Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26690 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9782/2016 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

MONTANELLI 11/A, presso lo studio dell’avvocato SILVIO GUARNIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GERSAN PERSIA;

– ricorrente –

contro

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DORA 2,

presso lo studio dell’avvocato SONIA CAPOBIANCO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SIMONA TERZULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20366/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 12/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudice di pace di Roma accoglieva la domanda proposta da M.D. nei confronti di L.G. avente ad oggetto la denuncia di fuoriuscita di fumi dannosi dalla canna fumaria che il convenuto aveva installato sul tetto del proprio box auto, distante pochi metri dalla finestre dell’appartamento dell’attrice, e condannava il L. ad adeguare l’impianto dei fumi di scarico della caldaia alla normativa vigente, mediante collegamento della canna fumaria con quella generale del palazzo, ovvero se non possibile, prolungandola fino al tetto dello stesso o alla quota stabilita dalla legge in materia.

La parte convenuta non aveva provato che l’opera denunziata era consistita nella mera sostituzione di un impianto preesistente fin dal 1980 e risultava dagli atti di causa che la caldaia, fabbricata nel 1996, era stata installata nel 1997 e la sua messa in opera non rispettava le prescrizioni stabilite dal D.P.R. n. 551 del 1999, nella parte in cui disponeva che gli impianti termici siti in edifici costituiti da più unità immobiliari devono essere collegate con sbocco sopra il tetto alla quota stabilita dalle norme tecniche in materia.

2. L.G. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3. Il Tribunale, in accoglimento del gravame, evidenziava che il D.P.R. n. 412 del 1993, art. 5, comma 9, nella sua versione originaria prevedeva l’obbligo di apposizione di condotte di evacuazione dei gas di scarico degli impianti termici con sbocco fino al tetto dell’edificio, nei soli casi essi fossero installati in edifici multipiano costituiti da più unità immobiliari. Tale comma era stato poi interamente modificato dal D.P.R. n. 551 del 1999, art. 2, che, nel ripetere la prescrizione dell’adempimento sopra indicato, l’aveva riferita ai soli impianti termici siti in edifici costituiti da più unità immobiliari, eliminando ogni riferimento alla molteplicità dei piani.

La sentenza impugnata, pur dando atto della modifica normativa e pur affermando che l’installazione dell’impianto tecnico termico da parte del convenuto era avvenuta nel 1997, aveva dichiarato applicabile il nuovo testo della disposizione menzionata, come modificato dal D.P.R. n. 551 del 1999.

3.1 Il giudice di pace, dunque, era incorso in un errore di diritto, in violazione del canone relativo all’efficacia delle leggi nel tempo, avendo sottoposto l’opera del convenuto ad una regolamentazione entrata in vigore dopo la sua realizzazione. Pertanto, l’opera posta in essere dal L., valutata alla luce del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 5, comma 9, nella sua formulazione anteriore alla modifica suindicata, doveva ritenersi conforme alla normativa applicabile ratione temporis. Infatti, come emergeva dalle risultanze istruttorie, la caldaia era collocata in un fabbricato composto da un unico piano, materialmente distinto e separato dall’edificio condominiale in cui si trovava l’unità immobiliare dell’attrice. Peraltro, non si poteva affermare che l’immobile sul quale era installata la canna fumaria apparteneva comunque ad un edificio multipiano, in quanto pertinenza dello stesso, perchè il regime proprio delle pertinenze si estendeva, salva volontà contraria, ai soli atti e rapporti giuridici aventi per oggetto la cosa principale, ma non valeva a trasferire al bene pertinenziale le caratteristiche materiali di uso proprio del bene principale.

3.2 Il Tribunale rigettava anche la domanda subordinata proposta dalla M. in primo grado e riproposta nell’atto di costituzione in appello, ritenendo che non risultava sufficientemente allegato e provato il superamento della normale tollerabilità delle emissioni provenienti dalla canna fumaria, tenuto conto anche delle caratteristiche dell’impianto, come descritte dal consulente tecnico d’ufficio e della distanza tra la canna fumaria e l’abitazione della M..

4. M.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

5. L.G. ha resistito con controricorso.

6. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza M.D. ha insistito nelle proprie richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del controricorso perchè notificato presso lo studio dell’avv.to Silvio Guarnieri e non presso l’indirizzo di posta elettronica dell’avvocato Gersan Persia, indicato nel ricorso.

L’eccezione è infondata.

