Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2670 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2021, (ud. 26/06/2020, dep. 04/02/2021), n.2670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23466-2015 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI 7,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RICCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNA CAMPILII;

– ricorrente –

contro

INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI

INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio degli avvocati FRANCESCO GIAMMARIA,

IOLANDA GENTILE, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 307/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/05/2015, R.G.N. 1351/2013.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 307 del 2015, ha accolto l’impugnazione proposta da Inarcassa (Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti), nei confronti dell’architetto L.F., avverso la sentenza del Tribunale di Verbania che aveva accolto la domanda dello stesso L., volta ad ottenere la pensione di vecchiaia pari ad Euro 16.065,13 annui con decorrenza dal (OMISSIS);

L.F. aveva dedotto:

– di essersi iscritto ad Inarcassa fin dal 23 gennaio 1969 svolgendo l’attività di architetto libero professionista contemporaneamente a quella di insegnante statale e di aver ottenuto il beneficio della riduzione contributiva, ai sensi della L. n. 179 del 1958, art. 23, comma 2, in ragione della contemporanea iscrizione ad altra forma di previdenza;

– dal primo gennaio 1972, inoltre, era stato cancellato da Inarcassa in ragione dell’entrata in vigore della L. n. 1046 del 1971 che impediva la possibilità di una doppia iscrizione previdenziale;

– a seguito della cancellazione, il L. aveva optato per la facoltà, concessa dalla L. n. 1046 del 1971, art. 6 di conseguire il trattamento pensionistico proporzionalmente ridotto in relazione agli anni di contributi versati alla data del 31 dicembre 1971, piuttosto che ottenere la restituzione dei contributi ridotti versati; in data 1 settembre 1991, il L. si era poi iscritto nuovamente ad Inarcassa, avendo cessato l’attività di insegnamento;

– il successivo 21 settembre 2011 aveva, quindi, proposto domanda di pensione di vecchiaia L. n. 6 del 1981, ex art. 25 avendo compiuto sessantotto anni di età e versato 20 anni di contributi interi dal (OMISSIS) e tre anni di contributi ridotti dal 23 gennaio 1969 al primo gennaio 1972;

– la domanda era stata respinta da Inarcassa in ragione del fatto che l’iscrizione con contribuzione ridotta non concorreva al calcolo della pensione intera ma solo al calcolo della rendita vitalizia, ai sensi della L. n. 1046 del 1971, art. 6 per cui prima del 29 gennaio 1981 tale periodo non poteva considerarsi utile ai fini dell’iscrizione alla Cassa e per fruire della disciplina di salvaguardia prevista dalla L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7, che consente il conseguimento della pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi e non 30; peraltro, l’art. 42, comma 2, dello Statuto della cassa aveva previsto, dal 13 ottobre 2011, la non inclusione della contribuzione ridotta nell’anzianità assicurativa;

nel corso del giudizio di primo grado, il ricorrente aveva dichiarato, pro bono pacis, di poter accettare la liquidazione della pensione in Euro 14.509,03 annui ed in tali termini il primo giudice aveva accolto la domanda, ritenendo sostanzialmente che non fosse legittimo distinguere tra tipi di contribuzione diversa al fine di negare l’efficacia della iscrizione alla cassa;

