Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26689 del 24/11/2020

Cassazione civile sez. II, 24/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 24/11/2020), n.26689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12258/2016 R.G. proposto da:

P.G., c.f. (OMISSIS), titolare dell’omonima impresa,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Brenta, n. 2/A, presso

lo studio dell’avvocato Isabella Maria Stoppani, che lo rappresenta

e difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso

disgiuntamente e congiuntamente in virtù di procura speciale in

calce al controricorso dall’avvocato Sabrina Santucci, e

dall’avvocato Patrizia Giuliano, ed elettivamente domiciliato in

Roma, al viale Di Villa Massimo, n. 36, presso lo studio

dell’avvocato Renato Della Bella.

– controricorrente –

e

COMUNE di RIMINI, c.f./p.i.v.a. (OMISSIS), in persona del sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Caio Mario, n.

7, presso lo studio dell’avvocato Maria Teresa Barbantini, e

dell’avvocato Luigi Fedeli Barbantini, che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Maria Assunta Fontemaggi, ed

all’avvocato Elena Fabbri, (entrambe dell’avvocatura municipale) lo

rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 376 dei 23.2/1.3.2016 della Corte d’Appello di

Bologna;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 9

settembre 2020 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

Generale Dott. MUCCI Roberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso,

udito l’avvocato Isabella Maria Stoppani per il ricorrente;

udito l’avvocato Renato Della Bella, per delega dell’avvocato Sabrina

Santucci, per il controricorrente B.G.;

udito l’avvocato Luigi Fedeli Barbantini per il controricorrente

Comune di Rimini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 24.4.2006 B.G. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Rimini P.G., titolare dell’omonima impresa edile.

Premetteva che con contratto in data 1.6.2004 aveva promesso di acquistare e P.G. aveva promesso di vendergli l’appartamento al 1 piano con annesso garage in (OMISSIS), nel P.E.E.P. di Viserba (in catasto al fol. (OMISSIS), part. (OMISSIS)); che il prezzo era stato pattuito in Euro 186.000,00, di cui Euro 25.000,00 erano state versate alla stipula del preliminare ed il saldo era da versare alla stipula del definitivo; che era stato immesso nel possesso degli immobili nel mese di giugno del 2005.

Indi esponeva che aveva ritenuto di non far luogo alla stipula del rogito al prezzo pattuito; che invero il Comune di Rimini aveva comunicato in data 23.12.2005 che il prezzo dovuto era pari ad Euro 168.910,34; che l’impresa promittente venditrice aveva, a sua volta, comunicato in data 27.12.2005 di aver stipulato convenzione ex lege n. 865 del 1971, con il Comune di Rimini.

Chiedeva – tra l’altro – pronunciarsi sentenza ex art. 2932 c.c., idonea a trasferirgli la proprietà dei cespiti al prezzo indicato dal Comune di Rimini.

2. Si costituiva P.G..

Deduceva che il Comune di Rimini aveva rilasciato ai soggetti deputati ad attuare il programma edilizio le concessioni edilizie in assenza della necessaria preventiva sottoscrizione della convenzione della L. n. 865 del 1971, ex art. 35, destinata, peraltro, ad enunciare i criteri di determinazione del prezzo di cessione degli immobili.

Deduceva che i lavori erano terminati il 31.12.2004 ed i preliminari erano stati stipulati prima che fosse sottoscritta, il 20.12.2005, la convenzione.

Deduceva che il Comune di Rimini aveva illegittimamente determinato e comunicato ai promissari acquirenti il prezzo massimo di cessione in assenza di convenzione e senza attendere la quantificazione dei costi di urbanizzazione.

Deduceva pertanto che l’attore, promissario acquirente, doveva reputarsi inadempiente agli obblighi assunti con il preliminare.

Instava per il rigetto delle domande tutte ex adverso esperite; in via riconvenzionale – tra l’altro – perchè fosse pronunciata la risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente, con condanna di controparte al rilascio immediato dei cespiti, al pagamento dell’indennità di occupazione ed al risarcimento dei danni.

Instava ancora per la chiamata in causa del Comune di Rimini, affinchè il medesimo ente pubblico fosse condannato a tenerlo indenne da qualsivoglia conseguenza atta a scaturire dall’accoglimento delle domande attoree.

