Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2670 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. I, 30/01/2019, (ud. 05/12/2018, dep. 30/01/2019), n.2670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 85/2014 proposto da:

Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

di Val Gardena n. 3, presso lo studio dell’avvocato De Angelis

Lucio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Coaccioli Antonio, giusta procura speciale per Notaio dott.

L.G.L. di (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore avv. Sperandei

Cinzia, elettivamente domiciliato in Roma, Via Silvio Pellico n.24,

presso lo studio dell’avvocato Valvo Giuseppe, rappresentato e

difeso dall’avvocato Trabalza Folco, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

BNP Paribas;

– intimata –

avverso la sentenza n. 475/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2018 dal cons. DI VIRGILIO ROSA MARIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

Rilevato che:

Con sentenza depositata il 14/10/2013,Ia Corte d’appello di Perugia ha respinto l’impugnazione proposta dalla Banca Nazionale del Lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Terni, che, in accoglimento parziale della domanda di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., aveva condannato la Banca al pagamento della somma di Euro 986.914,85, oltre interessi dalla domanda al saldo.

Nello specifico e per quanto ancora di interesse, la Corte del merito ha respinto:

il primo motivo d’appello, col quale la BNL aveva eccepito la nullità della CTU per la violazione del contraddittorio, osservando che il CTP risultava essere stato ritualmente avvisato 1’11/11/2009 della riunione del 26/11/2009, che la legge non prevede il rispetto di un termine minimo tra la convocazione e l’incontro dei consulenti, che il controllo critico della relazione del CTU era avvenuto con l’apposito rinvio per esame ed il deposito di note critiche del CTP;

il secondo motivo, rilevando che il Tribunale aveva valutato la sussistenza del requisito soggettivo non solo con riferimento alle argomentazioni del CTU, ma anche ad ulteriori, sostanziali, evidenze probatorie, legate sia a dati oggettivi ed esterni che alle risultanze della prova testimoniale.

Ricorre avverso detta pronuncia BNL, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.

Si difende il solo Fallimento con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Col primo motivo, la Banca denuncia “l’error in procedendo per violazione dell’art. 194 c.p.c. e dell’art. 24Cost. e art. 111 Cost., comma 2”, in cui sarebbe incorsa la Corte del merito, nell’affermare la mancata previsione per legge di un termine minimo tra la comunicazione via fax della ripresa delle operazioni peritali, avvenuta il 16/11/2009, e la data del 26/11/2009, fissata per la riunione dei CTP col CTU; sostiene che sono stati concessi pochissimi giorni al proprio CTP per esaminare la documentazione oggetto di analisi e che il CTU non ha dato alcuna spiegazione del mancato accoglimento dell’istanza di differimento presentata dal CTP; deduce che l’art. 194 c.p.c. in modo inequivoco chiarisce che il diritto al contraddittorio delle parti non si esaurisce nella possibilità di depositare le proprie osservazioni, ma impone che le parti siano poste in grado di partecipare effettivamente alle operazioni peritali; sostiene che in tal modo si è determinata la lesione concreta del contraddittorio.

1.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

La parte si duole del mancato rispetto del principio del contraddittorio, per essere stata fissata la data della riunione dei CTP col CTU con un avviso troppo ristretto (avviso dell’11/11/2009, per la riunione del 26/11/2009), di talchè al proprio CTP sarebbe stata di fatto impedita la partecipazione adeguata alle operazioni peritali.

La doglianza della parte è quindi intesa a far valere il vizio processuale in cui sarebbe incorsa la Corte del merito.

Ora, come affermato, tra le ultime, nella pronuncia 19759 del 9/8/2017, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata.

Alle stregua di detto principio, va rilevato che nel caso di specie, la ricorrente si è limitata a lamentare in via del tutto astratta e generica che il breve lasso temporale di cui si è detto abbia impedito al CTP di svolgere adeguate difese (ed inoltre, come già osservato dalla Corte d’appello, vi è stato un successivo rinvio per esame della CTU, ed il CTP ha depositato note critiche, a sostegno della posizione della parte).

2. Il secondo motivo del ricorso è rubricato come “violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in materia di elemento soggettivo in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, ed omesso esame circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – L. Fall., art. 67, comma 1 ed artt. 2727 e 27229 c.c.)”.

La Banca deduce che la sentenza gravata ha avvalorato gli elementi presuntivi evidenziati dal CTU, desunti non da fatti certi, ma da altre presunzioni, ritenendo la parte soggetto qualificato, e dall’altra, ha sminuito e non adeguatamente considerato le deduzioni della Banca. In particolare, la ricorrente si duole della ritenuta conoscibilità dello stato di decozione da parte della stessa, come tratta dalla Corte del merito in relazione all’andamento del conto corrente, alla presenza di protesti dell’anno 1998, all’emissione di decreti ingiuntivi a favore di altri istituti di credito, all’esistenza di numerosi effetti bancari non onorati sin dal 1997, di diversi atti di cessione di immobili, nonchè avuto riguardo alle prove testimoniali assunte.