ad avviso della Corte territoriale, invece, la successione delle leggi disciplinanti la materia (da individuarsi nella L. n. 1046 del 1971, art. 2 che aveva sostituito della L. n. 179 del 1958, l’art. 3 nella medesima L. n. 1046 del 1971, art. 6 e nella L. n. 6 del 1981, art. 25) dimostra l’infondatezza della domanda, dal momento che il L. alla data di entrata in vigore della L. n. 6 del 1981 non aveva ancora maturato il diritto alla pensione, nè lo avrebbe maturato nei termini previsti dall’art. 25, comma 1 di tale legge, per cui il medesimo ricorrente non poteva considerarsi compreso tra i soggetti che, ai sensi della salvaguardia voluta dal citato L. n. 6 del 1981, art. 25 “conservano ” il diritto alla pensione con l’anzianità contributiva minima di venti anni prevista anteriormente;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione L.F. sulla base di quattro motivi: 1) violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione del fatto che la motivazione addotta per giungere alla riforma della sentenza di primo grado, circa l’inapplicabilità delle disposizioni transitorie contenute nella L. n. 6 del 1981, art. 25 non avevano formato oggetto di deduzioni difensive delle parti, nè Inarcassa vi aveva fondato l’impugnazione; 2) violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, sempre in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice d’appello aveva, decidendo nei sensi di cui sopra, percorso ai fini del decidere una terza via, senza concedere termine alle parti per discutere sulla questione rilevata d’ufficio; 3) violazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2, sempre in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto era stato violato il principio devolutivo dell’appello, sempre in conseguenza della motivazione adottata; 4) violazione ed erronea interpretazione della L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7, dell’art. 12 preleggi, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè tale disposizione era stata interpretata nel senso che “conservano” il diritto a pensione solo coloro i quali già avevano maturato il diritto al 29 gennaio 1981 o lo avrebbero maturato entro il primo gennaio 1983, mentre si sarebbe dovuta privilegiare una interpretazione letterale che riferisce agli iscritti e non ai pensionati la salvaguardia del diritto a pensione con 20 anni di contribuiti, a tempo debito; peraltro, l’interpretazione adottata dalla sentenza impugnata non si era confrontata con la realtà, posto che la gestione della cassa aveva avuto inizio nel luglio 1961 ed alla data del 29 gennaio 1981 non vi sarebbero state pensioni da conservare;

Inarcassa resiste con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memorie ed, in particolare, con la memoria del 6 marzo 2020, il ricorrente ha rinunciato al secondo motivo di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il primo ed il terzo motivo, attesa la rinuncia al secondo, devono ritenersi ammissibili, nonostante il loro erroneo inquadramento nell’ambito del vizio di violazione di legge sostanziale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) anzichè in quello della legge processuale (medesimo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), posto che tutti e due denunciano chiaramente la nullità della sentenza, rispettivamente, per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 329 c.p.c., comma 2, in applicazione del consolidato principio secondo il quale il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti una ragione di nullità della pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo alle previsioni processuali violate, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cassazione 07/05/2018 n. 10862; Cass. n. 4036 del 2014; Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013);

tali motivi sono, tuttavia, infondati in quanto, come è noto, il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero, come è avvenuto nel caso di specie, non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cassazione n. 20932 del 05/08/2019; Cass. n. 26999 del 2005);

inoltre, per analoghe ragioni, non può neanche dirsi violata la regola del giudicato interno (ex art. 329 c.p.c) giacchè perchè un giudicato si formi è necessario che la decisione presa si caratterizzi per essere fondata sull’accertamento di un fatto al quale si correla una certa interpretazione della disciplina applicata e non ricorre tale situazione quando la questione esaminata è di puro diritto; si è precisato, infatti, che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perchè, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione (Cassazione n. 16853 del 26/06/2018);

il quarto motivo è fondato;

la questione qui dibattuta riguarda, nella sostanza, la latitudine da assegnare alla categoria degli ” (…) iscritti alla Cassa in data anteriore alla entrata in vigore della presente legge ” i quali ” conservano” il diritto alla pensione di vecchiaia con l’anzianità minima di 20 anni, ai sensi della L. n. 6 del 1981, art. 235, comma 7;

ad avviso della Cassa, in particolare, da tale riferimento agli “iscritti” va esclusa la posizione del ricorrente in quanto, avendo versato contribuzione ridotta, risulterebbe stato iscritto, prima dell’entrata in vigore della L. n. 6 del 1981, ad una forma assicurativa peculiare gestita da Inarcassa;

tale tesi non risulta, tuttavia, fondata su alcuna base normativa;