3. Si costituiva – chiamato in causa – il Comune di Rimini.

4. Con sentenza n. 1322/2010 il Tribunale di Rimini accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c., dell’attore, trasferiva a B.G. la proprietà dei cespiti compromessi in vendita subordinatamente alla corresponsione, quale saldo del prezzo, del minor importo – rispetto a quello da corrispondersi alla stregua del preliminare – di Euro 150.242,35 nonchè dell’importo di Euro 5.440,50, quale corrispettivo delle opere extracapitolato; rigettava ogni ulteriore domanda; dichiarava il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria esperita dal convenuto nei confronti del Comune di Rimini.

5. Proponeva appello P.G..

Resisteva B.G.; spiegava appello incidentale.

Resisteva il Comune di Rimini.

6. Con sentenza n. 376 dei 23.2/1.3.2016 la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello principale, rigettava l’appello incidentale, confermava integralmente la gravata sentenza, regolava le spese del grado.

Evidenziava la corte – in ordine al primo motivo d’appello, con cui era stato censurato il primo dictum, giacchè il tribunale aveva deciso l’intera controversia, sebbene le parti fossero state invitate a precisare le conclusioni limitatamente ad una questione pregiudiziale di merito, di guisa che vi era stata menomazione dei diritti di difesa del convenuto appellante – che la legittimità della gravata statuizione rinveniva riscontro nella previsione dell’art. 189 c.p.c., comma 3, cosicchè la rimessione della causa in istruttoria si sarebbe giustificata unicamente qualora il primo giudice avesse ritenuto necessario dar corso all’ammissione delle prove.

Evidenziava la corte – in ordine al secondo motivo d’appello, con cui era stato censurato il primo dictum, giacchè il tribunale aveva erroneamente opinato per la legittimità degli atti amministrativi afferenti alla cessione degli immobili compromessi in vendita – che ineccepibilmente il tribunale aveva opinato per la legittimità della convenzione in data 20.12.2005; che, in particolare, il tribunale legittimamente aveva denegato l’aumento del prezzo, nella misura del 10%, correlato alle caratteristiche intrinseche di ciascuna unità immobiliare, siccome le caratteristiche intrinseche degli immobili oggetto del preliminare dell’1.6.2004 non risultavano nè allegate nè comprovate.

Evidenziava la corte – in ordine al terzo motivo d’appello, con cui era stato censurato il primo dictum, giacchè il tribunale aveva erroneamente opinato, sic et simpliciter, per l’automatica inserzione della clausola, di cui alla convenzione del 20.12.2005, prefigurante il prezzo di compravendita – che l’operatività in via sostitutiva, ex art. 1339 c.c., della clausola di determinazione del prezzo della promessa cessione immobiliare, pur cronologicamente successiva alla medesima promessa, costituiva effetto destinato a prodursi ex lege.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.G.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia anche in ordine alle spese.

B.G. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Il Comune di Rimini del pari ha depositato controricorso; analogamente ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

8. Il ricorrente P.G. ha depositato memoria.

Parimenti ha depositato memorie il controricorrente Comune di Rimini.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c..

Deduce che ha errato la corte felsinea a rigettare il primo motivo d’appello.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. “E”.

Deduce che i giudici di merito avrebbero dovuto opinare per la illegittimità degli atti amministrativi afferenti alla cessione degli immobili compromessi in vendita e conseguentemente disapplicarli.

Deduce che alla disapplicazione degli atti amministrativi avrebbe dovuto far seguito la responsabilità del Comune di Rimini per gli eventuali danni.

11. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 18.

Deduce che la sostituzione automatica della clausola contrattuale recante la determinazione del prezzo della cessione era subordinata al regolare e legittimo svolgimento del procedimento amministrativo.

Deduce che viceversa nella fattispecie l’iter amministrativo si è compiuto in maniera illegittima, giacchè le concessioni edilizie sono state rilasciate senza la previa predisposizione della convenzione, è stato chiesto l’immediato inizio dei lavori e la convenzione è stata stipulata a lavori ultimati.

12. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Deduce che la corte distrettuale non ha esaminato la sua domanda volta a conseguire il risarcimento dei danni arrecatigli.

13. Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

14. E’ fuor di dubbio che, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., comma 2, rimessa la causa in decisione, pur all’esclusivo scopo della definizione di una questione pregiudiziale di rito ovvero di una questione preliminare di merito, il collegio, il giudice sono investiti della decisione di tutta la causa.

