Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26697 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 01/10/2020, dep. 24/11/2020), n.26697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 31385/2019 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO DE’

CAVALIERI n. 11, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO LENER, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ARCHIVIO NOTARILE DISTRETTUALE di TERAMO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

e contro

CONSIGLIO NOTARILE DI TERAMO E PESCARA, PROCURA DELLA REPUBBLICA

GENERALE ROMA e PROCURA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA;

– intimati –

avverso la pronuncia n. 473/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI

Corrado, il quale ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo e

per il rigetto degli altri motivi di ricorso;

udito l’avvocato MASSIMO PETRONI, per parte ricorrente, in

sostituzione dell’avvocato GIORGIO LENER, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Su richiesta del Conservatore dell’Archivio notarile di Teramo la Commissione Regionale di Disciplina dell’Abruzzo e Molise riteneva P.C. responsabile della violazione dell’art. 62, comma 1 e art. 64 Legge Notarile, per aver annotato nel repertorio degli atti inter vivos atti ricevuti o autenticati prima della vidimazione del registro. In considerazione del ravvedimento operoso del notaio, la Commissione Regionale di Disciplina (d’ora in avanti, per brevità indicata soltanto come Co.Re.Di.) sostituiva la sanzione della sospensione, prevista dall’art. 138 Legge Notarile, con quella pecuniaria, determinando quest’ultima in Euro 10.000.

Interponeva impugnazione avverso detta decisione il P., contestando il quantum della sanzione, sia perchè la Co.Re.Di. non sarebbe partita, nella valutazione del fatto, dal minimo edittale, sia perchè avrebbe tenuto conto, ai fini della determinazione della pena in concreto, di elementi non conferenti, con particolare riferimento alle diverse infrazioni commesse dal professionista in altro contesto e da quegli oblate.

Con la pronuncia oggi impugnata, n. 472 del 2019, l’impugnazione veniva respinta dalla Corte di Appello di L’Aquila.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione il P. affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso l’Archivio notarile di Teramo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto esplicitare il calcolo della pena irrogata in concreto. Ad avviso del ricorrente, invece, quando la legge prevede una sanzione compresa tra un minimo ed un massimo edittali, il giudice di merito avrebbe sempre l’obbligo di partire dal valore minimo, indicando in modo specifico i motivi per cui ritenga di aumentare la pena rispetto a quel valore minimo.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 144 e 138-bis Legge Notarile, perchè la Corte di Appello non avrebbe valutato in modo analitico i criteri previsti dall’art. 133 c.p., ed avrebbe valutato due volte gli stessi fatti, una prima volta per determinare la sanzione base, commisurandola non già nel minimo edittale, bensì nel valore intermedio tra minimo e massimo, ed una seconda volta per operare un aumento rispetto a tale importo.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 c.p., della L. n. 689 del 1981, art. 11 e del principio del ne bis in idem sostanziale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe valutato due volte la stessa circostanza, rappresentata dalle violazioni commesse dal P. in precedenza, senza considerare che dette condotte non costituivano precedenti in senso tecnico perchè erano fatti antecedenti all’avvio del procedimento disciplinare di cui al presente giudizio, in relazione ai quali il notaio non aveva – peraltro – ricevuto una sanzione, ma soltanto un avvertimento.

Le tre censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono infondate.

La L. n. 689 del 1981, art. 11, infatti, prevede espressamente che “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonchè alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

L’art. 133 c.p., prevede, a sua volta, che “Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tenere conto della gravità del reato, desunta:

1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;

2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

4) delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.

Nel caso di specie la Corte di Appello non ha affatto valutato due volte i medesimi fatti: anzi, ha dato atto che la decisione della Co.Re.Di. aveva fissato la sanzione nell’importo di Euro 10.000 -comunque compreso tra il minimo edittale, pari ad Euro 516, ed il massimo edittale, pari ad Euro 15.493 – “senza esplicitare il procedimento di calcolo adottato” ma ha anche precisato da un lato che detta esplicitazione non era, in concreto, necessaria in quanto l’organo disciplinare non aveva applicato alcun aumento o diminuzione della pena-base, e dall’altro lato che comunque la Co.Re.Di. aveva tenuto conto di tutti gli elementi di giudizio relativi al caso specifico. In particolare, la Co.Re.Di. aveva considerato anche le pregresse violazioni disciplinari commesse dal P., ma non per applicargli la recidiva nè per operare alcun aumento di pena, bensì soltanto per adeguare la sanzione in concreto irrogata alla personalità dell’incolpato, che già aveva dimostrato scarsa diligenza in passato. Tanto la L. n. 689 del 1981, art. 11, che richiama la personalità dell’agente, quanto l’art. 133 c.p., che rinvia alla capacità a delinquere del colpevole, desumibile anche dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla sua condotta di vita antecedente, contemporanea o susseguente al reato, autorizzano la considerazione delle pregresse contestazioni disciplinari, ancorchè riferite a fatti successivi a quelli per i quali qui si procede, ai fini della determinazione della sanzione da irrogare in concreto.