è noto che nel sistema della L. 4 marzo 1958, n. 179, istituiva della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri e gli Architetti, era ammessa l’iscrizione contestuale alla Cassa e ad altra forma di previdenza obbligatoria in correlazione, rispettivamente, con la possibilità legale di esercizio della libera professione e con l’esplicazione nel medesimo tempo di altra attività professionale;

gli iscritti alla Cassa che fossero già assoggettati ad altra forma di previdenza obbligatoria avevano diritto ad una riduzione del contributo individuale, ma potevano pretendere dalla Cassa soltanto un trattamento integrativo, ove il trattamento erogato dall’altro ente previdenziale “in dipendenza del lavoro prestato nel periodo di iscrizione alla Cassa” fosse inferiore a quello stabilito dalla Cassa stessa per i propri iscritti, e, comunque, ad un trattamento corrispondente ai soli versamenti individuali (L. n. 179 del 1958, art. 4 e art. 23, comma 2, e D.P.R. n. 31 marzo 1961, n. 521, art. 16);

l’ammissibilità della doppia contemporanea iscrizione venne a cessare dal 1 gennaio 1972 per effetto dalla L. 11 novembre 1971, n. 1046, la quale, recando modifiche ed integrazioni alla legge del 1958, confermò come requisito di iscrizione alla Cassa la mera possibilità legale di esercizio della libera professione, ma escluse con l’indicata decorrenza l’iscrizione stessa quando il professionista fosse iscritto ad altre forme di previdenza obbligatorie “in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata” (art. 2), con la conseguente abrogazione delle disposizioni della L. del 1958, art. 4 in tema di trattamento integrativo (art. 3);

la suddetta L. n. 1046 del 1971 dettò però, con l’art. 6, disposizioni di diritto transitorio per definire la sorte di quei ridotti versamenti che non avessero dato luogo a liquidazione di pensione, prevedendone, a decorrere dal 1 gennaio 1972, la restituzione ai professionisti, con la maggiorazione degli interessi legali maturati, o, in alternativa, su domanda da presentarsi entro il 1 gennaio 1973, l’accantonamento ai fini della corresponsione del trattamento pensionistico nella misura stabilita dalle disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, proporzionalmente ridotta in relazione agli anni di contribuzione risultanti alla data del 31 dicembre 1971;

a seguito delle modifiche subite dalla disciplina della contribuzione ridotta versata in regime di doppia iscrizione sono emerse talune questioni che hanno consentito a questa Corte di pronunciarsi sui contenuti della posizione contributiva riconosciuta agli iscritti ad Inarcassa che avevano svolto, prima dell’entrata in vigore della L. n. 1046 del 1971, una duplice attività;

una prima questione, utile a dirimere la presente controversia, è quella del rilievo da riconoscere alla contribuzione versata per intero ad Inarcassa in regime di doppia contribuzione (anteriormente alla L. n. 1046 del 1971), questione risolta da questa Corte di cassazione (vd. Cass. 14489 del 1994) formulando il principio secondo il quale costituiva una facoltà, e non un obbligo, pagare in misura ridotta la contribuzione dovuta; dunque, nel caso in cui l’iscritto non ne avesse fruito, la sua posizione doveva ritenersi costituita pieno iure, con diritto ad una pensione piena e non meramente integrativa;

dunque, non si è mai ritenuto che l’iscrizione alla Cassa fosse suscettibile di diversificarsi in “gestioni” separate: l’iscrizione era unica, vi era la facoltà di versare contributi ridotti con incidenza solo sul futuro trattamento pensionistico;

in tal senso, le sentenze di questa Corte di cassazione nn. 5554/2000, 14489/99, 9972/98, 1568/91; 18532/2006), hanno affermato che la contribuzione versata in misura intera – pur ricorrendo la condizione (contemporanea iscrizione ad altra forma di previdenza) per versarla in misura ridotta – deve essere integralmente computata, come per qualsiasi iscritto, al fine della maturazione del requisito contributivo per l’accesso a pensioni erogate dalla stessa Cassa nazionale di previdenza per gli ingegneri ed architetti;