D’altra parte questa Corte spiega che l’omissione dell’invito alla precisazione delle conclusioni integra una semplice irregolarità, che non invalida l’ulteriore fase del giudizio, poichè tale invito non è prescritto a pena di nullità e la sua mancanza non importa lesione del principio del contraddittorio (cfr. Cass. 11.12.2012, n. 22618).

Cosicchè, a fortiori, a nulla rileva che, nel caso si specie, il giudice di primo grado avesse chiesto di precisare le conclusioni unicamente sulla “questione preliminare” (cfr. ricorso, pag. 7).

15. Col mezzo di impugnazione in disamina il ricorrente adduce altresì che la mancata rimessione in istruttoria ha indotto il giudice di primo grado a reputar non provate le domande riconvenzionali, con susseguente grave menomazione del suo diritto di difesa.

Al riguardo va soggiunto che la corte territoriale, in ordine tra l’altro alla prova per testimoni formulata in prime cure, non ammessa dal primo giudice e per la cui ammissione l’appellante aveva insistito in seconde cure, ha affermato che l’istanza di prova non era necessaria ai fini della decisione (cfr. sentenza d’appello, pag. 12).

16. Ebbene negli esposti termini, ai fini della prefigurata compromissione delle garanzie difensive, il motivo in esame, da un lato, non si correla alla ratio in parte qua decidendi, dall’altro, non è nè specifico nè “autosufficiente”.

Non si correla alla ratio in parte qua decidendi, siccome ben avrebbe dovuto il ricorrente, col mezzo de quo agitur, censurare puntualmente – il che non ha fatto – la surriferita affermazione della corte territoriale.

Non è nè specifico nè “autosufficiente”, siccome il ricorrente, col mezzo de quo agitur, ben avrebbe dovuto addurre di aver ribadito, in sede di conclusioni di primo grado, le proprie istanze istruttorie ed al contempo ben avrebbe dovuto riprodurre, nel corpo del mezzo de quo agitur, il verbale d’udienza di primo grado recante le conclusioni anche istruttorie all’uopo rassegnate.

Tanto, per un verso, giacchè è presumibile la rinunzia della parte alle istanze istruttorie sulle quali il giudice non si è espresso, nè esplicitamente nè implicitamente, e non riformulate all’udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. Cass. 18.3.2000, n. 3241; Cass. 10.8.2016, n. 16886, secondo cui le istanze istruttorie non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello, ove non siano state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, sia in primo grado che nel giudizio di gravame, devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine sulla volontà della parte interessata, così da esonerare il giudice del gravame dalla valutazione sulla relativa ammissione o dalla motivazione in ordine alla loro mancata ammissione).

Tanto, per altro verso, giacchè l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità pur quando sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di “autosufficienza” di esso (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.7.2012, n. 12664; Cass. 20.9.2006, n. 20405).

16.1. Si badi che non ha valenza al riguardo il rilievo del controricorrente B.G. di cui a pagina 6 del controricorso, non solo perchè desunto dalla “lettura della sentenza di primo grado”, sibbene, altresì, perchè i vizi di “autosufficienza” del ricorso non possono essere “emendati” mercè il riferimento al controricorso (cfr. Cass. 13.11.2018, n. 29093, secondo cui i requisiti di contenuto – forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 6), devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di “autosufficienza”.

17. Il secondo motivo di ricorso del pari è destituito di fondamento.

18. E’ innegabilmente del tutto generica la prefigurazione (cfr. ricorso, pag. 8) dell’illegittimità degli atti amministrativi correlata, sic et simpliciter, alla circostanza della predisposizione da parte del Comune di Rimini della convenzione della L. n. 865 del 1971, ex art. 35, a distanza di tre anni dal rilascio delle concessioni edilizie.

19. La corte bolognese ha inoltre esplicitato che l’aggiornamento Istat legittimamente era stato disconosciuto, siccome subordinato alla circostanza, insussistente nel caso de quo, che per gli immobili ricompresi nel P.E.E.P. non fossero intervenuti nè preliminare di compravendita nè assegnazione e che fossero stati venduti o assegnati successivamente alla fine dei lavori.

E’ di conseguenza analogamente generica, per nulla puntuale, la censura concernente tout court l’affermata inapplicabilità dell’aumento Istat. Nè concorre a conferire specificità alla censura il rilievo per cui la mancata stipula del definitivo è da ascrivere all’illegittimo ritardo del Comune di Rimini.

