effetto dell’operatività del diritto di recesso esercitato dalla Insiel – la Euris avrebbe dovuto dimostrare specificamente il danno derivante dalla perdita di reddito connessa allo storno del personale e, quindi, allegare e provare l’impiego del gruppo dei lavoratori presso altro cliente che assicurava la produzione di reddito futuro, non più realizzabile per l’assenza del materiale umano. In ogni caso, la Corte di merito ha idoneamente spiegato perchè l’odierna ricorrente non aveva provato i costi per pervenire all’esatta quantificazione del futuro lucro cessante.

7. Il terzo ed ultimo motivo è anch’esso, all’evidenza, inammissibile, non essendo configurabile (v., da ultimo, Cass. n. 5339/2015) una violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa ammissione di una c.t.u. (richiesta, peraltro, da ritenersi implicitamente respinta dalla Corte territoriale).

8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 10.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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