peraltro, Cass. n. 10365 del 1994, a proposito della natura del trattamento integrativo spettante nell’ipotesi di contribuzione ridotta, ha pure affermato che lo stesso trattamento (mantenuto dalla L. n. 1046 del 1971, art. 6) costituisce una “specie di pensione supplementare” non autonoma;

da tali precedenti, dunque, può trarsi l’ulteriore deduzione che il versamento facoltativo della contribuzione in misura ridotta, previsto dalla L. del 1958 e soppresso dalla L. del 1971, non era riferito ad una gestione diversa da quella gestita da Inarcassa; la differenza tra il versamento della contribuzione intera e quella ridotta si riduce(va) alla sola disciplina ed ai criteri di calcolo della prestazione pensionistica correlata ai due tipi di contribuzione;

sull’assunto che la sua posizione rientri fra quelle contemplate dal suddetto art. 25, comma 7 l’odierno ricorrente ritiene che debba trovare applicazione, anche per coloro i quali hanno optato per l’accantonamento della contribuzione ridotta versata a suo tempo, il requisito contributivo minimo ventennale contemplato dalla previgente normativa;

a questo proposito va rilevato che fattispecie analoga alla presente, caratterizzata dalla circostanza che ad un periodo di iscrizione in regime di doppia contribuzione per concomitante espletamento di attività d’insegnamento era seguita la cancellazione dalla Cassa e la successiva iscrizione in epoca successiva alla L. n. 6 del 1981, è stata esaminata, in più occasioni, da questa Corte di legittimità;

Cassazione n. 5571 del 2009 ha espresso un principio ripetutamente confermato (vd. Cass. n. 6922/ 2010; 8892/2010);

in particolare, si è premesso che la L. 3 gennaio 1981, n. 6, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, che integra e modifica le disposizioni contenute nella L. 4 marzo 1958, n. 179, istitutiva della cassa nazionale di previdenza per gli ingegneri e gli architetti, nei decreti presidenziali attuativi della stessa e nella L. 11 novembre 1971, n. 1046, ha innovato rispetto alla disciplina precedente (secondo la quale, alla stregua di quanto disposto alla L. n. 179 del 1958, art. 5 l’anzianità contributiva minima utile per la pensione di vecchiaia era indicata in venti anni);

si è stabilito, dunque, con riferimento alle pensioni di vecchiaia che maturano dal 1 gennaio 1983 (art. 25, comma 1 cit. Legge), che “La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno 65 anni di età, dopo almeno 30 anni di effettiva iscrizione e contribuzione…”;

l’art. 25 medesima Legge detta poi alcune disposizioni transitorie dirette a regolare i rapporti nella fase di transizione dalla previgente disciplina, tra le quali interessa il presente giudizio quella di cui al comma 7, del seguente tenore: “Gli iscritti alla Cassa in data anteriore all’entrata in vigore della presente Legge conservano il diritto: 1) alla pensione di vecchiaia con l’anzianità minima di 20 anni…”.

la sentenza qui impugnata, così come nelle fattispecie esaminate dai precedenti di cui si riferisce, ha ritenuto che la disposizione non sia applicabile al caso in esame in quanto, per la sua applicazione, sarebbe necessaria non solo l’iscrizione al momento dell’entrata in vigore della Legge medesima, il 29 gennaio 1981, ma anche che tali iscritti avessero già maturato il diritto alla pensione di vecchiaia secondo la previgente disciplina entro il primo gennaio dell’anno successivo a quello di entrata in vigore della L. n. 6 del 1981;

si evidenzia che la combinazione dei termini “iscritti alla Cassa” e “conservano” utilizzati dalla stessa disposizione in esame sarebbe chiaramente indicativa di un ambito di riferimento esclusivo ai professionisti che erano già iscritti alla Inarcassa al momento dell’entrata in vigore della legge di modifica e che avessero già maturato il diritto a pensione;