20. In pari tempo esplicano piena valenza i rilievi dapprima espressi, sulla cui scorta si è opinato per il difetto di correlazione alla ratio decidendi, di specificità e di “autosufficienza” del primo motivo di ricorso, con riferimento alla ragione di censura, veicolata dal mezzo in disamina, concernente l’operato disconoscimento, per difetto di allegazione e prova, dell’aumento del prezzo, nella misura del 10%, correlato alle caratteristiche intrinseche di ciascuna unità immobiliare (cfr. ricorso, pag. 8, ove, del resto, il ricorrente espressamente rimanda al primo motivo di ricorso).

E’ evidente che il ricorrente, onde addurre ritualmente che sul punto non è stata “consentita una compiuta istruttoria” (così ricorso, pag. 8), avrebbe dovuto similmente censurare l’affermazione della corte emiliana circa la non necessità dell’articolata prova per testimoni e connotare in parte qua il motivo in esame analogamente nei termini specifici ed “autosufficienti” in precedenza enunciati.

21. Non vi era e non vi è margine per far luogo alla disapplicazione degli atti amministrativi afferenti alla cessione degli immobili compromessi in vendita.

Il che, in ogni caso, osta pur alla astratta configurazione della responsabilità del Comune di Rimini per presunti danni.

22. Il terzo motivo di ricorso parimenti è destituito di fondamento.

23. Il riscontro della legittimità degli atti amministrativi afferenti alla cessione degli immobili compromessi in vendita, rende appieno legittima l’operatività del meccanismo di sostituzione automatica – ope legis – della clausola contrattuale di determinazione del prezzo con il minor prezzo stabilito dalla convenzione (cfr. Cass. 10.2.2010, n. 3018, secondo cui, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, che delega al consiglio comunale la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia convenzionata, gli atti amministrativi relativi, in quanto emanati in forza della predetta delega legislativa, da questa direttamente traggono un carattere di imperatività, sicchè debbono ritenersi compresi nella previsione dell’art. 1339 c.c., alla quale si collega quella dell’art. 1419 c.c., comma 2, posto che la conseguenza tipica della difformità di una clausola negoziale da una norma imperativa è la sanzione della nullità della clausola stessa, la quale peraltro non importa la nullità del contratto quando tale clausola sia sostituita di diritto da norme imperative).

La corte d’appello ha poi ineccepibilmente soggiunto che la sostituzione automatica ex art. 1339 c.c., della clausola contrattuale recante determinazione del prezzo si correla alla natura, di edilizia economica e popolare, degli immobili compromessi in vendita ed alla valenza pubblicistica degli interessi sottesi e coinvolti dall’operazione negoziale de qua agitur.

24. La corte di merito ha specificato inoltre (cfr. sentenza d’appello, pag. 14) che il tribunale aveva correttamente rilevato che la clausola di cui al punto sub 6, lett. b), volta alla determinazione del costo di costruzione, contemplava, quale parte integrante dello stesso costo, anche le spese generali.

Su tale scorta risulta “aspecifica” e per nulla puntuale la prospettazione del ricorrente secondo cui il Comune di Rimini ha determinato il prezzo della cessione senza individuare i costi di urbanizzazione (cfr. ricorso, pag. 9).

25. Il quarto motivo di ricorso similmente è destituito di fondamento.

26. Non si configura il vizio di omessa pronuncia.

Questa Corte spiega che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti sul medesimo punto una statuizione implicita di rigetto (cfr. Cass. (ord.) 6.12.2017, n. 29191; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

E, da tempo, spiega ulteriormente che il risarcimento del danno presuppone un inadempimento imputabile, con la conseguenza che, allorquando sia da rigettare la domanda di risoluzione del contratto per mancanza di colpa nell’inadempimento o per la scarsa importanza di esso, viene meno il presupposto per l’accoglimento della domanda accessoria di risarcimento (cfr. Cass. 7.12.1973, n. 3334; Cass. sez. lav. 30.7.1979, n. 4489).

In questi termini la statuizione di rigetto della pretesa del P. volta a conseguire il ristoro degli asseriti danni deve reputarsi implicitamente contenuta nell’affermata insussistenza di qualsivoglia inadempimento ascrivibile al promissario acquirente (cfr. sentenza d’appello, pag. 16).

27. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare a ciascun controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo

28. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, P.G., a rimborsare al controricorrente, B.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 6.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; condanna il ricorrente, P.G., a rimborsare al controricorrente, Comune di Rimini, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 6.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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