Nè è corretto sostenere, come sembra fare il ricorrente, che quei precedenti sono stati considerati dal giudice di merito prima per individuare la sanzione in un importo pari alla metà tra minimo e massimo edittali, e poi per applicare un aumento rispetto a tale importo. La Co.Re.Di., infatti, si è limitata ad affermare (come lo stesso ricorrente conferma, richiamando testualmente, a pag. 20 del ricorso, la motivazione del provvedimento emesso dall’organo disciplinare) che la sanzione congrua doveva essere individuata “in misura superiore alla metà del range edittale previsto”, ovverosia nella somma di Euro 10.000. Tale importo, dunque, non è stato determinato a seguito individuazione di una pena-base e di un successivo aumento, bensì all’esito di un procedimento di apprezzamento unitario del fatto, della sua gravità e dei precedenti, che appare – in quanto tale – pienamente coerente con le norme di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11 e art. 133 c.p.. Non si configura, quindi, alcun profilo di doppia considerazione del medesimo fatto.

Neppure è corretto l’assunto secondo cui, in presenza di una sanzione determinabile nell’ambito di un minimo e di un massimo edittali, il giudice dovrebbe sempre partire dal valore minimo. Se infatti è vero, in linea di principio, che quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più egli ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando, tra i criteri di cui all’art. 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini del giudizio di determinazione della sanzione in concreto (Cass., Sez. I pen., sentenza n. 24213 del 4 giugno 2013), non è men vero che la determinazione della pena nell’ambito della “forchetta” compresa tra minimo e massimo edittali rientra nell’ambito del potere discrezionale del giudice di merito e non è, quindi, censurabile in Cassazione quando venga applicata la misura media, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare le categorie dell’adeguatezza e dell’equità, nelle quali sono implicitamente compresi gli elementi di cui all’art. 133 c.p. (Cass. Sez. IV penale, sentenza n. 21294 del 17 maggio 2013).

Del pari inesatta è l’affermazione secondo cui i precedenti disciplinari del ricorrente non avrebbero dovuto essere considerati dal giudice di merito in quanto ad essi non aveva fatto seguito alcuna sanzione, ma soltanto l’avvertimento del professionista. Va in proposito rammentato che anche la misura dell’avvertimento, che consiste in un rimprovero al notaio per la mancanza commessa, con l’esortazione a non commetterlo ulteriormente, è ricompresa nel novero delle sanzioni di cui agli artt. 135 e segg. della Legge Notarile.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’ulteriore profilo di violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare la condotta del notaio, che aveva riconosciuto immediatamente l’addebito e si era adoperato per ovviarvi.

Anche questa doglianza è infondata.

La Corte di Appello dà atto (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata) che la Co.Re.Di. aveva valutato la condotta del notaio e che proprio per questo aveva sostituito la sanzione della sospensione con quella, più lieve, della pena pecuniaria. Ergo, non sussiste alcun profilo di omesso esame, poichè il ravvedimento è stato considerato, tanto dall’organo di disciplina che dalla Corte territoriale.

Infine, con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, perchè la Corte abruzzese avrebbe erroneamente condannato il notaio al pagamento del doppio del contributo unificato, senza tener conto del fatto che il giudizio non costituiva impugnazione in senso tecnico.

La censura è fondata.

Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, prevede che “Il contributo di cui al comma 1, è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione” mentre il successivo comma 1 quater, stabilisce che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis”. La ratio sottesa alla specifica sanzione prevista dal comma 1 quater, è quella di disincentivare la proposizione di giudizi di secondo grado, o di ricorsi in Cassazione, a scopo meramente dilatorio o defatigatorio. Poichè nel caso di specie il giudizio che si svolge innanzi la Corte di Appello in sede di reclamo avverso la decisione della Co.Re.Di. “… pur avendo indubbi connotati impugnatori, non è assimilabile all’appello, disciplinato dal codice di procedura civile, il quale si configura come un procedimento di secondo grado avente natura omogenea rispetto a quello di primo grado” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1437 del 23/01/2014, Rv. 629436-01; conforme, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29717 del 12/12/2017, Rv. 646599), non v’è spazio per poter applicare la maggiorazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, con eliminazione della statuizione relativa alla maggiorazione di cui anzidetto.

Alla luce della marginalità del profilo di accoglimento, il Collegio ritiene opportuno disporre la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso; accoglie il quinto motivo e, decidendo la causa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, cassa la decisione impugnata eliminando la maggiorazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 quater; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

 

 

 

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