senonchè, come già affermato da Cass. n. 5571/2009 sopra citata, appare semmai significativo l’uso della locuzione “iscritti… in data anteriore all’entrata in vigore della presente legge” invece di quella “da data anteriore…”, essendo la prima indicativa del riferimento ad un momento singolo all’interno di un periodo segnato dal termine finale della entrata in vigore della legge mentre la seconda potrebbe assumere un significato di continuità a partire da una determinata data e fino a quella dell’entrata in vigore della legge, per questa via introducendo il requisito della costanza della iscrizione a tale ultima data;

al dato testuale, significativo pertanto di un ambito della disposizione transitoria esteso a qualsiasi ipotesi di iscrizione alla Cassa in data precedente alla entrata in vigore della Legge, compreso il caso di non continuità di tale iscrizione o di non attualità della stessa al momento dell’entrata in vigore della legge, vanno associate considerazioni di ordine logico-sistematico; anzitutto, con riferimento alla necessità di continuità fino alla data di efficacia della legge, va rilevato come nel precedente comma 6 del medesimo articolo di legge, laddove il legislatore ha inteso legare, con norma transitoria, la conservazione di una determinata disciplina precedente alla iscrizione continuativa alla cassa a partire da una certa data, lo ha detto esplicitamente, usando l’avverbio “continuativamente”, che invece non viene usato nel comma in esame;

si è pure valutato non giustificabile, sul piano della razionalità della legge e quindi ai sensi dell’art. 3 Cost., una differenziazione di trattamento tra chi sia stato iscritto per diciannove anni alla Cassa fino al 28 gennaio 1981, cancellandosi dal 29 per iscriversi di nuovo il 2 febbraio 1981 e chi si iscriva per la prima volta il 1 gennaio 1981, proseguendo nell’iscrizione anche oltre l’entrata in vigore della legge medesima;

viceversa, l’interpretazione della norma di legge emergente dal testo della stessa, come sopra indicato, consente di parificare, nel bene e nel male, situazioni tra di loro equiparabili sul piano della tutelabilità;

il piano testuale concorre pertanto con quello logico-sistematico nel sostenere una lettura della norma di legge in esame nel senso indicato, come tale applicabile al fatto rappresentato in giudizio, (vedi Cass. 17 aprile 1989 n. 1818);

quanto poi all’ulteriore requisito della maturazione del diritto a pensione alla data di entrata in vigore della L. n. 6 del 1981, ritenuto indispensabile dalla Corte d’appello, va osservato che tale interpretazione non si raccorda con il testo dello stesso art. 25, comma 8 laddove si specifica che ” In caso di maturazione del diritto a pensione in virtù dei requisiti del comma precedente la pensione di vecchiaia è commisurata agli anni di effettiva iscrizione e contribuzione, con le modalità di cui all’art. 2…(…); se, infatti, la maturazione del diritto in applicazione dei requisiti previsti dal comma 7 è considerata solo una possibilità (come suggerisce l’utilizzo della locuzione “in caso”) non può logicamente ritenersi che tale maturazione sia anche condizione necessaria della medesima fattispecie;

infine, va pure osservato che l’ampia portata della L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7 che si riferisce, quanto ai destinatari della regola del mantenimento delle condizioni precedenti, ai già “iscritti” alla cassa, senza ulteriore specificazione, non legittima una differenziazione tra gli iscritti determinata dall’aver o meno esercitato la scelta di versare la contribuzione ridotta anzichè quella intera, nel periodo antecedente alla introduzione della L. n. 1046 del 1971; si realizzerebbe una integrazione del testo legislativo certamente non consentita all’interprete e priva di indicazioni sistematiche;

in definitiva, il quarto motivo di ricorso è fondato e va accolto, mentre vanno rigettati il primo ed il terzo;

la sentenza impugnata va, quindi, cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione affinchè esamini la fattispecie alla luce del seguente principio di diritto: ai fini dell’applicazione della L. n. 6 del 1981, art. 25, comma 7, rileva il mero fatto della pregressa iscrizione, anche non attuale, alla Cassa di previdenza degli ingegneri ed architetti rispetto alla data di entrata in vigore della medesima legge; il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata quanto al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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