L’art. 366 c.p.c., comma 2, prevede che se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Il controricorso, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., deve essere notificato al ricorrente nel domicilio eletto. M.D. ha eletto domicilio in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv.to Silvio Guarnieri, luogo dove è avvenuta effettivamente la notifica del controricorso.

1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 5, comma 9 e art. 1, lett. f), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente riporta il contenuto delle norme citate e ritiene che la sentenza impugnata sia erronea nella parte in cui non ha tenuto conto che la caldaia di cui si discute doveva identificarsi con l’impianto termico di cui all’art. 1, lett. f), del citato D.P.R. e che la stessa, pur trovandosi in un box in prossimità dell’appartamento di L.G., era posta al servizio dell’unità immobiliare di proprietà di quest’ultimo, ubicata al piano terra dell’edificio condominiale multipiano. Si trattava, dunque, di un elemento dell’impianto termico installato in seno alla suddetta unità abitativa come risultava anche dalla consulenza tecnica.

1.2 Il primo motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata evidenzia come la caldaia in contestazione era installata in un fabbricato composto da un unico piano, materialmente distinto e separato dall’edificio condominiale in cui si trovava l’unità immobiliare dell’attrice. Inoltre, la sentenza chiarisce che non risultava sufficientemente allegato e provato il superamento della normale tollerabilità delle emissioni provenienti dalla canna fumaria, tenuto conto anche delle caratteristiche dell’impianto, come descritte dal consulente tecnico d’ufficio e della distanza.

Ciò premesso deve osservarsi che è l’art. 890 c.c., secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che attribuisce lo strumento di tutela civilistico della proprietà e dell’incolumità delle persone nei riguardi anche delle condotte fumarie, con la possibilità di chiedere, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, la riduzione in pristino (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, 23/09/2013, n. 21744) mentre del D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, art. 5, comma 9, è posto a salvaguardia di interessi amministrativamente protetti. La norma ora citata, infatti, nella formulazione vigente ratione temporis, prescrive i casi in cui gli edifici multipiano costituiti da più unità immobiliari devono essere dotati di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalle norme tecniche UNI 7129. Pertanto, il proprietario dell’edificio confinante con quello in cui sono collocate le canne fumarie è titolare di un diritto soggettivo al rispetto delle norme regolamentari in relazione alle distanze oltre, naturalmente, al diritto al rispetto della normale tollerabilità delle immissioni di fumo, mentre sulla conformità della canna fumaria rispetto alle restanti prescrizioni tecniche è titolare di un semplice interesse amministrativamente protetto all’osservanza delle stesse. (Sez. 2, Sent. n. 18128 del 2020).

In ogni caso, è opportuno precisare che il giudice dell’appello, da un lato, ha ritenuto non provata la domanda ex art. 844 c.c. e, dall’altro, ha correttamente chiarito che il regime delle pertinenze che attiene al rapporto giuridico che lega un bene accessorio ad un altro, non può avere alcuna rilevanza in un caso come quello in esame avente ad oggetto le prescrizioni per l’istallazione di una caldaia, sicchè un fabbricato di un solo piano, anche se di pertinenza di un edificio multipiano, ai fini della norma invocata dal ricorrente non può essere considerato multipiano. Del pari non assume alcuna rilevanza il fatto che la caldaia sia posta al servizio di un appartamento sito in un edificio multipiano, qualora la stessa sia installata in altro fabbricato composto da un unico piano.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., comma 2, approvate preliminarmente al codice civile in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

A parere del ricorrente il giudice avrebbe dovuto risolvere il caso ricorrendo alla analogia in quanto, pur non essendovi una disposizione che riguardava la controversia, avrebbe potuto e dovuto stabilire una regola nuova (identica a quella fissata dal legislatore con il D.P.R. n. 551 del 1999), desumendola dal testo vigente nel 1997 del D.P.R. n. 412 del 1993, art. 5, comma 9.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.

La censura è del tutto generica e, oltre ai motivi di inammissibilità già esposti con riferimento al primo motivo e alla novità della questione, non può non evidenziarsi l’inammissibilità della richiesta di un’interpretazione per analogia che faccia retroagire l’efficacia di una norma al periodo precedente la sua entrata in vigore, in violazione dell’art. 11 preleggi (Disposizioni sulla legge in generale, R.D. 16 marzo 1942, n. 262).

3. La Corte dichiara inammissibile entrambi i motivi di ricorso.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile entrambi i motivi di ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000 più 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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