A fronte degli elementi probatori così valutati dalla Corte d’appello, la ricorrente sostiene che dette circostanze non provano “in modo chiaro ed univoco che la (OMISSIS) versasse in stato di decozione”, ed a riguardo contrappone elementi, in tesi, pacifici; si duole dell’avere il Giudice del merito ritenuto la conoscibilità dei decreti ingiuntivi e delle ricevute bancarie non pagate a mezzo della Centrale Rischi, circostanza nè dedotta nè provata; contesta che le deposizioni testimoniali provino la scientia decoctionis; evidenzia come risulti provata di converso la propria inscientia, per il fatto che non vennero mai revocati gli affidamenti, e invece confermati con la delibera del 18/12/1997.

Il secondo motivo è inammissibile.

La ricorrente si duole sostanzialmente della valutazione della prova della scientia decoctionis, come ritenuta dalla Corte d’appello nella valutazione di un insieme di elementi probatori.

La Corte perugina ha dato conto della rilevanza nel caso dei dati di bilancio al 31/12/1996, come evidenziati dal CTU, ed altresì degli ulteriori elementi, interni alla banca, nonchè esterni alla stessa, ed ha valorizzato le deposizioni testimoniali, deponenti per la effettiva conoscenza da parte della Banca delle ricevute bancarie ed altri debiti non pagati, tant’è che la stessa aveva predisposto un’operazione che aveva consentito il ripianamento dei debiti di conto correnti con l’accensione di un mutuo ipotecario, trasformando in tal modo il proprio credito da chirografario a privilegiato.

Ora, a fronte di detta ampia evidenziazione degli elementi sintomatici della conoscenza dello stato di insolvenza della (OMISSIS), l’odierna ricorrente intende inammissibilmente contrapporre una diversa interpretazione dei dati di fatto.

Ed infatti, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, che esclude la sindacabilità della correttezza logica della motivazione sotto il profilo della sua insufficienza o contraddittorietà, potendo ora denunciarsi in cassazione solo l’omesso esame di un fatto storico (principale o secondario, purchè risultante dal testo della sentenza o dagli atti processuali) che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, mentre l’omessa motivazione (se risultante dal testo della sentenza, senza necessità di confronto con le risultanze processuali) viene parametrata ad un “minimo costituzionale”, esaurendosi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053 e n. 9032 del 2014; cfr. Cass. n. 7472 del 2017); ferma restando, in ogni caso, l’impossibilità di censurare in sede di legittimità la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione, attraverso di esse, della fattispecie concreta, trattandosi di compito pacificamente riservato al giudice di merito.

E’ inammissibile altresì la doglianza formulata in relazione all’art. 116 c.p.c., dato che la violazione di tale norma, che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime; ora, nella specie, non ricorre nessuna di queste condizioni, ed il motivo si esaurisce nella doglianza di un cattivo, in tesi, esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice del merito, risolvendosi nella mera censura motivazionale, che è circoscritta nello specifico ambito di cui si è detto sopra.

3. Il terzo motivo è rubricato come “Violazione e/o falsa applicazione di norma della L. Fall., art. 67, comma 3, con riferimento alla prova della natura delle rimesse effettuate in c/c, nonchè omesso esame circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – L. Fall., art. 67, comma 3 ed art. 2697 c.c.)”.

Secondo la Banca, è stato erroneamente ritenuto non provato il secondo affidamento di 400 milioni di Lire, in mancanza del contratto scritto, mentre lo stesso può ritenersi provato per facta concludentia, nel caso in cui il contratto sima previsto e disciplinato dal contratto di conto corrente stipulato per iscritto ed in ogni caso deve ritenersi provato sulla base della delibera di rinnovo delle linee di credito esistenti del 18/12/1997.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti ritenersi nuova la deduzione della Banca, secondo cui la prova dell’affidamento può ritenersi per facta concludentia sulla base del contratto di conto corrente, in quanto non risultante alla stregua della sentenza impugnata, nè la Banca ha dedotto di avere fatto valere detta questione nel giudizio di merito (e la questione non è di mero diritto, ma implica accertamento di fatto, ch.’e, come tale, non può essere svolto in sede di legittimità, se non già trattato nel merito).

Nel resto, la ricorrente si limita a richiamare la delibera di rinnovo, senza addurre alcuna censura alla conclusione negativa a riguardo assunta dal Giudice d’appello.

4. Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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