Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26699 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23916/2019 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in Vicenza, via Brigata

Regina n. 39, presso lo studio dell’avv.to LUCA DOMENICO SEGALLA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

03/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto pubblicato il 3 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da B.M., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto, egli inoltre non aveva dato prova della presenza di un concreto timore di subire delle conseguenze negative nel caso di rientro in Guinea. Il richiedente aveva riferito di essere fuggito dal proprio paese a seguito di una manifestazione politica avvenuta il (OMISSIS) durante la quale erano stati uccisi i suoi familiari, mentre il richiedente era stato imprigionato ed era riuscito a scappare tramite un amico del fratello che aveva pagato i soldati. Egli era scappato prima in Mali poi in Benin e, infine, in Libia dove era stato nuovamente imprigionato e gli era stata richiesta una somma di denaro per essere liberato.

La non credibilità del racconto comportava il rigetto delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che la Guinea era un paese nel quale non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione sussidiaria e, seppure vi fossero delle forti tensioni in occasione delle elezioni, soprattutto per i manifestanti sostenitori dei partiti politici, il racconto del ricorrente non era stato ritenuto credibile sul punto e, dunque, non poteva ritenersi sussistente il fondato timore di pericolo in caso di rientro.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale e non potendosi ravvisare un miglioramento nelle condizioni di vita in una valutazione comparativa con il paese d’origine.

2. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente e nullità del procedimento il tutto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 e art. 50 bis c.p.c. e art. 16 direttiva n. 32/2013UE per avere delegato il Tribunale ad un giudice onorario non parte del collegio giudicante l’esame del ricorrente, venendo così meno alla necessaria e diretta percezione degli elementi essenziali del racconto.

La censura ha ad oggetto il fatto che il richiedente è stato sentito all’udienza del 22 ottobre 2018 da un giudice onorario che poi non ha fatto parte del collegio giudicante.

1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.

Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: “In materia di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito il giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente, rimettendo poi la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, poichè del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 del medesimo D.Lgs., esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis” (Sez. 1, Ord. n. 4887 del 2020).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente e nullità del procedimento il tutto in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il giudice violato i canoni legali d’interpretazione degli elementi istruttori, nonchè per aver omesso l’esame di un fatto decisivo.

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto in violazione dei criteri legali d’interpretazione e con una motivazione meramente apparente. Il ricorrente evidenzia la coerenza sia intrinseca che estrinseca in riferimento al paese di provenienza del suo racconto come risultante da fonti citate. Risulterebbe violato, dunque, anche l’obbligo di cooperazione istruttoria, dovendo far ricorso, il Tribunale, a tutte le informazioni sul contesto di origine.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente e nullità del procedimento il tutto in relazione all’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il tribunale omesso di applicare l’art. 14, lett. b e c, in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente.

La censura attiene al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria fondato sulla presunta inattendibilità e non credibilità del racconto del richiedente senza la valutazione del contesto generale del paese di provenienza mentre dalle fonti internazionali emergerebbe il rischio di subire un danno grave derivante dalla violenza indiscriminata presente nella regione.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente e nullità del procedimento, violazione ex art. 360, comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo il tutto in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere il giudice valutato la vulnerabilità in relazione alle condizioni di vita del ricorrente allegate in giudizio e per omesso esame di un fatto decisivo.

La censura attiene al mancato riconoscimento della protezione umanitaria fondato sulla mancata integrazione in Italia anche alla luce di mancanza di documentazione dello svolgimento di attività lavorativa sufficientemente stabile con retribuzione adeguata. A parere del ricorrente in primo luogo doveva ritenersi credibile il suo racconto e poi doveva ritenersi raggiunto un buon livello di integrazione anche per la frequenza a corsi di lingua e di formazione professionale oltre che da una lettera di referenze. Sussisterebbero, dunque, i presupposti per ritenere integrata la vulnerabilità sulla base della quale concedere il permesso umanitario.

5. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Venezia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

Il Tribunale di Venezia, inoltre, ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Guinea non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Guinea, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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